mercoledì 31 marzo 2021

Chi è il padrone della lingua? (su una recente polemica intorno alle parole)



Se sono diventata una linguista lo devo anche ad Alice, perciò è a quel libro che torno ogni volta che cerco di trovare un senso dove un senso non c'è, o almeno così parrebbe.

Nel capitolo VI di Attraverso lo specchio, l'uomo-uovo Humpty Dumpty si rivolge ad Alice con sprezzatura, rivendicando a sé il diritto di dare a una parola il significato che sceglie di dargli. Alice, agganciandosi al "né più né meno", risponde con un argomento quantitativo: si tratta di capire se si possano dare alle parole tanti significati diversi. Humpty-Dumpty rettifica: non è un problema di quantità, ma di autorità - bisogna vedere chi è che comanda. 

E di che cosa, se non di autorità, parliamo quando parliamo di polemiche linguistiche?  

La doxa (l'opinione comune) contro gli auctores (le autorità riconosciute). Linguistica popolare e linguistica scientifica. Puristi e attivisti. Dottori e sciamani. Polemisti da una parte e dall'altra. Prove di forza e tentativi di negoziazione tra istanze diverse. Il triste spettacolo di chi alimenta le polemiche senza verificare le fonti, o di chi usa fonti senza citarle per autopromuoversi come domatore/trice nel circo mediatico (in cui conta l'autorevolezza data dal numero di like, più che l'autorità che viene dagli studi e dal riconoscimento dei pari).

La lingua, intanto, scorre nel suo alveo. Mal tollerando imposizioni e cambiamenti bruschi. Come cambia la lingua è un fatto raramente apprezzabile nel corso di una generazione, anche ora che la società sembra aver accelerato il passo e i ritmi. Cambia il lessico, più della grammatica. E con una indulgenza verso le mode che da secoli induce i lessicografi a monitorare a lungo gli usi scritti delle parole prima di registrarne forme e significati nei dizionari. Una simile, rassicurante lentezza diventa a un tratto un inciampo per chi, dall'alto del muretto, pretende che la lingua cambi e subito, per adeguarsi alle esigenze di questo o quell'uso militante. 

Accade così quello che Giuseppe Pontiggia, acuto teorizzatore del "linguaggio autoritario", aveva diagnosticato negli usi ideologici della lingua tipici dei movimenti politici degli anni Settanta: per combattere l'autorità (che è per definizione ancorata al passato e alla tradizione, come ci ricorda Myriam Revault d'Allonnes), si assumono le forme semplificanti del linguaggio autoritario. La difesa di un uso legittimo diventa pretesa di estensione universale, anche in assenza del consenso della comunità che in quella lingua si riconosce.

La scelta dei verbi, dei modi verbali, delle persone diventa subito rivelatrice di questo atteggiamento. Al di là della bontà degli argomenti espressi all'interno del dibattito sulla definizione di "donna", che ha visto esperti ed esperte del Vocabolario Treccani rispondere una prima volta e poi una seconda alle sollecitazioni di un'attivista, supportata da altre firmatarie, autrice di una prima e di una seconda lettera che con insistenza hanno richiesto che fosse cambiata la voce "donna" all'interno del più ampio e autorevole dizionario liberamente accessibile online. 

Vi invito a cercare i verbi, e a soffermarvi sul loro uso, in particolare dove si formula esplicitamente una richiesta: Vi invito / Vorreste gentilmente / Sono certa che potrete... / Chiediamo cortesemente - cui seguono congiuntivi esortativi (ma si noti che nella seconda lettera si passa all'infinito iussivo). Ma osservate anche gli avverbi di enunciazione in -mente (cortesemente, gentilmente) che, mentre si sforzano di attenuare la perentorietà della richiesta, finiscono per aumentarne la portata polemica. Collaborano allo scopo i punti elenco, l'uso delle citazioni dirette (B.L. Whorf, Toni Morrison) e indirette (foucaltiano) o allusive (la luna e il dito di Confucio e De Gregori; i passi storici di Neil Armstrong e il dibattito sull'eliocentrismo; "il linguaggio è un'arma potentissima", traduzione del titolo del volume del 1980 di Dwight Bolinger dedicato a uso e abusi della lingua). Citazioni che (come ogni dato) sono sempre prese e avulse da un contesto all'interno del quale andrebbero valutate e discusse. Anche le accuse di "fallacia argomentativa" andrebbero del resto vagliate, specie se spese in un testo che ricorre alla manomissione delle parole (si veda l'interpretazione del termine eufemismo). 

