lunedì 10 luglio 2017

Pillole di sintassi (recensione a F. Bianco)

E' appena uscito per i tipi di Franco Cesati, nella collana "Pillole di linguistica", un volume di Francesco Bianco intitolato Breve guida alla sintassi italiana (135 pp.).


Come molte opere nate dall'esperienza di insegnamento e di ricerca di italianisti all'estero –  capostipite La lingua italiana. Storia, varietà dell'uso, grammatica, di Giulio e Anna Laura Lepschy (Bompiani 1981); seguita dalla Grammatik der italienischen Sprache di Christoph Schwarze del 1988 (ed. it. Carocci 2009); ma penso anche ai numerosi e importanti lavori di Emilio Manzotti e Angela Ferrari –  questa guida ha il merito di mettere a fuoco le regole fondamentali dell'italiano per studenti madrelingua e stranieri, guardando ad analoghi strumenti di consultazione disponibili per le lingue europee più che alla nostra conservatrice e ipertrofica tradizione di grammaticografia scolastica.
La trattazione, inoltre, unisce aspetti teorici (descrizione delle strutture, standard e marcate, secondo le più aggiornate teorie linguistiche) e pratici (di pronto soccorso linguistico per i dubbi grammaticali).
Scrive l'autore nella prefazione:
La grammatica tradizionale non è rifiutata: è il punto di partenza di riflessioni e considerazioni che, talvolta, la superano, non senza discuterne le ragioni. In questo modo il lettore è guidato, potremmo dire, dalla grammatica – intesa come insegnamento scolastico – alla linguistica – intesa come disciplina scientifica –. Questo salto non è fine a sé stesso: permette di risolvere alcuni dubbi che l’analisi tradizionale non riesce a togliere agli studenti e agli appassionati di lingue. Anche la scelta del vocabolario risente di questa impostazione: parole come complemento, frase, proposizione, soggetto, appartenenti alla terminologia della tradizione grammaticale, sono largamente ricorrenti; i termini della linguistica estranei a questa tradizione sono spiegati al momento della loro prima occorrenza o inseriti nel glossario finale.
 
Anche la distribuzione dei contenuti è frutto di un compromesso, che può agevolare il lettore e la lettrice formatisi sulla grammatica tradizionale che abbiano conoscenze di linguistica, ma rischia di disorientare chi si avvicini per la prima volta alla materia.

Il capitolo I è dedicato ai concetti preliminari della sintassi: la distinzione tra parola/sintagma/frase, tra frasi dichiarative ed enunciati performativi (in tutto il libro è ben chiara la distinzione e intersezione tra piano sintattico e piano semantico). Il cuore del libro è rappresentato dalla descrizione delle strutture sintattiche: la frase semplice, la frase complessa e le strutture marcate (frasi segmentate, scisse, a tema sospeso ecc.).
Avrebbe forse giovato alla chiarezza una scelta più coraggiosa tra terminologia di stampo generativista (sintagmi e modificatori di SN, SV, F) e quella valenziale (nucleo, argomenti ecc.), e tra terminologie valenziali diverse. Per chi si accosti a questi concetti, un eccesso terminologico può alimentare la confusione e il sospetto.

Nella descrizione della frase semplice (cap. II) è adottata in effetti la prospettiva valenziale, con la distinzione tra nucleo e margini della frase, soggetto e oggetto, argomenti diretti e indiretti (in linea con la descrizione di Prandi-De Santis 2011), ma compare anche la distinzione tra circostanti ed
espansioni (Sabatini-Camodeca-De Santis 2011) e un grafico radiale che ricorda quelli - imitatissimi - di Sabatini:


Nella descrizione della frase complessa è ben messa a fuoco la distinzione fondamentale tra frasi argomentali (soggettive e oggettive), incassate nel nucleo, e frasi non argomentali (che espandono il nucleo di frase o un suo costituente). Anche i livelli di incassatura delle frasi (coordinate/
subordinate, subordinate di I/II/III grado) è opportunamente chiarita con l'aiuto di grafici a scala.
Importante, nella trattazione dei diversi tipi di subordinate, la distinzione tra esplicite ed implicite con le rispettive restrizioni sintattiche: la coreferenza del soggetto, obbligatoria in caso di costruzione con un infinito o un gerundio, è un dato sconosciuto (nella teoria e nella pratica)  a troppi.
Sono giustamente sottolineate anche le restrizioni legate alla scelta di una certa congiunzione: con siccome la causale si mette prima della principale, con perché la segue sempre.
Compaiono inoltre "zoom" sotto forma di box su tipi di subordinate trascurate dalle grammatiche tradizionali (per esempio le causali inferenziali, costruite mediante giustapposizione, e le causali metalinguistiche, che esprimono la causa del detto anziché la causa del fatto).

