giovedì 25 agosto 2016
Risorse on line sulla GV
10 risorse on line per docenti sulla Grammatica Valenziale realizzate per l'INDIRE (MIUR) nell'ambito del progetto Europeo PON: un'unità teorica di Francesco Sabatini corredata da unità didattiche e videodocumentazione.
http://www.scuolavalore.indire.it/guide/il-modello-della-grammatica-valenziale-2/
E, per inserire la grammatica valenziale nel più complesso panorama della linguistica (italiana e generale), un'unità teorica realizzata per l'INDIRE da Franca Orletti e Cristiana De Santis:
http://forum.indire.it/repository/working/export/5756/
domenica 21 agosto 2016
Grammatica in gioco (2011)
Prima di finire nei libri, la grammatica è già nella nostra testa. Vive lì scomposta in paradigmi, cioè in tanti cassetti che contengono verbi, nomi, aggettivi… e perfino pezzi di parole che possiamo usare per comporre parole nuove. Tutti questi pezzi diversi sono pronti per entrare «in gioco», cioè per combinarsi e formare le «partite» dei nostri discorsi e dei testi che scriviamo. Conoscere le regole del gioco ci serve anche per capire le «mosse» degli altri, cioè i discorsi che ascoltiamo e i testi che leggiamo: perfino quelli più astrusi, come la poesia sui «tospi agìluti» con cui deve fare i conti la protagonista del libro. Con l’aiuto di un’insegnante speciale e di una mamma che – inspiegabilmente – adora i compiti di grammatica, Clarice impara a riconoscere i diversi pezzi non solo per la forma che hanno, ma anche per la funzione che possono svolgere e per il modo in cui si organizzano quando devono formare una frase: con ordine, secondo reggenza, in accordo e collegamento. Dopo aver letto la storia, potrete entrare con Clarice nel laboratorio di grammatica per fare esperimenti insoliti.
Grammatica in gioco è un racconto per piccolo e grandi scritto da CRISTIANA DE SANTIS, illusrato da Elena Veronelli e pubblicato dalle edizioni Dedalo di Bari.
Puoi leggere l'indice, un brano, oppure comprarlo:
http://www.edizionidedalo.it/grammatica-in-gioco.html
La GV al MIUR: Come si valuta un preside (Paolo Di Stefano, 2016)
Come si valuta un preside
Anche i dirigenti scolastici avranno un giudizio. Si utilizza il metodo della «grammatica valenziale». L’esito sarà impiegato per la retribuzione di risultato. Oltre 200 dirigenti hanno presentato dati Invalsi non corrispondenti alla realtà
di Paolo di Stefano
il Corriere della Sera, 7 luglio 2016
Anche i presidi avranno la pagella. O meglio, anche i presidi verranno valutati. Per la prima volta. Poco più di una settimana fa la ministra Stefania Giannini ha firmato una direttiva per la valutazione dei dirigenti scolastici, che con la Buona Scuola hanno acquisito maggiori responsabilità organizzative e didattiche. Sono oltre settemila e a ciascuno di loro vengono assegnati vari obiettivi di miglioramento: scopo dichiarato dal ministro è «la loro crescita professionale e, di conseguenza, il miglioramento della comunità scolastica in cui operano». Ma se i risultati non verranno, non si escludono provvedimenti: i dirigenti cambiano scuola o lavoro. Il problema è: con quali criteri valutarli? Lo spiega Damiano Previtali, ex preside del liceo classico Sarpi di Bergamo, oggi responsabile della Valutazione del sistema di istruzione: la parola chiave rivela risvolti molto affascinanti (e nuovi). È «grammatica valenziale». Si tratta di un modello di descrizione della struttura della frase elaborato negli anni 50 da un linguista francese, Lucien Tesnière, e sviluppato in Italia, per manuali e dizionari, da studiosi illustri come Francesco Sabatini, presidente emerito dell’Accademia della Crusca.
