Si è spento il sorriso di uno dei maggiori linguisti francesi, Gaston Gross.
Un amico per chiunque abbia avuto la possibilità di lavorare con lui: centinaia tra colleghi, ingénieurs d'études, informatici, dottorandi provenienti da tutti i paesi del mondo, che negli anni hanno animato la vita del Laboratoire de Linguistique Informatique (LLI) dell'Università di Paris 13, da lui creato e diretto dal 1991 al 2004.
Viaggiatore instancabile, conferenziere brillante, maestro severo e generoso di generazioni di linguisti che ha formato a un'analisi rigorosa delle lingue naturali, aperta alle possibilità di trattamento informatico per la realizzazione di dizionari elettronici e traduttori automatici capaci di assicurare la vitalità delle diverse lingue e favorire l'intercomprensione.
Lorenese di origine, aveva fatto i suoi studi all'Université de Strasbourg, intrecciando lettere classiche, statistica e linguistica. La spinta decisiva ad approfondire la linguistica gli era venuta - così mi aveva raccontato - ascoltando una conferenza di Giacomo Devoto, invitato a parlare in quella università.
L'interesse per la dimensione applicativa lo aveva portato poi a raggiungere il suo omonimo Maurice Gross, animatore dalla fine degli anni Sessanta di un altro celebre laboratorio a Paris 7 (LADL, Laboratoire d'Automatique Documentaire et Linguistique) e iniziatore del metodo della lexico-grammaire, efficacemente tradotto in una pratica di descrizione delle possibilità combinatorie delle parole destinata ad aprire la strada a numerose applicazioni in ambito informatico.
All'interfaccia tra lessico, semantica e sintassi si collocano i principali contributi teorici di Gaston Gross: prima tra tutte la nozione di "classe d'objet" (classe di oggetti), utile per descrivere la natura semantica degli argomenti di un predicato, circoscrivendo meglio il fenomeno della polisemia. In secondo luogo il concetto di "verbe support" (verbo leggero o di supporto), che ha permesso di studiare in modo più approfondito il funzionamento dei predicati nominali. Anche i suoi studi dedicati alla dimensione del "figement" (idiomaticità), cioè del riconoscimento del significato unitario di unità complesse, hanno permesso al trattamento automatico della lingua di fare grandi passi.
Le numerosissime tesi di dottorato da lui dirette, inizialmente dedicate a lingue neolatine e germaniche ma presto estese alle lingue del blocco orientale, all'arabo, al cinese ecc., hanno del resto mostrato la fertilità delle sue intuizioni teoriche e la loro applicabilità a lingue tipologicamente diverse.
Intuizioni esplorate, oltre che in centinaia di articoli e scientifici, nelle sue due opere disponibili in italiano: La finalità. Strutture concettuali e forme di espressione in italiano (con C. De Santis e Michele Prandi, Olschki, 2005) e La sintassi del lessico. Manuale di linguistica aperto all'informatica e alla filosofia (con M. Fasciolo, UTET 2021), recensito qui.
Al di là della collaborazione scientifica con un linguista che mi ha insegnato a guardare alla frase come unità di analisi, esplorando sempre gli immediati dintorni di una parola, mi piace pensare che, quando uso un buon traduttore automatico che basa la sua precisione sull'analisi di grandi corpora di testi tradotti, ma ancora prima - quando digito frettolosamente un nome su un motore di ricerca per ricevere immediatamente suggerimenti di correzione - dietro queste conquiste ci sono linguisti straordinari come Gaston.
Una persona cui debbo tanto, anche personalmente, perché mi ha permesso di pensare e scrivere in una lingua d'adozione, di avere una città del cuore in cui tornare, di stringere amicizie che durano nel tempo nonostante le distanze.