Particolarmente dettagliata e complessa, nel capitolo dedicato alle frasi marcate, mi sembra la spiegazione della legittimità della costruzione "a me mi" (sulla quale aveva scritto pagine molto chiare e decisive Monica Berretta): forse bastava dire che l'elemento dislocato (a me) ha valore di "tema" e il resto è il "rema". Lo stesso fenomeno, del resto, si ha quando il pronome ha funzione di soggetto: Io, per me, ...  (di montaliana memoria). Ma l'abbondanza di argomenti dovrebbe quantomeno insinuare il dubbio in tanti strenui difensori del logicismo grammaticale.










Insomma, nel complesso, un'opera maneggevole (e come tale economica), che sa selezionare, miscelare e filtrare i migliori apporti della grammaticografia dell'ultimo decennio. Restituendo un quadro complessivo, a volo d'uccello, di come appare il territorio della grammatica dopo il terremoto che ha fatto crollare molte certezze e ridimensionato, almeno agli occhi più avvertiti, la presuntuosa e vana torre dei complementi.



giovedì 6 luglio 2017

Insegnare il greco con la GV (intervista a B. Trentin)

L'utilizzo del modello valenziale ostacola l'apprendimento delle lingue classiche? Tutt'altro! Ce lo spiega in questa intervista Bijoy M. Trentin, docente di Discipline letterarie e latino nelle scuole secondarie superiori, cultore della materia "Lingua e letteratura greca" presso l’Università di Bologna e autore di volumi descrittivi sui verbi greci analizzati in prospettiva valenziale.




Come è avvenuto il tuo incontro con la valenziale?
Il mio incontro con la grammatica valenziale (GV) è avvenuto ai tempi dei primi studi universitari (a Bologna). Sono stati i corsi di Didattica del greco (prof. Maria Grazia Albiani), dell’italiano (prof. Fabrizio Frasnedi) e del latino (prof. Anna Giordano), in aggiunta a varie letture personali, a farmi conoscere differenti sistemi grammaticali e linguistici. Nell’orizzonte educativo e nella prospettiva valenziale, nel corso degli anni, ho potuto approfondire gli studi con la guida della prof.ssa Albiani per quanto riguarda il greco antico; inoltre, il contatto con la scuola mi ha indotto a riflettere ancora anche sull’italiano e sul latino.

 
Da quanti anni e con quali risultati lavori con la valenziale?
Lavoro con la GV da circa una decina di anni. Nel campo dell’indagine del greco antico, ho proposto un quadro base di sintassi valenziale nei due volumi dei Verbi greci pubblicati nel 2012 per Alpha Test (Milano), nei quali si trovano anche – nel primo – un’aggiornata morfologia storica e – nel secondo  un lessico etimologico e valenziale relativo ai verbi a più alta frequenza, selezionati tenendo presente il prezioso Lessico essenziale di greco di Georges Cauquil e Jean-Yves Guillaumin, curato per l’edizione italiana da Francesco Piazzi (Bologna: Cappelli Editore, 2000).
Osservare i fatti linguistici con uno sguardo diverso consente di comprenderne in modo più complesso (ma non complicato!) i meccanismi di funzionamento: la prospettiva valenziale è una prospettiva della linguistica che, rispetto a quella tradizionale (scolastica), risulta più potente dal punto di vista scientifico e didattico, e consente di spiegare in modo più profondo e chiaro le lingue. Tale prospettiva è da sempre presente anche nella mia azione didattica: sarebbe, per me, ora impossibile ripensare l’analisi sintattica in una dimensione non linguistica e non valenziale.

