Il benzene è una struttura perfetta. Sei atomi di carbonio e sei di idrogeno disposti agli angoli di un esagono esatto, senza sbavature, flessioni, sporcizie. È una gemma che nasce compiuta, un'astrazione della natura. Fu un rompicapo il benzene, per gli scienziati. I chimici trascorsero notti insonni a premere le meningi per comprenderne la struttura. Il carbonio ha quattro braccia e con ognuna di esse deve afferrare un altro atomo. È così in chimica: non si può tendere una mano al vuoto. Ora, il carbonio dà una mano all'atomo d'idrogeno che gli corrisponde, con altre due si afferra agli atomi di carbonio vicini - come nel girotondo - e fanno tre. E la quarta? Come può la quarta mano penzolare nel vuoto? Questo rompicapo non fu risolto dai calcoli complicati di una notte tormentata. L'enigma fu sciolto dormendo. Il chimico Friederich August Kekulé von Stradonitz, disteso placidamente sul letto, sognò un serpente che afferrava la sua stessa coda e ruotava, ruotava velocissimo, cosicché la forma del rettile diventava una nuvola indistinta a forma di anello. Quella nuvola raffigurava qualcosa che ancora non poteva essere pensato, ma solo intuito con gli occhi. Così fu svelata la molecola del benzene: la quarta mano è offerta all'atomo di destra e a quello di sinistra alternativamente, ma a una tale velocità da diffondersi, spalmarsi, uniformemente nello spazio.
(Filippo Strumia, Flumen, Elliot 2013)
Tra le letture di un'estate che volge al termine mi piace segnalare un romanzo uscito alcuni anni fa, che si apre su una formula chimica ciclica e simmetrica: un sistema di doppi legami (valenze) che avvia una trama di giallo costruita intorno a un delitto rituale consumato col fuoco (sarà la benzina a bruciare il corpo, di un benzinaio).
È il romanzo di un poeta (Strumia è autore di due raccolte uscite nella serie bianca Einaudi: Pozzanghere, 2011, e Marciapiede con vista, 2016), e lo capisci dalla misura esatta e flessuosa delle frasi, dalla capacità di portare uno sguardo sulle cose in grado di assumerne il punto di vista (le parti pris des choses) a un livello basso (marciapiedi, pozzanghere, ombre, tombini...) e molecolare insieme.
Perché Strumia è anche medico (psichiatra e psicanalista) e sull'agglomerato di "atomi migranti" che ci costituisce - noi come le cose - ha radicato un'inquieta poetica dell'umano, del corpo lambito dalla parola, dissezionato e ricomposto, tra meraviglia e orrore - "della stessa materia dei sogni".