La valutazione su fondamenti neurologici
È lo stesso Sabatini a illustrare il senso di questo tipo di indagine, esteso ormai a quasi tutte le lingue. Partendo dal principio che la lingua è un sistema incardinato nel cervello, questa grammatica riconosce nel verbo delle valenze che dipendono della sua forza aggregativa. Qualche esempio. Un verbo come «regalare» è trivalente perché per essere completato necessita di tre argomenti: chi regala? che cosa regala? a chi regala? Un verbo come «sbadigliare» è monovalente (chi sbadiglia?). Un verbo come «mangiare» è bivalente (chi mangia? che cosa mangia?) eccetera. Questa idea, che ha fondamenti neurologici, permette di valutare la coerenza e la chiarezza dei testi normativi: leggi, prescrizioni, ricette, istruzioni tecniche (è logico che un’opera letteraria segue criteri più elastici). Ebbene, le relazioni richieste ai presidi (150 caratteri per ogni obiettivo) appartengono alla sfera normativa e dunque sono valutabili secondo criteri scientifici. Gli informatici della Hewlett Packard, con un particolare trattamento testuale, hanno magicamente trasformato la teoria valenziale in sistema di valutazione: «Un’analisi molto ricca e raffinata — sottolinea Previtali — ma soprattutto una rivoluzione per il sistema scolastico attesa da 15 anni».
Il rischio dell’autocelebrazione
Ebbene, i primi risultati sono già disponibili per i materiali dell’anno appena concluso. E dicono che il 5 per cento dei presidi (cioè oltre 350) non ha definito bene i propri obiettivi, secondo i criteri della pertinenza, della chiarezza e della coerenza. «Ogni dirigente — dice Previtali — deve segnalare al ministero i punti di forza e di debolezza del proprio istituto: risultati scolastici, risultati delle prove Invalsi, delle competenze-chiave di cittadinanza eccetera. In funzione di questi, il dirigente individua delle aspettative».
Il rischio dell’autocelebrazione non è da escludere, ma ci sono sistemi comparativi con i dati già in possesso del ministero (su debiti, dispersione scolastica, Invalsi eccetera), che permettono di misurare la coerenza delle «autoanalisi»: proprio su queste basi si viene a scoprire che il 3 per cento, dunque ben oltre duecento dirigenti, ha presentato dati Invalsi che non coincidono con i dati reali: «peccato grave» è la metafora usata da Previtali. Al 5 per cento da «bocciatura», si aggiunge un 10 per cento di relazioni con errori più lievi («obiettivi non saturi» dice il lessico burocratico), che Previtali definisce «accettabili». Tra accettabili e non accettabili saliamo, insomma, al 15. Se è vera rivoluzione, ciò avviene perché finalmente alle scienze del linguaggio viene riconosciuto un ruolo che va oltre l’applicazione, ovvia, alla didattica.
Il rischio dell’autocelebrazione non è da escludere, ma ci sono sistemi comparativi con i dati già in possesso del ministero (su debiti, dispersione scolastica, Invalsi eccetera), che permettono di misurare la coerenza delle «autoanalisi»: proprio su queste basi si viene a scoprire che il 3 per cento, dunque ben oltre duecento dirigenti, ha presentato dati Invalsi che non coincidono con i dati reali: «peccato grave» è la metafora usata da Previtali. Al 5 per cento da «bocciatura», si aggiunge un 10 per cento di relazioni con errori più lievi («obiettivi non saturi» dice il lessico burocratico), che Previtali definisce «accettabili». Tra accettabili e non accettabili saliamo, insomma, al 15. Se è vera rivoluzione, ciò avviene perché finalmente alle scienze del linguaggio viene riconosciuto un ruolo che va oltre l’applicazione, ovvia, alla didattica.