Accogliere il cambiamento del modello grammaticale ed essere aperti a modificarlo ulteriormente – secondo le più recenti ricerche – dovrebbe avvenire, soprattutto nel panorama scolastico, in modo più rapido e incisivo: siamo di fronte a un tornante, è il momento di imprimere velocità e stabilità al mutamento. Il cambiamento di modello si presenta come più ampio processo di trasformazione di idee e atteggiamenti correlati al modello. Il passaggio, dunque, è non solo contenutistico ma anche metodologico ed epistemologico: la scelta sta tra il più scientifico e il meno scientifico. L’orizzonte della linguistica (anche educativa) è in grado di configurare tale passaggio come cambiamento di paradigma. Tra Cinque-Seicento è stato arduo dimostrare e convincere della fondatezza del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico (pur efficace, talora, nella descrizione e previsione di determinati fenomeni): non sono stati mutati gli astri, sono sempre rimasti gli stessi (il Sole, la Terra, Venere, Marte e tutti gli altri corpi celesti) e nelle loro posizioni, ma è cambiato profondamente il modo di comprenderne il funzionamento, fenomeno che ha consentito lo sviluppo anche di una rinnovata e piú potente strumentazione materiale e soprattutto intellettuale. La scelta della prospettiva scientifica della linguistica piú aggiornata si configura come rivoluzione copernicana nell’àmbito dello studio della lingua nei contesti scolastici: non vengono cambiati gli oggetti di studio, le lingue non sono stravolte per esperimenti transgenici, ma esse vengono considerate in un’ottica del tutto nuova, che consente di vederne con maggiore chiarezza il funzionamento, mediante un bagaglio nuovo di opportuni strumenti.

L’analisi e la revisione linguistica non è, dunque, indifferente, anche dal punto di vista didattico, alle modalità con cui la lingua viene indagata: l’approfondimento e l’aggiornamento linguistico imprime forza all’apprendimento permanente, nella consapevolezza che le competenze linguistiche sono continuamente educabili e implementabili. Le alunne e gli alunni imparano a comprendere che ci sono i livelli di necessità (e non solo per i verbi, ma anche per alcuni nomi e aggettivi: utile a…, adatto a…) e accessorietà, che le regole e le scelte sono interdipendenti, che le opzioni consentono potenzialità infinite alla lingua per i suoi più multiformi usi (da quello informativo, referenziale a quello metaforico, immaginifico): in modo intenzionale, la didattica che incentiva nuovi saperi, scientificamente fondati e sempre più complessi, consente alle/ai discenti di imparare a predisporsi in modo critico rispetto all’analisi dei fatti linguistici.
Le studentesse e gli studenti  possono sperimentare la mancanza, oggi, di  un pensiero unico nella linguistica a partire dalla molteplicità della nomenclatura: presentare la varietà delle etichette e dei concetti (in una corrispondenza sempre chiara tra parole e cose, che non può sfuggire soprattutto in sede didattica) contribuisce a rendere, secondo focalizzazioni diverse, più mosso e problematico e mai concluso lo studio della lingua.

È utile ricordare anche che il modello valenziale può essere punto di riferimento per diverse azioni didattiche, nella molteplicità delle combinazioni curricolari di ‘filosofie di fondo’ (approcci), sistemi operativi (metodi) e singole procedure concrete (tecniche) che possono essere selezionate (piú o meno coscientemente…). La GV non è un modo di fare didattica, è una teoria utilizzabile in diversi contesti educativi: per esempio, può essere usata nell’insegnamento-apprendimento del greco e del latino, sia nell’ottica deduttiva di tipo traduttivo sia in quella induttiva di tipo naturale. La GV è un modello linguistico moderno e scientificamente aggiornato che ha, proprio per questo motivo, forti ed evidenti vantaggi didattici, ma non è la panacea per tutti i problemi relativi all’educazione linguistica, poiché questi devono essere affrontati in un’ottica complessa, plurilingue e problematica, evitando riduzioni e ricette preconfezionate.

