Oggi, 22 giugno, insieme con la primavera festeggiamo il vincitore del Premio Nazionale del Presidente della Repubblica destinato a opere o scoperte concernenti le discipline comprese nella Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche promosso dall'Accademia Nazionale dei Lincei per l'anno 2018. Il premio sarà consegnato, nel corso dell'Adunanza solenne di chiusura dell'anno accademico, a Francesco Sabatini. La Pala di Accademico della Crusca di Francesco Sabatini (Ventilato),
con citazione petrarchesca in alto, scena di divisione della pula in primo piano
e veduta di Pescocostanzo (città natale di Sabatini) sullo sfondo
Mi piace pensare che questo premio vada anche a quel filone della sua ricerca, legato alle esigenze della didattica della lingua, che lo ha portato negli anni Ottanta a introdurre in Italia la grammatica valenziale e la grammatica del testo in un pionieristico testo scolastico intitolato La comunicazione e gli usi della lingua, edito da Loescher. E poi, negli anni Novanta, a concepire il primo dizionario italiano (il DISC) che ha integrato il concetto di valenza nella descrizione delle voci verbali e ha riconosciuto la funzione testuale delle congiunzioni. Intuizioni felicissime che, con la generosità intellettuale che lo contraddistingue, ha messo a disposizione della comunità degli insegnanti senza preoccuparsi di difendere la paternità delle idee o di brevettare gli imitatissimi grafici radiali, pur consapevole del fatto che le grammatiche scolastiche raramente vengono citate come fonte dagli altri studiosi e tantomeno dagli autori di altri libri scolastici. Tutte le volte che apro una nuova grammatica o un testo di linguistica in cui si parla di valenza, non posso fare a meno di controllare se la genesi del modello sia correttamente ricostruita: senza omettere il nome di chi ha avuto un ruolo fondamentale di passeur. Perché le intuizioni di Lucien Tesnière (1893-1994), che introdusse negli anni 30 del secolo scorso il concetto di "valenza verbale", sarebbero rimaste lettera morta in Italia senza l'impegno di Germano Proverbio per la didattica del latino e di Francesco Sabatini per la didattica di italiano. A Sabatini, in particolare, dobbiamo lo sviluppo e l'affinamento del modello per la descrizione dell'italiano, le innovazioni terminologiche che corrispondono a una visione più complessa dell'architettura della frase, gli schemi di frase che passano dalla verticalità all'albero coi suoi rami all'orizzontalità degli ovali concentrici con i relativi simboli e codici cromatici. Insomma, tutto quello che oggi, dopo essere stato a lungo osteggiato e marginalizzato, viene variamente saccheggiato e rimaneggiato (non di rado travisato) da tanti testi, scolastici e non solo. | |
Rincordarlo e ringraziarlo è un dovere. Per me in primo luogo: senza di lui, questo blog (e prima ancora il libro di cui il blog costituisce il prolungamento virtuale) non esisterebbe. | |
venerdì 22 giugno 2018
Premio Nazionale per la Ricerca 2018 (assegnato a...)
giovedì 14 giugno 2018
Indietro tutta! (ancora su Galli della Loggia, con aggiunta di spirito)
I molti commenti positivi alla mia risposta a Galli della Loggia si sono accompagnati ad alcune riserve legate soprattutto al mio eccesso di serietà ed emotività (di fronte al tono provocatorio e sarcastico di EGdL) e al livello troppo tecnico del discorso (con citazioni e arzigogoli verbali).
Potrei dire a mia discolpa che ho voluto appositamente alzare il tono della discussione, riportandolo alla complessità e alla profondità necessarie a un dibattuto costruttivo sulla scuola. Trattando il professor Galli della Loggia col garbo che merita un opinionista della sua fama che parla da una testata autorevole.
Mi sembra tuttavia più efficace e allegro un esercizio di stile suggeritomi dall'amica e coautrice Carmela Camodeca, che qui riproduco per sollevare gli animi che ho avuto il torto di affliggere.
Ai soli fini della parodia distopica (passatemi il tecnicismo) assumo il punto di vista del Ministro interpellato, che si premura di rispondere a GdL a un anno di distanza dall'adozione delle misure suggeritegli.
Potrei dire a mia discolpa che ho voluto appositamente alzare il tono della discussione, riportandolo alla complessità e alla profondità necessarie a un dibattuto costruttivo sulla scuola. Trattando il professor Galli della Loggia col garbo che merita un opinionista della sua fama che parla da una testata autorevole.
