Non è di loro né di me che voglio scrivere, ma di una neolaureata in un altro Ateneo (Padova) e in una disciplina (Lingua e letteratura e latina) diversa da quelle che io insegno, venuta a presentarmi il suo progetto di tesi (Applicazione del modello valenziale al sistema delle completive latine) dopo averlo discusso con il relatore, prof. Luigi Salvioni.
Si chiama Lara Piva. Le ho chiesto di sintetizzare il suo lavoro (che si può leggere per intero questo link) a beneficio dei lettori del blog (molti dei quali interessati al tema dell'insegnamento delle lingue classiche).
Come è avvenuto il tuo incontro con il modello valenziale?
Sebbene un timido accenno alla valenza verbale fosse presente nel mio manuale di latino al liceo, l’intramontabile Flocchini / Guidotti Bacci / Moscio (Nuovo comprendere e tradurre, Bompiani, Milano, 2001), non ho avuto occasione di avvicinarmi alla grammatica valenziale prima di arrivare all'università. L’incontro fatale si deve alla professoressa Elena Maria Duso, che nel corso di Lingua Italiana mi ha fatto conoscere e, soprattutto, apprezzare questo modello, ancora poco noto e applicato nel mondo degli antichisti.
Quali sono le
potenzialità della sua applicazione alla didattica del latino?
Per capire i vantaggi che la grammatica valenziale porterebbe
alla didattica del latino rispetto alla grammatica tradizionale, basta
fare un confronto tra i due metodi di analisi di fronte a una frase complessa. Prendiamo per esempio una frase dai Facta
et dicta memoriabilia di Valerio Massimo (2.4.5), autore annoverato
nel repertorio delle letture degli studenti del biennio: Et quia ceteri ludi ipsis appellationibus unde trahantur apparet, non absurdum videtur saecularibus initium suum, cuius minus trita notitia est, reddere.
Oltre a questo, la grammatica tradizionale farebbe l’analisi dei singoli costituenti senza tenere in conto l’ordo verborum. Da una simile analisi risulterebbe la traduzione:
«E, siccome dai loro nomi è chiaro da dove derivino gli altri giochi, non pare assurdo attribuire ai ludi secolari il loro inizio, la cui notizia è meno accurata».
Un’osservazione interessante si può fare su ipsis
appellationibus, che la grammatica
tradizionale etichetta alternativamente come complemento di strumento
(“tramite i loro stessi nomi”) o di limitazione (“nei loro stessi nomi”).
Invece la valenziale lo interpreta all’interno del quadro predicativo di apparet.
Alla luce di questa analisi, si può proporre una traduzione più efficace:
«E poiché, a proposito degli altri giochi, dai loro stessi nomi è evidente da dove derivano, non sembra assurdo attribuire il loro inizio ai ludi secolari, sui quali la documentazione è meno accurata».
In definitiva, la morfologia (un ambito senza dubbio necessario per l’apprendimento di una lingua) è spiegata molto bene dalla
grammatica tradizionale; non altrettanto la sintassi, per cui mancano strumenti adeguati di analisi della frase semplice, della frase complessa e dei
meccanismi comunicativi del messaggio. La grammatica tradizionale non coglie,
per esempio, le dislocazioni, i quadri predicativi e le funzioni; e si ostina a
dare etichette a complementi e frasi che però non sono sempre espansioni ma
possono anche appartenere alla struttura argomentale.
Invece, la grammatica valenziale, sia da sola sia soprattutto
potenziata con altri strumenti esterni, permette di dare una soluzione chiara
ai problemi di analisi e traduzione del testo.
Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel corso del lavoro?
In Italia la grammatica valenziale è una sorta di hic sunt leones nello studio delle lingue antiche. Questo da un lato mi ha permesso di portare avanti il mio studio con una certa autonomia, usufruendo delle fonti scientifiche disponibili (es. H. Pinkster, Latin Syntax and Semantics, Routledge, London, 1990) in modo diverso rispetto all'uso fattone dai miei docenti. Dall’altro, però, l’audacia nel fare qualcosa di innovativo mi ha causato qualche difficoltà dovuta alla loro prudente resistenza.
Le fonti disponibili sulla grammatica valenziale latina, inoltre, sono pochissime e ancora meno quelle note. Trovarle non è stato semplice, e alcune volte si è trattato di un caso fortuito.
La difficoltà maggiore, ma anche quella più stimolante, è stata comunque tradurre il modello Sabatini nel sistema linguistico latino, quando gli studi scientifici si appoggiavano quasi esclusivamente su stemmi derivati da Seitz (Fare latino. Manuale di latino, a cura di G. Proverbio, L. Sciolla, E. Toledo, SEI, Torino, 1983) e Tesnière (Elementi di sintassi strutturale, a cura di G. Proverbio, A. Trocini Cerrina, Rosenberg & Sellier, Torino, 2001).