 
In che tipo di scuole, per quali lingue e con quali modalità proponi la riflessione sulla frase?
Nel corso del tempo, ho proposto la riflessione sulla frase in chiave valenziale in tutti i tipi di scuola secondaria (di primo e secondo grado), quindi per l’italiano, il latino e il greco. Procedo con modalità più strutturate nelle classi in cui sono previsti in modo esplicito la riflessione e l’apprendimento linguistici (per gli istituti superiori, il primo biennio), nelle altre (il secondo biennio e il quinto anno) essi – come revisione e approfondimento – partono dall’osservazione diretta dei fatti linguistici: nella lettura dei testi letterari italiani, latini e greci, è possibile riscontrare stratificazioni, opzionalità e ‘infrazioni’ che mettono in luce le varie potenzialità (comunicative, espressive, estetiche) delle lingue. L’incontro con la GV viene presentato sempre in modo diretto, come cambiamento di prospettiva e come opportunità di analisi linguistica più chiara e potente: nel caso in cui, nei gradi scolastici precedenti, le/i discenti abbiano fatto esperienza solo della GT (Grammatica Tradizionale), l’opportunità di modificare i loro (meta)saperi linguistici mediante l’apprendimento della GV può essere essa stessa formativa: percepire l’importanza di imparare a mettere in discussione i propri saperi, a ordinarli e riconfigurarli secondo direttrici scientifiche più avanzate è fondamentale per l’educazione delle competenze (linguistiche). 

Facciamo alcuni esempi, che súbito rivelano quanto sia utile – e inevitabile – l’intreccio pedagogico-didattico tra teoria e prassi e tra deduzione e induzione. Date le tre frasi
a) Sono in camera.
b) Vado in camera.
c) Mangio in camera.
la GT dice solo che in camera in a) e c) è un complemento di stato in luogo e in b) un complemento di moto a luogo (in base al solo significato del verbo), ma non prevede la comprensione della relazione che vi è tra tale complemento-sintagma e gli altri; la GV, invece, è in grado di analizzare tale relazione, individuando, secondo la struttura argomentale/valenziale di ogni verbo, il grado di necessità del sintagma-complemento in camera: in a) e b) è fondamentale a completare le aperture sintattiche dei verbi essere (≈ trovarsi) e andare, invece in c) non è richiesto dal verbo mangiare, è un’informazione in più (espansione) che si aggiunge al nucleo della frase, che, in questo caso, è composto dal soggetto (ricavabile dalla desinenza personale del verbo) e dal verbo-predicato. Sembra tutto semplice, ma già c) è in grado di mettere in crisi la/il discente che deve ancora affinare le specifiche competenze metalinguistiche.
Due sono le difficoltà che si possono riscontrare all’inizio dello studio in ottica valenziale. La prima difficoltà è quella relativa alla separazione del piano sintattico da quello comunicativo: in camera  non è sintatticamente richiesto dal verbo-predicato, ma probabilmente è un’informazione fondamentale in un contesto comunicativo reale, poiché solitamente non si mangia in camera… La seconda difficoltà riguarda la variabilità della struttura argomentale/valenziale, cioè, a seconda della sfumatura o del significato, in diversi contesti linguistici, i verbi possono avere differenti capacità di attrarre a sé necessariamente altri elementi sintagmatici o frastici: infatti, il verbo mangiare prevede molto spesso due argomenti, quelli che, nella GT, sono il «soggetto» e il «complemento oggetto», ma, nell’uso che la GT chiama “assoluto”, il verbo mangiare può essere completato sintatticamente dal solo «soggetto»; la variabilità valenziale/argomentale si associa a focalizzazioni differenti, il verbo mangiare con il «complemento oggetto» oppone un cibo a un altro (se affermo che sto mangiando una carbonara, non sto mangiando un’insalata), invece, senza il «complemento oggetto», si oppone l’azione stessa del mangiare rispetto a qualsiasi altra (per es., dormire, leggere, giocare). Concludo con una terza difficoltà che le/i discenti possono riscontrare inizialmente: è possibile che ogni tipo di ‘espansione’ (ovvero elemento libero, non obbligatorio) sia equiparato dal punto di vista della struttura, così possono essere erroneamente considerate nello stesso modo le espansioni del sintagma (o modificatori o «circostanti» secondo Sabatini) e le espansioni (del nucleo) della frase: nella frase d) Mangio piano in camera, piano è facoltativo e accessorio ma ‘dipende’ da mangio, invece in camera – anch’esso facoltativo e accessorio – è ‘indipendente’. Già da questi pochi esempi e dai loro sviluppi, è possibile avviare con le studentesse e gli studenti la nuova analisi sintattica, in modo critico e riflessivo.