Appare significativo, insomma, che per chiedere di cancellare la lingua del disprezzo e "contribuire alla costruzione e diffusione di una cultura più inclusiva e pacifica" si ricorra a un linguaggio autoritario che finisce per imporre in modo a tratti intimidatorio una rappresentazione del reale che la lingua sarebbe tenuta a rispecchiare (a costo di mutilazioni, distorsioni, semplificazioni). 

Non mettiamo qui in discussione la bontà della causa, ma i modi linguistici per raggiungerla. Perché, come Alice, non dovremmo accontentarci dello specchio, ma imparare ad attraversarlo. Col rischio di trovarci davanti quello che non ci piace: un ideale linguistico costruito su misura per soddisfare le esigenze del(la) parlante. 

Che lezione può trarne l'insegnante di italiano? L'urgenza di una didattica del dizionario, oltre che col dizionario (strumento sempre più presente nelle scuole a scopo di arricchimento lessicale, ma evidentemente poco conosciuto): i dizionari vanno capiti e usati bene, e per farlo bisogna avere imparato, così da coglierne la ricchezza e complessità insieme con i limiti. 

La scarsa utilità dei sinonimi e dei contrari, anche, quando costretti dentro un dizionario generale dell'uso: come diceva Donata Schiannini (mia e da tanti indimenticata maestra di lessicografia editoriale, che se n'è andata il 29 gennaio), dare in mano a un bambino un dizionario dei sinonimi e dei contrari è come mettergli in mano una mitraglietta carica. Meglio procedere con gradualità (scegliendo dizionari graduati, appunto) e rivolgersi a opere di spessore e d'autore, come il Trifone, oppure optare per i dizionari analogici (come questo), che nella rete lessicale della parola fanno spazio anche ai sinonimi. Peraltro sono questi i migliori strumenti a supporto della competenza di scrittura e dell'appropriatezza lessicale.

Del resto, scusate, perché mai dovremmo cercare (se non a scopo di indagine ideologica) il sinonimo di un termine fondamentale come donna? Quello che dobbiamo imparare è usare la parola giusta, in modo responsabile, ripetendola se necessario senza paura (e liberandoci dall'ossessione tutta italiana della variatio a ogni costo). Semmai potremo chiederci l'etimo di donna, e scoprire così che è imparentata con la domus, col domino, col duomo e col don. I sinonimi, gli eufemismi e i disfemismi del caso lasciamoli a chi preferisce non chiamare le cose col loro nome. Se poi vogliamo ricostruire la storia delle mentalità attraverso i dizionari, potremo leggere, per iniziare, il bel saggio di Nicoletta Maraschio su Continuità e continuità e discontinuità nelle cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca (Atti del X Convegno ASLI, Franco Cesati, 2013). 

E se proprio vogliamo giocare a correggere gli errata della storia, esercitiamoci con la tecnica del caviardage: basta recuperare un vecchio dizionario, come quello usato da Stefania Bandinu per realizzare questo collier. Perché la provocazione artistica è più bella dell'estensione del dominio della lotta.



  

P.S. Qui potete leggere un articolo su Nuove ideologie e nuove autorità in contesto europeo ("Circula", 10/2019). Se volete approfondire il tema del potere modellizzante/riflettente del linguaggio rispetto alla realtà, vi rimando a questo articolo divulgativo, uscito sulla rivista "Sapere" nel 2014.