Mi sembra tuttavia più efficace e allegro un esercizio di stile suggeritomi dall'amica e coautrice Carmela Camodeca, che qui riproduco per sollevare gli animi che ho avuto il torto di affliggere.
Ai soli fini della parodia distopica (passatemi il tecnicismo) assumo il punto di vista del Ministro interpellato, che si premura di rispondere a GdL a un anno di distanza dall'adozione delle misure suggeritegli.
Roma, 15 settembre 2019
Gentile professor Galli Della Loggia,
appena insediato in viale Trastevere sono stato gravato,
come lei aveva previsto, da decisioni urgenti e impegni onerosi. Ciononostante, ho
voluto da subito nominare una “Commissione per il Cambiamento”, incaricata di
vagliare e applicare i suggerimenti contenuti nel suo decalogo. A distanza di
un anno, ricevo dalla Commissione un rendiconto che evidenzia criticità non
trascurabili, legate all’applicazione letterale delle misure da lei
prospettate. Gli spiacevoli inconvenienti possono essere sintetizzati in dieci
punti:
1)
In seguito ai ripetuti incidenti in cui sono
incorse maestre non più giovani incautamente cadute da un'altezza
di 20 cm, nonché alle numerose richieste di genitori di allievi diversamente abili
di eliminare barriere architettoniche di dubbia utilità, mi vedo costretto a
eliminare le predelle fornite alle classi e a destinarle alle palestre per il
potenziamento dell’educazione motoria;
2)
L’accusa di discriminazione rivoltami dall’AGEDI
in merito alla richiesta di far alzare in piedi i bambini in segno di rispetto
all’ingresso del docente mi ha ugualmente indotto alla revoca dell'obbligatorietà del la levata per il saluto. In compenso, però, stiamo valutando la possibilità di creare progetti di standing education nell'ottica di aumentare la capienza delle classi;
3)
L’introduzione del divieto assoluto di
occupazione e autogestione mi ha costretto a rivedere le mansioni del personale
ATA, nell’ottica di assicurare la sorveglianza permanente degli studenti
all’interno degli spazi scolastici (anche durante gli intervalli e i cambi
d’ora); l’ondata di scioperi senza precedenti che ha fatto seguito al provvedimento
suggerisce di rivedere la misura;
4)
In seguito alla cancellazione di ogni ruolo
delle famiglie nell’istituzione scolastica, le scuole versano in una situazione
di emergenza: la mancanza di carta (risme di fogli, rotoli di carta igienica,
fazzoletti per il naso) e di risorse economiche per le uscite didattiche sul
territorio, insieme con l’incremento della partecipazione virale dei genitori alle
chat di messaggeria istantanea (impossibili da arginare, anche solo nella frequenza
e nella violenza verbale degli scambi), rischiano di creare ondate di denunce;
5)
La riduzione dei consigli dei docenti a un
incontro settimanale ha determinato un blocco della programmazione da parte degli istituti comprensivi,
incapaci di adempiere all’obbligo, previsto dal regolamento sull’autonomia
scolastica, di tradurre le Indicazioni nazionali in un curricolo di istituto
con relativo piano di offerta formativa. Le lamentele crescenti delle altre categorie
di dipendenti pubblici di fronte al ripristino del pomeriggio libero e dei tre
mesi di vacanze degli insegnanti mi spingono inoltre a rivedere questa misura
per attenuare la conflittualità sociale;
6)
La cura della pulizia e del decoro affidata a
docenti e studenti in assenza di copertura assicurativa e senza la garanzia di adeguate
misure di sicurezza (come previsto dalla normativa europea) mi inducono, dopo
il grave infortunio della professoressa bolognese caduta dalla scala mentre provvedeva
alla tinteggiatura della parete, a revocare il provvedimento;
7) La decisione di vietare l’ingresso agli
smartphone in aula ha comportato una sollevazione del corpo insegnante, a suo
dire impossibilitato nel procedere alla somministrazione di test di valutazione
e all’utilizzo delle espansioni online previste dall’editoria scolastica su indicazione del Ministero. Risulta pertanto opportuno revocare il provvedimento, risultando impossibile garantire una fornitura di attrezzature informatiche compensative senza ulteriori aggravi per le casse dello Stato;
8)
L’apertura in orari extrascolastici della
biblioteca (dove presente) e l’obbligo di prevedere una programmazione filmica
di qualità si scontrano con le esigenze di riduzione delle spese per il
riscaldamento e l’illuminazione: le stesse che hanno portato alla chiusura
delle scuole il sabato. Il contestuale dimezzamento del bonus di 500 euro degli
insegnanti da lei consigliato ha di fatto ridotto in misura preoccupante
l’adesione a iniziative di formazione e aggiornamento da parte degli
insegnanti, come registrato dalla piattaforma Sofia;
9)
In seguito alla riduzione delle mete ai soli
luoghi di interesse ubicati nella penisola, si denuncia un sovraffollamento di
località turistiche sede di riprese di serie TV. A Puntasecca in provincia di Ragusa, resa
celebre dal commissariato con vista mare, l’emergenza turistica ha portato alla
decisione di installare tornelli sulla spiaggia, pena la devastazione delle
dune e la perdita della bandiera blu. Sollevazioni anche nei quartieri
malfamati di Napoli per le continue intrusioni di apparecchi per foto e
videoriprese amatoriali.