Per quanto riguarda la rappresentazione grafica della frase, vi sono diverse proposte: quella che ho utilizzato di più è quella ad albero, ma talora può essere stimolante sperimentarne, in classe, diversi tipi. Anche per l’analisi linguistica, la rappresentazione grafica è uno strumento didattico inclusivo: ciò che viene incontro a bisogni specifici si rivela, per tutte/i, uno strumento di lavoro tout court, poiché il ricorso alla visualità fa interagire differenti livelli di gerarchizzazione e strutturazione, mediante trasposizioni e osmosi di linguaggi. La grafica, cioè, ha non solo forza informativo-espositiva ma anche euristica: talora, solo mediante l’elaborazione del grafico, è possibile comprendere il quadro specifico e complessivo di determinate relazioni sintagmatiche, frasali, enunciative; talora, è proprio l’elaborazione grafica a far emergere dubbi e problemi che è necessario tentare di risolvere insieme (la riflessione collettiva e la valorizzazione dell’apporto di ogni allieva/o è fondamentale dal punto di vista dell’apprendimento collaborativo). Tuttavia, è controproducente trasformare l’esperienza della costruzione dei grafici in pratica meccanica e noiosa, ripetitiva e obbligatoria: se, in una prima fase (non lunga invero), tale esperienza è presenza costante, nel tempo l’abitudine alla motilità linguistica in associazione a quella grafica consente di interpretare criticamente e problematizzare gli stessi strumenti utilizzati. Quando, nella prassi didattica, il grafico diviene il totem del nuovo modello, cioè sua massima e unica espressione e sintesi, si creano più facilmente pratiche routinarie e non significative cognitivamente ed emotivamente: è questo il contesto in cui la confusione tra le potenzialità del modello e le specificità dei diversi metodi o modi didattici può produrre facili stereotipie, che trasformano la rappresentazione grafica in uno strumento selettivo e non più inclusivo.

 
I libri di testo ti hanno aiutato o ostacolato nel percorso?
Non ci sono stati libri di testo che mi hanno ostacolato nel percorso, poiché ogni manuale è un punto di partenza, è uno spunto per procedere a nuove configurazioni, come detto prima per quanto riguarda l’opportunità di esercitare continuamente le competenze critiche e rielaborative. Invece, come testi di studio personale, utilizzo frequentemente vari strumenti di studio*.
 
Hai incontrato resistenze da parte di colleghi o genitori?
Talora, ho riscontrato un po’ di sospetto nei confronti del ‘mio’ modo di affrontare l’analisi sintattica, ma c’è sempre stato rispetto per le scelte operate: i genitori e, di riflesso, le/i discenti si aspettano l’enunciazione di tutta l’indistinta pletora dei complementi; se questi non vengono affrontati nel modo più diffuso, il lavoro può sembrare loro incompleto e inconsistente (anche per questo motivo, è non solo utile ma anche indispensabile rendere il più possibile esplicito e chiaro il percorso didattico). In realtà, di solito, non abbandono del tutto la dimensione funzionale e semantica dei complementi, ma essa viene inglobata nella nuova prospettiva, anche mediante un’accentuata razionalizzazione: si pensi, in italiano, all’inutile – almeno dal punto di vista formale – distinzione tra complemento d’agente e complemento di causa efficiente, ma è davvero interessante notare che essa è un retaggio della grammatica applicata al latino e che è utile procedere sistematicamente a comparazioni tra le diverse lingue studiate, antiche e moderne, in modo tale da sperimentare le loro caratteristiche sull’asse sincronico e su quello diacronico. La GV, dunque, incide anche sullo studio dei casi del greco e del latino: l’analisi delle fondamentali funzioni dei casi permette di comprendere (anche a livello metalinguistico) e prevedere (nel lavoro di comprensione dei testi) meglio e più rapidamente la rete nucleare ed espansionale delle frasi. Mediante tale esperienza comparativa, emergono non solo le peculiarità grammaticali delle lingue ma anche le loro storicamente determinate potenzialità di espressione, interpretazione e costruzione della realtà.
Oggi, vi è maggiore apertura verso la GV rispetto a non molti anni fa, da parte anche di un sempre più ampio numero di insegnanti, che con curiosità cercano di informarsi per aggiornare i saperi di base da condividere con le studentesse e gli studenti. La GV rimodula l’analisi linguistica, non può essere considerata più una dotazione accessoria, non è più eludibile: essa può divenire uno dei cardini dell’insegnamento e dell’apprendimento linguistico per il suo potenziale specifico (competenze linguistiche e metalinguistiche) e collaterale (disposizioni e attitudini transdisciplinari critiche e creative).