7 luglio 2016 (modifica il 9 luglio 2016 | 10:01)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Recensione di Cesare Segre (2011)
Corriere della Sera,
di CESARE SEGRE
Tra i ricordi della scuola media, è persistente per tutti noi quello dell’analisi logica, con la quale si dovrebbero mettere in evidenza le articolazioni del pensiero in qualunque frase o enunciato. Abbastanza facile individuare il soggetto, anche se poi va distinto quello grammaticale da quello logico (in «mi piacciono le vacanze», il soggetto grammaticale sono le vacanze, il soggetto logico è «io»); e ci sono frasi senza soggetto («piove», «fa caldo»), e gli imperativi, e così via. Nemmeno il verbo (il predicato) dà molte difficoltà. Ma poi ci sono i complementi, per i quali sembrano non bastare più quelli fissati dalla grammatica tradizionale, legati ai casi del latino (complemento oggetto, di specificazione, di termine, di causa, di tempo, ecc.), ma se ne inventano infiniti di nuovi, croce e non delizia dei nostri studenti.
Tra quelli che hanno cercato di analizzare davvero logicamente la frase, si pone ora Francesco Sabatini, presidente onorario di quell’Accademia della Crusca che da secoli si occupa della nostra lingua, e tramite questa delle lingue in generale. Senza fare una rassegna degli importanti lavori di storia della lingua di Sabatini, credo invece utile rilevare che in un dizionario dell’italiano di grande diffusione, il Disc (Dizionario italiano Sabatini Coletti, dal nome dei due autori, presso Rizzoli-Larousse), Sabatini ha rivolto sistematicamente l’attenzione alla sintassi e in particolare agli elementi linguistici che permettono di collegare i verbi con i loro complementi, e i connettivi testuali a partire dalle congiunzioni. Perciò alle consuete definizioni delle parole si aggiungono, nel Disc, le notizie sul loro modo di sistemarsi entro la frase.
Ora Sabatini ha generalizzato e sistematizzato il suo studio della sintassi, come risulterà da un volume in uscita per luglio, scritto con Carmela Camodeca e Cristiana De Santis, su Sistema e testo. Dalla grammatica valenziale all’esperienza dei testi (Loescher, pagine 786, 29,90). Si tratta di un volumone di quasi 800 pagine di grande formato, in cui s’inquadra, nella prima sezione, il linguaggio verbale tra gli altri linguaggi, visivi, gestuali, simbolici, quelli degli animali, ecc., e si termina (quinta sezione) con la storia della nostra lingua e (sesta sezione) con la morfologia e la fonetica dell’italiano.
Ci soffermiamo sulle sezioni centrali perché è qui che Sabatini avanza le proposte più innovative. Esse s’inseriscono naturalmente nella prospettiva di attenzione alla sintassi promossa soprattutto dal celebre linguista Noam Chomsky (nato nel 1928), con la sua grammatica (o linguistica) generativo-trasformazionale, ormai diffusissima, sin troppo, dato che ha anche aspetti negativi che sarebbe lungo illustrare. Semplificando molto, diremo che per Chomsky ogni parlante ha una «competen- za» che gli permette di inventare un numero infinito di frasi secondo la grammatica e con il lessico della sua lingua. Il parlante ha assimilato una serie di regole che legano tra loro tutti gli elementi costituenti ogni sua frase. Da queste frasi si possono astrarre costrutti sempre più semplici (le strutture profonde), sino a giungere a forme anteriori alle singole lingue, e anzi comuni a tutte le lingue. Insomma, la nostra capacità lingui- stica sarebbe innata, e questo ci porterebbe a confermare l’origine unitaria di tutta l’umanità.
Pur mediante procedimenti simili, Sabatini ha obiettivi molto più concreti. Si tratta per lui di organizzare un tipo di analisi del discorso che sia chiaro, rigoroso e didatticamente funzionale: per questo si rivolge ai docenti e agli studenti del liceo. Prendiamo una frase elementare: «Gli amici regalano un libro a Giulia». Nel suo nucleo abbiamo un verbo (regalano) e tre enti, o «argomenti»: i donatori, l’oggetto donato, il destinatario del dono. Sabatini si ispira dichiaratamente a un geniale e discusso l i nguist a f r a ncese, Luci e n Tesnière (1893-1954), professore a Strasburgo e a Montpellier. Tesnière, invece che di «argomenti», parlava di attanti, e il semiologo Greimas avrebbe adottato il termine per indicare chi agisce in una narrazione.