10)
L’operazione di intitolazione degli istituti
comprensivi finora identificati solo tramite numero progressivo e codice scuola
evidenzia una sovrabbondanza di casi di omonimia (5 istituti intitolati a Fabrizio De André nel comprensorio genovese), con
conseguenti malfunzionamenti del Portale unico dei dati della scuola.
Mi congedo con la speranza che lei, insieme con i lettori
del suo giornale, voglia apprezzare il coraggio speso dal Ministero nel provare
a cambiare la scuola italiana, dando un segnale forte e chiaro di ripristino
dell’autorità educativa. Voglia altresì comprendere i motivi che mi dissuadono
dal procedere nella direzione indicata, pena la turbativa dell’ordine pubblico
e l’arresto della crescita auspicata del sistema Paese.
mercoledì 6 giugno 2018
La banalità del ma (in risposta a Galli della Loggia)
Pubblico qui per intero un articolo uscito su La Vita Scolastica, in risposta a un editoriale di Galli della Loggia sul tema dell'autorità educativa.
Non ha fatto in tempo a insediarsi in viale Trastevere il neo-ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti, che si vede recapitare dall’edicolante una lettera di Ernesto Galli della Loggia pubblicata dal Corriere della Sera: Cattedre più alte per tutti i professori.
Non ha fatto in tempo a insediarsi in viale Trastevere il neo-ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti, che si vede recapitare dall’edicolante una lettera di Ernesto Galli della Loggia pubblicata dal Corriere della Sera: Cattedre più alte per tutti i professori.
Da
politologo e giornalista avvertito, EGdL inserisce il termine-slogan che è sulle
bocche di tutti (cambiamento), ma
passa sotto silenzio un termine evidentemente poco amato dai programmi SEO
(Search Engine Otpimization, ottimizzazione per i motori di ricerca), intorno
al quale ruota però tutta la lettera: autorità.
Autoritario,
del resto, è il linguaggio che EGdL sceglie e, ancor prima, autoritario è il
formato della lettera: in dieci punti-elenco che contengono altrettante misure suggerite per il governo (riforma?)
della scuola. Un decalogo, insomma. Anche il modo in cui sono formulati i punti
richiama chiaramente lo stile dei testi giuridico-amministrativi. Le parole più
ricorrenti nel testo (se escludiamo scuola
e i suoi derivati) sono obbligo e divieto, e anche questo è un segnale. Ma
contano anche segnali linguistici più sottili: gli avverbi in -mente (pesanti, ma ritmabili), i
quantificatori universali (ogni, tutto, qualunque) che escludono eccezioni, i ma (anche) che aggiungono ragioni o riserve, i verbi modali del comando
(bisogna, si deve ecc.), i parallelismi (né…
né… né) che disegnano una geometria all'interno del testo. E poi le domande retoriche (al punto 6 e al punto 9), il
ricorso all’opinione comune o doxa (“non
solo a mio giudizio…”), l’ammiccare all’autorità presunta dell’interlocutore (“come lei
sa”), l’uso della citazione come argomento di autorità.
Una citazione non casuale, della filosofa ebrea (“non gentiliana” – la definisce ironicamente EGdL) Hannah Arendt, con riferimento a un saggio (Che cos’è l’autorità?) scritto nel 1958: dopo che i pericoli delle derive autoritarie erano diventati una sanguinosa e drammatica attualità, e le intelligenze migliori si interrogavano sui presupposti socioeconomici dell’obbedienza ai regimi nazi-fascisti (altro che disciplina nelle classi!). Nel volume che lo contiene (Tra passato e futuro, uscito in italia nel 1970), si trova anche un saggio speculare dal titolo Che cos’è la libertà? (Tanto per reinserire le due parole-chiave dell’agire politico nella corretta dialettica).
