Ho letto un libro stra-ordinario, per almeno due motivi:
- mi ha riconciliata con la sociolinguistica 'vera', quella fatta sul campo, in tutta la varietà delle accezioni che il termine può coprire (compreso il campo da calcio e il campo di detenzione): basata sull'interazione reale con gli informatori, sulla capacità di ascolto e di interpretazione di storie complesse che hanno in comune il tema del viaggio-migrazione tra lingue e identità
- ha allargato i miei orizzonti, la mia capacità di lettura dei dati linguistici e del mondo, spostandomi dal tavolo di lavoro e dalla bibliografia consueta per immergermi in un flusso di esperienze raccontate da voci autentiche, raccolte con cura amorevole e trasmesse con una scrittura limpida e corale, capace di accogliere, raccogliere e ordinare dati, biografie e fonti scientifiche per trasformarle in un'avventura intellettuale e in un racconto emozionante.
Il libro si intitola Noi che siamo passati dalla Libia. Giovani in viaggio fra alfabeti e multilinguismo, è stato scritto da Mari D'Agostino e raccoglie le esperienze di ItaStra, la scuola di italiano per Stranieri dell'Università di Palermo da lei diretta e che dal 2012 (se ne parlava già in questo post) è diventata crocevia di alfabetizazione e socializzazione per tanti giovani sbarcati in Sicilia dopo un viaggio in mare che è solo l'ultima tappa di un percorso fatto di scambi, incontri, 'disastri' lungo traiettorie spesso impreviste.
Mi piace paragonare questo libro a uno spettacolo teatrale altrettanto staordinario cui ho avuto la fortuna di assistere nel 2003, alla Cartoucherie di Parigi: Le dernier caravansérail (Odissées) di Ariane Mnouchkine e del suo Théâtre du Soleil, poi divenuto film documentario (2006). Ricordo con precisione il movimento delle tele blu che simulavano le onde del grande mare in cui transitavano persone in transito tra vite e lingue diverse, a rischio, in trasformazione.
Odissee come quella disegnata sulla copertina di questo libro, prodotta durante uno dei laboratori di narrazione condotti negli anni dagli appassionati docenti palermitani e divenuti terreno di sperimentazione di nuove strategie didattiche e di ricerca.
Libri e spettacoli da cui si esce tras-formati.
Difficile dire in poco il tanto che ho scoperto in questo libro. Provo con un elenco in ordine casuale:
- il farsi guidare dai saperi delle persone intervistate, usando l'autobiografia linguistica (su cui rimando a un precedente libro di Mari D'Agostino, Sociolinguistica dell’Italia contemporanea) come strumento di accoglienza e di conoscenza
- il ricostruire le storie step by step, con lo stessa gradualità e attenzione alle tappe intermedie con cui si punta a costruire una competenza linguistica nell'italiano come lingua d'arrivo (si veda il metodo Ponti di parole)
- la fedeltà con cui vengono riportate le storie, sgrammaticature comprese, e il rispetto e il riserbo con cui vengono trattate quando toccano esperienze di violenza (la detenzione in Libia) e di sofferenza (la traversata)
- la scoperta della grande ricchezza del repertorio dei parlanti provenienti dall'Africa subsahariana, immersi in contesti multilingui che vedono affiancate lingue coloniali e lingue patrimoniali (di tradizione prevalentemente orale), sistemi di scrittura diversa (arabo e occidentale), modi e livelli di albetizzazione e scolarizzazione non standardizzati
- l'instabilità di questo repertorio, fatto di risorse linguistiche in movimento, continuamente arricchite e ridefinite dalle esperienze di vita, dagli spostamenti nello spazio sociale e fisico
- la ricchezza e alterità (rispetto ai testi ufficiali e al racconto mediatizzato) del vocabolario della migrazione costruito da chi vive in prima persona l'esperienza del viaggio
- la dinamica creata dal continuo riutilizzo delle parole dell'altro, che non comporta solo mescidanza, ma cambio di segno: come accade per le parole d'odio in libico che diventano strumento di aggregazione scherzosa tra transfughi e "indicatori simbolici delle esperienze compiute"
- il fatto che si possa, anche per questa via, costruire un 'noi' resiliente, che è quello evocato dal titolo
- le canzoni che parlano della migrazione verso l'Europa alternando inglese, wolof, mandinka e introducono il tema della morte e del dolore incontrato sulla rotta centrale
- il senso di responsabilità e di verità che emana dall'intero libro, così capace di détricoter (uso questo verbo per evitare l'abusato 'decostruire)' una narrazione fatta di stereotipi e facili riduzionismi
- la dedica a un collega e coetaneo scomparso quest'estate, Roberto Sottile, gentile "esploratore di mondi linguistici".
Buona e saggia lettura!