Uno dei temi più dibattuti oggi, tra chi si interessa di didattica dell'italiano, è il "curricolo" di scrittura: come si insegna (e si impara) a scrivere un buon testo una volta che la scrittura manuale è stata acquisita ed educata nei primi anni di scuola?
Quando sfoglio i libri di testo per le scuole primarie rimango sempre (negativamente) colpita dalla rigidità delle strutture, degli schemi, degli elenchi attraverso cui bambini e bambine dovrebbero impratichirsi con la scrittura (creativa o funzionale).
La necessità di codificare un insieme di tecniche esplicite e graduate per la composizione di testi, possibilmente differenziati, sulla base di modelli standardizzati ha fatto sì che l'insegnamento della scrittura si sia avvicinato sempre di più a quello della grammatica: "ti dico qual è la regola che tu, poi, dovrai applicare" - come scrive Angela Chiantera in un libro appena uscito per Carocci Faber:
Questa rigidità di approccio fa perdere il collegamento tra scrittura ed esperienza, tra la scrittura e le concrete funzioni che essa è chiamata a svolgere nella vita quotidiana. Creando una separazione netta tra la naturalezza del parlato e l'artificialità dello scritto. E imponendo ai discenti, fin dall'inizio, di "mirare in alto", per cercare di "realizzare subito un compito scritto ben pianificato, inequivocabilmente corretto sia sul piano del contenuto che su quello della forma" (p. 42).
Per restituire allo scrivere una motivazione profonda e, a bambini e bambine, la possibilità di sperimentare in libertà le diverse possibilità di uso della scrittura, questo volume introduce una serie di attività ispirate al metodo di Elisabeth Bing (1934-2017), insegnante francese animatrice degli "atelier Bing", laboratori di scrittura espressiva rivolti a piccoli e grandi, basati su "consegne" semplici: spesso si chiede di scrivere liste o elenchi a partire da verbi insaturi che funzionano come stimolo (Mi piace/Non mi piace, Vedo, Sento, Mi ricordo). Altre volte è la lettura di un testo letterario ad avviare l'attività di scrittura, che deve essere svolta entro un intervallo di tempo preciso ed è seguita dalla socializzazione immediata dei testi attraverso la lettura a voce alta.
Nei laboratori, rivolti a bambini ma anche ad adulti (io stessa li ho sperimentati alcuni anni fa, in una delle iniziative organizzate dall'associazione Centotrecentoscritture, animata dalle prime due autrici del volume), bisogna mettersi in gioco, superare le resistenze a parlare di sé, scrivere sulla base di un'urgenza di raccontare il vissuto, senza preoccuparsi del prodotto finito, ma seguendo il processo della scrittura nel suo farsi, lungo le "piste di volo" sulle quali l'incipit del testo ci immette.
Stimolati dall'ampia varietà di attività possibili, bambine e bambini si relazionano (tra di loro e con l'insegnante) come "scriventi" più che come "grammatici", sperimentando la felicità (e la facilità) di una scrittura che intrattiene un rapporto autentico col vissuto e diventa chiave d'accesso alla conoscenza di sé e degli altri - come mostrano i materiali raccolti e commentati nella terza parte del libro.
Partire da sé, dare una forma nuova al sentire attraverso la scrittura, confrontarsi con le reazioni che le proprie parole suscitano negli altri: il migliore viatico che un'insegnante di scuola primaria possa fornire agli allievi per accompagnarli alla scoperta della potenza della parola scritta. Purché la scrittura non sia vissuta come costrizione e mera prestazione scolastica, nell'ansia di soddisfare le aspettative degli adulti e con la paura dell'errore, né come pratica corriva (che si adegua piattamente alle modalità del parlato della comunicazione quotidiana).
Una scrittura, insomma, che riesca ad attingere alla complessità del vissuto, all'intensità del sentire, consentendoci di nominare e oggettivare il nostro mondo interiore, contribuendo alla costruzione della nostra identità, anche a partire dalla lingua.
P.S.: Per chi non la conoscesse, Elisabeth Bing è autrice di un libro intitolato Et je nageai jusqu'à la page, tradotto in italiano con E nuotai fino alla riga (dove il gioco di parole fra page e plage è reso in italiano con riva/riga). Il titolo nasce da un lapsus calami di François, il primo dei bambini "difficili" che Bing riesce a "curare" attraverso una scrittura in prima persona che lo aiuta - come fa il tonno nel finale delle Avventure di Pinocchio - a raggiungere la spiaggia.
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