Una citazione non casuale, della filosofa ebrea (“non gentiliana” – la definisce ironicamente EGdL) Hannah Arendt, con riferimento a un saggio (Che cos’è l’autorità?) scritto nel 1958: dopo che i pericoli delle derive autoritarie erano diventati una sanguinosa e drammatica attualità, e le intelligenze migliori si interrogavano sui presupposti socioeconomici dell’obbedienza ai regimi nazi-fascisti (altro che disciplina nelle classi!). Nel volume che lo contiene (Tra passato e futuro, uscito in italia nel 1970), si trova anche un saggio speculare dal titolo Che cos’è la libertà? (Tanto per reinserire le due parole-chiave dell’agire politico nella corretta dialettica).
Non voglio
rispondere a Galli della Loggia punto per punto: sarebbe fin troppo facile
ironizzare su predelle e predellini, saluti deferenti, odonomastica roboante,
autarchia delle gite, fiammelle dell’Istituto Luce. Quanto alle buone trovate
(come le biblioteche scolastiche), c’è chi prima di lui le ha formulate,
spendendosi per la loro diffusione (penso a Tullio De Mauro, al quale è stato recentemente intitolato un istituto comprensivo, come da punto 10 del decalogo di EGdL) . Sul
coinvolgimento dei genitori nella gestione della scuola c’è poco da lamentarsi:
è l’effetto di provvedimenti di legge pensati per corresponsabilizzare le
famiglie, puntando alla coerenza educativa delle principali agenzie formative.
Se le famiglie sconfinano (non solo a scuola, ma anche a bordo di un campo di
calcio) dovremmo forse porci un problema più ampio di alfabetizzazione
culturale ed emotiva degli adulti, sempre meno inclini al rispetto e all’autocontrollo.
L'IC 8 di Roma sarà intitolato a Tullio De Mauro
Quello che
mi interessa qui è collocare il discorso sull’autorità educativa all’interno di
un dibattito che da Hannah Arendt ai giorni nostri ha conosciuto alcuni
sviluppi che varrebbe la pena conoscere. Sono passati 60 anni da quel saggio,
che guardava all’autorità non solo come prerogativa di una persona o di
un’istituzione, ma come fattore simbolico irrinunciabile che regola gli scambi
sociali tra individui. Da almeno un decennio, la parola autorità è tornata in circolo dopo essere stata guardata con
sospetto ed evitata perché associata al potere
e sempre in bilico tra un polo positivo (l’autorevolezza,
ovvero l’autorità riconosciuta come legittima) e uno negativo (l’autoritarismo, l’autorità avvertita come
abuso). La predella di cui EGdL parla mi pare associata al potere, più che
all’autorità. E forse sarebbe corretto ricordare il contraltare della predella:
le punizioni corporali che nelle scuole si associavano all’uso o all’abuso
dell’autorità. Era la scuola dei fanciulli,
antecedente la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia. Nel frattempo siamo passati
dalla patria potestas all’autorità genitoriale e, oggi, alla responsabilità genitoriale. Indietro non
si torna, con buona pace dei nostalgici del buon (ma davvero così buono?) tempo
che fu.
Il volume del filosofo francese Serres, da poco uscito in traduzione
Vero è che le
preoccupazioni di GdL sono in parte condivisibili: di “crisi di autorità”
e di “ritorno all’autorità” si fa un gran parlare, nelle assemblee scolastiche
come nei magazine, specialmente in rapporto alle sfere pre-politiche in cui l’autorità
agisce (la famiglia e la scuola), soprattutto in riferimento a temi come la
disciplina e la valutazione. Sul piano propriamente politico, poi, è sotto gli
occhi di tutti il fascino esercitato da personalità carismatiche e da un discorso
di tipo autoritario, basato sullo slogan gridato, più che dal discorso
persuasivo basato sull’argomentazione pacata. Di autorità in ambito politico,
del resto, EGdL si era già occupato in un articolo apparso sulla stessa testata
il 6 gennaio 2017 (Riscoprire in Italia il senso
dell’autorità), quando ancora ci
governava Renzi e qualcuno paventava il rischio di democratura (l'avvento di una dittatura democratica). Nell’ultimo affondo, GdL parla solo di
scuola, ma dando a intendere che ci sia un problema di erosione dell'autorità nella società
in generale e nella relazione educativa in particolare. Un tema che era emerso
già negli interventi di GdL a sostegno della “lettera dei 600” sulle
(in)competenze linguistiche degli studenti.