* Francisco R. Adrados, Nueva sintaxis del Griego antiguo, Madrid: Gredos, 1992
Alvise Andreose, Nuove grammatiche dell’italiano. Le prospettive della linguistica contemporanea, Roma: Carocci  editore, 2017
Laura Azzoni, Benedetta Nanni, Lorenzo Montanari, Gabriella Carbone, Ratio. Un metodo per il latino, Roma-Bari: Editori Laterza, 2012
Cristiana De Santis, Che cos’è la grammatica valenziale, Roma: Carocci editore, 2016
Angela Ferrari, Luciano Zampese, Dalla frase al testo. Una grammatica per l’italiano, Bologna: Zanichelli editore, 2000
Alfredo Ghiselli, Gabriella Concialini, Il nuovo libro di latino, Roma-Bari: Editori Laterza, 1995
Giorgio Graffi, Che cos’è la grammatica generativa, Roma: Carocci editore, 2008
Giorgio Graffi, La frase: l’analisi logica, Roma: Carocci editore, 2012
Maria G. Lo Duca, Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica. Nuova edizione, Roma: Carocci editore, 2013
Silvia Luraghi, Maria Libera Garabo, Il greco antico, Roma: Carocci editore, 2008
Francesco Michelazzo, Nuovi itinerari alla scoperta del greco antico. Le strutture fondamentali della lingua greca: fonetica, morfologia, sintassi, semantica, pragmatica, Firenze: Firenze University Press, 2006
Nicoletta Natalucci, Il «Nuovo Metodo Grammaticale». Corso per l’apprendimento della lingua greca, 1. Pausania al computer, 2. Il Vecchio Oligarca al computer, Perugia: Morlacchi Editore, 2007
Renato Oniga, Il latino. Breve introduzione linguistica, Roma: FrancoAngeli, 20072 (20041)
Michele Prandi, L’analisi del periodo, Roma: Carocci editore, 2013
Michele Prandi, Cristiana De Santis, Le regole e le scelte. Manuale di linguistica e di grammatica italiana, Torino: UTET Università, 20112 (20061)
Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi, Anna Cardinaletti (curr.), Grande grammatica di consultazione, Bologna: il Mulino, 20012 (19881)
Francesco Sabatini, Carmela Camodeca, Cristiana De Santis, Sistema e testo. Dalla grammatica valenziale all’esperienza dei testi, Torino: Loescher Editore, 2011
Giampiero Salvi, Laura Vanelli, Nuova grammatica italiana, Bologna: il Mulino, 2004
Luciano Stupazzini, Gian Piero Benedetti, Stilus Romanus. Grammatica e lessico della lingua latina, Bologna: Zanichelli, 2005
Lucien Tesnière, Elementi di sintassi strutturale, ed. it. a cura di Germano Proverbio e Anna Trocini Cerrina, Torino: Rosenberg & Sellier, 2001 (orig. 1959)
Christian Touratier, Grammaire latine. Introduction linguistique à la langue latine, Paris: éditions sedes, 2008.

 

 

mercoledì 5 luglio 2017

"Avere una lingua, ma anche essere avuti da lei”

Questa frase di Mario Luzi (Pensieri casuali sulla lingua, 2003), citata come epigrafe da Francesco Sabatini nel suo libro Lezioni di italiano, ben si presta a riassumere il tema e l'atmosfera del Convegno Internazionale "Intorno al passivo in italiano e in altre lingue", che si è tenuto a Duino il 29 e 30 giugno presso il Collegio del Mondo Unito dell'Adriatico, organizzato dal centro di ricerca francese CRL, presieduto da Claire Martinot e Amr Helmy Ibrahim.
Un riflessione a più voci su quella che don Milani considerava una risorsa linguistica al servizio dell'espressione dell'affettività. Il passivo, infatti, è un tipo di costruzione che consente al parlante di intervenire sulla prospettiva della frase mettendo in primo piano il Paziente (chi subisce l'azione) anziché l'Agente (chi la compie), il quale può addirittura essere cancellato (magari perché sconosciuto o perché non lo si vuole nominare), oppure viene appositamente ritardato perché introdotto come nuovo o "contrastato" (implicitamente opposto a un altro agente).