Tenuto conto del fatto che il modello Sabatini è pensato per l’italiano L1, mentre il latino è una L2, ho dovuto modificare e integrare il modello con nozioni non propriamente valenziali, quali il sintagma e il ruolo tematico (sarò sempre debitrice alle lezioni di generativismo all’università).La difficoltà maggiore, ma anche quella più stimolante, è stata comunque tradurre il modello Sabatini nel sistema linguistico latino, quando gli studi scientifici si appoggiavano quasi esclusivamente su stemmi derivati da Seitz (Fare latino. Manuale di latino, a cura di G. Proverbio, L. Sciolla, E. Toledo, SEI, Torino, 1983) e Tesnière (Elementi di sintassi strutturale, a cura di G. Proverbio, A. Trocini Cerrina, Rosenberg & Sellier, Torino, 2001).
Con l’aiuto del dottor Matteo Ceporina, un filologo classico felicemente convertito alla linguistica, mi sono messa a osservare in chiave primariamente sintattica e sabatiniana tutto ciò che altri manuali, valenziali e non, spiegavano con morfosintassi o morfosemantica.
Ho capito di essere nella direzione giusta quando ho potuto confrontarmi con i contributi di Emanuela Andreoni Fontecedro (autrice, con M. Agosti e C. Senni, di una Guida alla traduzione del testo latino, Edizioni Studium, Roma, 2017): la latinista è stata la prima a trasferire il modello Sabatini in una lingua antica.
Quali sono le proposte didattiche che hai delineato nella tua tesi?
Sebbene in tutto il mio elaborato l’aspetto didattico fosse centrale, nelle conclusioni ho cercato di tirare le fila e di fare alcune considerazioni.
La didattica delle lingue antiche in Italia ha bisogno di freschezza, innovazione, aggiornamento e, se mi è lecito dirlo, di audacia. Tutti siamo debitori nei confronti degli studi linguistici degli stoici, della grammatica di Port-Royal, dei filologi tedeschi e di tanti altri studiosi del passato più o meno recente. Ma, mentre questi lavori rimangono solidi nella loro monumentalità, il mondo attorno a loro e a noi sta cambiando, e non parlo solo dello sviluppo della moderna linguistica. La digitalizzazione, per esempio, ha cambiato completamente l’approccio sistematico che fino a una generazione fa si aveva di fronte ai testi: dalla memoria elefantiaca si è passati al link.
Ma non è tutto. Possiamo dirlo senza paura: ai giovani il latino non piace e loro non ne sentono la necessità, soprattutto nel mondo in cui vivono, in cui la “pratica” conta più della “grammatica”. Questo basta a scoraggiare gli studenti dall’iscriversi al liceo e i liceali dallo studiare, tra tante materie interessanti, una lingua così ostica. Per i giovani d’oggi (soprattutto se ostacolati da disturbi dell'apprendimento) sarebbe improponibile imparare a memoria una quantità esorbitante di dati morfologici di una lingua altamente flessiva come il latino (per non parlare del greco!), soprattutto se poi, di fronte al testo, l’apprendimento mnemonico delle nozioni relative alle parole non fornisce una via sicura per la comprensione dell’intero.
Che fare?
Io penso che si potrebbe e dovrebbe partire dalla frase per avvicinare lo studio al discente, rendendolo più "logico", comprensibile e, forse, apprezzabile.
Tornando all'esempio delle completive, le catalogazioni semantiche e morfologiche rischiano di mancare di esaustività nella descrizione del fenomeno; far perdere organicità, rendendo caleidoscopico un fatto linguistico unico; confondere il discente nella memorizzazione. Elencare tutte le espressioni possibili che possono reggere una completiva (e catalogare le completive in base a introduttore e forma verbale) fa perdere di vista il fatto che i verbi reggenti sono predicati (verbali e nominali) e le completive argomenti. Il resto è facies.
Un consiglio che mi sento di dare è di osservare sempre la struttura dietro i fenomeni e non solo la superficie. Possiamo dire che il mare è blu, ma questo non basterebbe a descrivere l’intero ecosistema che vive sotto il pelo dell’acqua: per la lingua è lo stesso.
“Frase” e “periodo”, per esempio, possono sembrare elementi a sé stanti ma, a ben guardare, la frase complessa può essere vista come una “traslazione” della frase singola, come ci insegna Tesnière. Sintagmi diventano frasi, senza che per questo cambi il loro ruolo sintattico. Osservare questo aspetto e giocare con questi tasselli può aiutare lo studente a concepire la lingua come qualcosa di più elastico e interessante.
In quale direzione intendi continuare il lavoro?
Sto lavorando al progetto di un dizionario valenziale latino: un lessico latino fondamentale che ponga le basi per future sperimentazioni didattiche di più ampio raggio, descrivendo la valenza verbale nella sua complessità.
La valenza è una nozione, a mio parere, più complessa di un mero numero. È una sinapsi che viaggia attraverso le tre interfacce principali della lingua: semantica, sintassi e morfologia. La valenza in senso ampio comprende varie informazioni: il significato profondo della parola, ovvero il processo; il numero dei protagonisti del processo stesso, quindi gli argomenti; il ruolo di questi protagonisti all’interno del processo, dunque i ruoli tematici (o ruoli semantici). Infine viene il sistema casuale: marche morfologiche che dipendono dal rapporto che di volta in volta si instaura tra i nervi di questa sinapsi (es. occupo urbem e potior urbe hanno significati simili ma quadri predicativi differenti). Possiamo schematizzare tutto il processo con un esempio semplice, interficio:
Si direbbe una voce pilota del dizionario!
Buon lavoro, allora...