Il dibattito
teorico sull’autorità si è arricchito intanto di un testo che rappresenta una
ideale continuazione della riflessione di Arendt: Le pouvoir des commencements. Essai sur l’autorité di Myriam
Revault d’Allonnes (le Seuil, 2006). (Per inciso, di autorità, attributo
paterno per eccellenza, si sono occupate anche e soprattutto donne: curioso, no?).
L’ipotesi di Revault d’Allonnes è che l’autorità abbia a che fare col tempo:
anzi, che “il tempo è la matrice dell’autorità come lo spazio è la matrice del
potere”. E che il vivere insieme non richieda solo uno spazio comune in cui si
agisce (dalla “predella” di Galli della Loggia fino all’“ultimo banco” di cui
parla Giovanni Floris in un bel libro dedicato alla scuola), ma anche e
soprattutto un tempo, una durata data dal legame tra le generazioni. Perché
l’autorità non si dà solo nella forza del passato e della tradizione, ma anche
nell’attrazione che esercita su di noi il futuro (come già aveva intuito Arendt,
quando parlava di “parametri per un futuro possibile”). In che modo? Sotto forma
di progetti che ci autorizzano ad agire, consentendoci di iscrivere le nostre
azioni nell’orizzonte di un divenire. Attraverso una cooperazione virtuosa tra
chi è venuto prima e chi si affaccia sulla scena del mondo. Niente di tutto ciò
mi pare di intravedere nel tono sprezzante (oltre che autoritario) usato da
EGdL.
Oggi più che
mai dovremmo diventare capaci di passare dall’autorità “fondata” (l’autorità
della tradizione) a un’autorità “fondante” (basata sulla trasmissione). Per
farlo, i nostri insegnanti non hanno bisogno di una predella: hanno bisogno di
preparazione (formazione e aggiornamento in servizio), di riconoscimento
economico e sociale, di possibilità e capacità di cambiare le pratiche. Perché
l’autorità non si dà se non come “superiorità riconosciuta” (la definizione è
di Max Horkheimer). Riconosciuta dall’altro, nella dimensione della relazione
(come ci ricorda Luisa Muraro nel volumetto dedicato alla cura della parola Autorità).
Siamo più
coraggiosi, allora: non riduciamo la dimensione simbolica su cui l’autorità si
fonda alla sola dimensione spaziale, alla verticalità e all’asimmetria (l’altezza
del rialzo, l’alzarsi in piedi per il saluto), ma interroghiamoci su come si
possa costruire un’autorità di tipo nuovo: “orizzontale”, “interiorizzata” e
“plurale” (sono aggettivi usati da Richard Sennett, Alain Touraine e Julia
Kristeva nel dibattito a più voci sul tema dell’autorità moderato da Franco
Marcoaldi sulle pagine di “Repubblica” dal 29 ottobre al 29 novembre 2011).
È
complicato, lo capisco. Non è popolare. Ma non sarà il ritorno al passato a
salvare la scuola, a dare speranza ai nostri figli.
Torniamo a parlare di autorità. Rimettiamo in circolo la parola e costruiamo pratiche
nuove di autorità. Consapevoli che per farlo non basta alzare le cattedre, come
non basta “flippare” le classi. Non basta il “Buongiorno signora maestra”, come
non basta il grembiulino. Bisogna ripensare le politiche educative e rimettere
la scuola al centro dell’interesse pubblico. Incominciando con lo sgombrare il
campo da un equivoco pernicioso (che la scuola debba servire a trovare un
lavoro purchessia) e col reclamare una scuola che formi innanzitutto il
pensiero critico.
L’assenza
del ministro dell’Istruzione nel “totonomi” che ha preceduto l’insediamento del
nuovo governo non è un buon segnale. L'assenza di ogni riferimento alla scuola
nel discorso del neoinsediato Presidente del Consiglio neppure. Quanto alle dichiarazioni programmatiche sulla scuola contenute nel contratto di governo, c'è da rimanere alquanto perplessi. Ma cerchiamo di
guardare al futuro con fiducia.
Buon lavoro,
allora, Ministro. E le orecchie bene aperte, pronte ad ascoltare squilli di più
campane. E di campanelle, soprattutto.
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