Il passivo è una possibilità prevista in molte lingue, ma non in tutte (l'ungherese, per esempio, non ha il passivo). L'italiano, tra le lingue romanze, è la lingua che ha la più vasta gamma di perifrasi per formare il passivo: la forma "canonica" essere + participio passato, le forme con andare/venire + participio passato, vedersi + participio passato/infinito (forma di solito non citata nelle grammatiche), rimanere/restare/risultare + participio passato, oltre al si "passivante".
In italiano, inoltre, è possibile declassare l'agente e promuovere il paziente anche con una costruzione marcata tipica del parlato, chiamata "frase segmentata" (si veda l'immagine, tratta da Sabatini-Camodeca-De Santis 2011):



 
La scelta tra le diverse forme accentua il carattere statico (essere) o dinamico (venire) dell'azione, ma può anche agire sull'aspetto verbale, conferendo all'azione un carattere compiuto (perifrasi col participio passato), fiertivo (per indicare il divenire: ancora venire) o iterativo (di ripetizione: essere); oppure può conferire un carattere impersonale all'azione (che sembra quasi essersi prodotta da sé).
Nell'italiano contemporaneo, inoltre, tende a diffondersi anche una costruzione causativa o fattitiva con valore indebolito, ricalcata sul francese, che in alcuni contesti riceve interpretazione passiva (es. Si è fatto rubare il portafoglio),

Come ha sottolineato Claude Hagège nella sua relazione inaugurale, se ci sottraiamo alla tirannia del generativismo, che ha ridotto la costruzione passiva a una mera trasformazione sintattica della costruzione attiva che agirebbe in superficie (perché, mantenendo intatti i ruoli di Agente e Paziente, preserverebbe il significato e quindi la struttura profonda della frase), riusciremo a mettere a fuoco il valore pragmatico del passivo, che è utilizzato in determinati contesti comunicativi (nello scritto più che nel parlato) e in alcuni generi testuali più che in altri (scientifico, giuridico, burocratico-amministrativo) perché consente di spersonalizzare e oggettivare il discorso, conferendogli all'occorrenza un "effetto di autorità". O anche solo per aggiungere alla frase una certa modalità (una sfumatura legata all'atteggiamento del parlante rispetto al dire o al detto).


Attivo e passivo, insomma, sono due costruzioni correlate, che si definiscono per corrispondenze reciproche, ma non possono essere considerate equivalenti.


Proprio la ricerca di determinati effetti comunicativi giustificherebbe la tendenza a estendere la costruzione passiva a verbi intransitivi con reggenza preposizionale che non dovrebbero ammetterla (o che la ammettevano nella fase antica della lingua ma che nell'italiano contemporaneo sono sentiti come al limite della grammaticalità): obbedire a / essere obbedito (caso già noto e studiato), ma anche rimediare a / essere rimediato, alludere a / essere alluso e così via. Una tendenza registrata in testi giornalistici e testi burocratico-amministrativi.

Casi di "forzatura del sistema" diversi, ma simmetrici, rispetto alla citazione poetica di Luzi, in cui a essere volto al passivo è un verbo "stativo" (avere), che pur essendo transitivo non ammette il passivo (lo stesso accade per verbi indicanti relazione come concernere e riguardare).





Vale la pena ricordare che nei verbi (in)transitivi non c'è nulla che (non) "transiti": ci sono costruzioni verbali diverse (non di rado comprensenti in uno stesso verbo), dirette o indirette, con restrizioni sintattiche e semantiche diverse che dipendono (anche) dal significato del verbo.
Anche per questo il concetto di "valenza" riesce a descrivere i verbi con una precisione di gran lunga maggiore rispetto alla distinzione tradizionale transitivi/intransitivi, che funziona finché descriviamo la lingua nelle sue strutture prototipiche e negli usi più consueti, ma diventa insoddisfacente non appena - come don Chisciotte - guardiamo il rovescio dell'arazzo.