Ma andiamo avanti. Nella frase citata, «il libro» è l’oggetto diretto, mentre Giulia è l’oggetto indiretto. Si noti che il verbo si accorda con il soggetto, e l’oggetto indiretto viene legato al verbo da una preposizione, a. Qui si piomba nel campo della semantica, cioè nello studio dei significati. Perché i verbi possono avere da nessun argomento a quattro argomenti: ne ha due amare (chi ama e chi è amato), tre dare (chi dà, a chi, e che cosa), ecc. A questo punto è provvidenziale un altro concetto, quello di valenza. In chimica la valenza è la capacità che ha un atomo di combinarsi con altri atomi (non più di quattro) per costituire una molecola: saturando con due atomi di idrogeno le due valenze di un atomo di ossigeno si ottiene una molecola di acqua: H2O. Analogamente, ogni verbo ha da una a quattro valenze, che vanno saturate da altrettanti argomenti. E siccome le parole hanno spesso più significati, e secondo il contesto uno di questi viene selezionato, anche le valenze cambiano secondo i significati («io penso» ha una sola valenza quando significa «io faccio funzionare la mente», ma «io penso ai miei guai» ne ha due).
È solo un accenno, semplificato violentemente, di ciò che viene rappresentato da Sabatini con schemi multicolori sempre più complessi, preziosi nella didattica (un cd è accluso). Riuscirà con questa costruzione interpretativa a rivoluzionare l’insegnamento della lingua? Si vedrà. Ma è certo auspicabile.
La chimica della frase (2013)
Superbo,
Il Verbo
Tratta da burattino
Il soggetto e il suo destino.
Ai miei ordini:
Un! Due! Tre!
Fa,
Subisce
oppure è.
(Andrée Chedid, Fêtes et lubies. Petits poèmes pour les sans-âge, Flammarion, 1999, trad. mia)
Questa poesiola, mandata a memoria da molti bambini francesi, riassume bene l’identità del “soggetto” grammaticale: un sottoposto (dal lat. subiectum, derivato di subicere ‘sottoporre’) del verbo. All’interno di una frase, il soggetto ha poco potere: si limita a imporre al verbo l’accordo di persona e numero. Ma è sempre il verbo a decidere quale ruolo il soggetto dovrà interpretare sulla scena della frase: spesso il protagonista, ma altrettanto spesso un primus inter pares: un argomento tra gli altri, necessario per completare il significato del verbo.
In una frase come Paola coglie i fiori, i fiori sono importanti quanto Paola per mettere in scena l’evento descritto dal verbo (l’azione di cogliere, cioè “prendere qualcosa staccandolo”): Paola coglie non è una frase completa. In una frase come A Paola piacciono i fiori, del resto, è evidente che stiamo parlando ancora degli stessi personaggi (Paola e i fiori), entrambi necessari per la completezza della frase, ma la scena è diversa: i fiori (soggetto) non compiono nessuna azione e Paola si limita a recitare la parte di chi sperimenta una certa sensazione (come nella frase Paola ama i fiori, in cui Paola è in posizione di soggetto, ma non è l’agente, cioè la responsabile di un’azione, visto che amare non è un’azione, ma un sentimento, anche se comporta delle responsabilità, anche verso i fiori che si coltivano).
Questa visione della frase, che fa parte del patrimonio comune di tanti studenti francesi e tedeschi, e che noi stessi abbiamo applicato più o meno consapevolmente nella traduzione dal latino (partendo dal verbo e interrogandoci sulla sua costruzione: aliquis amat aliquem o aliquam rem, come si legge sul dizionario IL di latino alla voce amo, as, avi, atum, are), in Italia ha tardato e stenta ad affermarsi, almeno nella didattica dell’italiano, in cui si continua a fare la cosiddetta analisi logica partendo dal soggetto, facendo coincidere il predicato (“ciò che viene predicato, detto intorno al soggetto” col solo verbo (indipendentemente dal tipo di verbo in questione) e aggiungendo alla diade soggetto-predicato (spesso chiamata, sulla scia di Martinet, “frase minima”) una “selva” di complementi senza ordine e gerarchia – come scrive Francesco Sabatini nella sua Lettera sul ritorno della grammatica (2004).
Su questo tema riflette un piccolo e prezioso libro uscito per Carocci: La frase: analisi logica (Bussole, terzo volumetto della collana “Grammatica tradizionale e linguistica moderna”, 2012), opera di Giorgio Graffi, uno dei maggiori rappresentanti in Italia della corrente linguistica chiamata grammatica generativa: un modello formale di analisi della frase sviluppato negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso, grazie ai lavori di Noam Chomsky (1928-).
Negli stessi anni, in Francia, prendeva avvio un altro modello di descrizione della frase, basato sulla centralità del verbo, grazie ai lavori dello strutturalista Lucien Tesnière (1893-1954): la grammatica valenziale, così chiamata perché basata sulla metafora chimica della “valenza” o legame chimico: il verbo, come un elemento chimico, ha la capacità di legare a sé un certo numero di elementi (nomi o pronomi) per formare quello speciale composto che sono le nostre frasi. Quest’ultimo modello ha trovato sviluppi soprattutto in Germania (dove è nota col nome di “grammatica della dipendenza”) a partire dalla fine degli anni ’60, specialmente in ambito lessicografico. In Italia il modello è stato adottato a partire dagli anni ’70 dal latinista Germano Proverbio, e applicato alla descrizione dell’italiano da Francesco Sabatini in manuali scolastici di grammatica pubblicati a partire dagli anni ’80 dalla casa editrice Loescher (si veda, da ultimo, Sistema e testo, 2011) e nel dizionario italiano Sabatini Coletti, conosciuto come DISC (Giunti 1997, nuova ed. Larousse 2007), che descrive tutti i verbi a lemma secondo il principio della valenza.
I rapporti e le affinità tra i due modelli (in particolare per quanto riguarda l’idea che la frase si costruisce a partire dalle proprietà del verbo, e la distinzione tra elementi obbligatori ed elementi facoltativi della frase) sono chiarite da Graffi nel suo volumetto.
Se il modello generativista risulta però difficilmente proponibile nelle scuole, vista la complessità del suo formalismo, il modello valenziale risulta particolarmente efficace nell’insegnamento dell’italiano sia come lingua madre (L1) e sia come lingua seconda (L2). Su questo tema si è riflettuto venerdì 14 dicembre, nel corso di un convegno organizzato presso l’Università di Milano, intitolato: “Il ruolo della grammatica valenziale nell’insegnamento delle lingue straniere”.*
I numerosi contributi, di linguisti italiani e tedeschi, hanno confermato la vitalità di questa corrente di studi e la sua utilità sia nella pratica lessicografica – come mostrano i numerosi dizionari bilingui tedesco-italiano della valenza verbale elaborati a partire dagli anni ’90 da Maria Teresa Bianco e Martina Nied-Curcio tra gli altri, e da ultimo la pubblicazione del Nuovo dizionario di tedesco di Luisa Giacoma e Susanne Kolb (Zanichelli, 2009) – e sia nella didattica delle lingue: riflettere sulle valenze dei verbi ci aiuta riflettere sulle specificità e sulle differenze sintattiche e semantiche tra due o più lingue. Come ha illustrato Fabio Mollica nella sua relazione, i “falsi amici” (parole di una lingua simili nella forma, ma diverse nel significato: come l’italiano fermare e il francese fermer “chiudere”) non riguardano solo il lessico, ma anche la sintassi: due verbi di forma e significato simile possono avere costruzioni diverse in due lingue vicine (es. italiano concentrasi su e spagnolo concentrarse en; it. interessarsi a/di e sp. interesarse por; it. telefonare a e sp. telefonar).
D’altra parte, nella didattica dell’italiano come L1, la grammatica valenziale permette di far vedere in modo semplice e intuitivo i confini della frase e i rapporti gerarchici al suo interno, grazie anche a una nuova modalità di rappresentazione grafica (gli schemi radiali elaborati da Francesco Sabatini) che rende in modo efficace il senso di profondità della frase, nascosto dalla disposizione lineare delle parole. Permette inoltre di collegare la prospettiva grammaticale (l’analisi “in laboratorio” di frasi sottovuoto, come Paola ama i fiori, o Le scarpe sono brutte) alla prospettiva testuale, fornendo una griglia di fenomeni linguistici che caratterizzano i diversi tipi di testo a seconda del grado di rigidità o di elasticità che presentano: in un testo giuridico, che vincola il destinatario a un’interpretazione tendenzialmente univoca delle frasi, tutti gli argomenti di un verbo saranno esplicitati (tutte le valenze saranno cioè “saturate”); in un testo letterario, invece, potremo incontrare una frase come La sventurata rispose, che lascia aperto lo spazio dell’interpretazione e dell’immaginazione narrativa.
Cristiana De Santis (C) 2012
http://www.laricerca.loescher.it/lingua-italiana/333-la-chimica-della-frase.html
* Gli Atti del Convegno sono ora disponibili in formato cartaceo ed e-book: http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854888029
Il Verbo
Tratta da burattino
Il soggetto e il suo destino.
Ai miei ordini:
Un! Due! Tre!
Fa,
Subisce
oppure è.
(Andrée Chedid, Fêtes et lubies. Petits poèmes pour les sans-âge, Flammarion, 1999, trad. mia)
Questa poesiola, mandata a memoria da molti bambini francesi, riassume bene l’identità del “soggetto” grammaticale: un sottoposto (dal lat. subiectum, derivato di subicere ‘sottoporre’) del verbo. All’interno di una frase, il soggetto ha poco potere: si limita a imporre al verbo l’accordo di persona e numero. Ma è sempre il verbo a decidere quale ruolo il soggetto dovrà interpretare sulla scena della frase: spesso il protagonista, ma altrettanto spesso un primus inter pares: un argomento tra gli altri, necessario per completare il significato del verbo.
In una frase come Paola coglie i fiori, i fiori sono importanti quanto Paola per mettere in scena l’evento descritto dal verbo (l’azione di cogliere, cioè “prendere qualcosa staccandolo”): Paola coglie non è una frase completa. In una frase come A Paola piacciono i fiori, del resto, è evidente che stiamo parlando ancora degli stessi personaggi (Paola e i fiori), entrambi necessari per la completezza della frase, ma la scena è diversa: i fiori (soggetto) non compiono nessuna azione e Paola si limita a recitare la parte di chi sperimenta una certa sensazione (come nella frase Paola ama i fiori, in cui Paola è in posizione di soggetto, ma non è l’agente, cioè la responsabile di un’azione, visto che amare non è un’azione, ma un sentimento, anche se comporta delle responsabilità, anche verso i fiori che si coltivano).
Questa visione della frase, che fa parte del patrimonio comune di tanti studenti francesi e tedeschi, e che noi stessi abbiamo applicato più o meno consapevolmente nella traduzione dal latino (partendo dal verbo e interrogandoci sulla sua costruzione: aliquis amat aliquem o aliquam rem, come si legge sul dizionario IL di latino alla voce amo, as, avi, atum, are), in Italia ha tardato e stenta ad affermarsi, almeno nella didattica dell’italiano, in cui si continua a fare la cosiddetta analisi logica partendo dal soggetto, facendo coincidere il predicato (“ciò che viene predicato, detto intorno al soggetto” col solo verbo (indipendentemente dal tipo di verbo in questione) e aggiungendo alla diade soggetto-predicato (spesso chiamata, sulla scia di Martinet, “frase minima”) una “selva” di complementi senza ordine e gerarchia – come scrive Francesco Sabatini nella sua Lettera sul ritorno della grammatica (2004).
Su questo tema riflette un piccolo e prezioso libro uscito per Carocci: La frase: analisi logica (Bussole, terzo volumetto della collana “Grammatica tradizionale e linguistica moderna”, 2012), opera di Giorgio Graffi, uno dei maggiori rappresentanti in Italia della corrente linguistica chiamata grammatica generativa: un modello formale di analisi della frase sviluppato negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso, grazie ai lavori di Noam Chomsky (1928-).
Negli stessi anni, in Francia, prendeva avvio un altro modello di descrizione della frase, basato sulla centralità del verbo, grazie ai lavori dello strutturalista Lucien Tesnière (1893-1954): la grammatica valenziale, così chiamata perché basata sulla metafora chimica della “valenza” o legame chimico: il verbo, come un elemento chimico, ha la capacità di legare a sé un certo numero di elementi (nomi o pronomi) per formare quello speciale composto che sono le nostre frasi. Quest’ultimo modello ha trovato sviluppi soprattutto in Germania (dove è nota col nome di “grammatica della dipendenza”) a partire dalla fine degli anni ’60, specialmente in ambito lessicografico. In Italia il modello è stato adottato a partire dagli anni ’70 dal latinista Germano Proverbio, e applicato alla descrizione dell’italiano da Francesco Sabatini in manuali scolastici di grammatica pubblicati a partire dagli anni ’80 dalla casa editrice Loescher (si veda, da ultimo, Sistema e testo, 2011) e nel dizionario italiano Sabatini Coletti, conosciuto come DISC (Giunti 1997, nuova ed. Larousse 2007), che descrive tutti i verbi a lemma secondo il principio della valenza.
I rapporti e le affinità tra i due modelli (in particolare per quanto riguarda l’idea che la frase si costruisce a partire dalle proprietà del verbo, e la distinzione tra elementi obbligatori ed elementi facoltativi della frase) sono chiarite da Graffi nel suo volumetto.
Se il modello generativista risulta però difficilmente proponibile nelle scuole, vista la complessità del suo formalismo, il modello valenziale risulta particolarmente efficace nell’insegnamento dell’italiano sia come lingua madre (L1) e sia come lingua seconda (L2). Su questo tema si è riflettuto venerdì 14 dicembre, nel corso di un convegno organizzato presso l’Università di Milano, intitolato: “Il ruolo della grammatica valenziale nell’insegnamento delle lingue straniere”.*
I numerosi contributi, di linguisti italiani e tedeschi, hanno confermato la vitalità di questa corrente di studi e la sua utilità sia nella pratica lessicografica – come mostrano i numerosi dizionari bilingui tedesco-italiano della valenza verbale elaborati a partire dagli anni ’90 da Maria Teresa Bianco e Martina Nied-Curcio tra gli altri, e da ultimo la pubblicazione del Nuovo dizionario di tedesco di Luisa Giacoma e Susanne Kolb (Zanichelli, 2009) – e sia nella didattica delle lingue: riflettere sulle valenze dei verbi ci aiuta riflettere sulle specificità e sulle differenze sintattiche e semantiche tra due o più lingue. Come ha illustrato Fabio Mollica nella sua relazione, i “falsi amici” (parole di una lingua simili nella forma, ma diverse nel significato: come l’italiano fermare e il francese fermer “chiudere”) non riguardano solo il lessico, ma anche la sintassi: due verbi di forma e significato simile possono avere costruzioni diverse in due lingue vicine (es. italiano concentrasi su e spagnolo concentrarse en; it. interessarsi a/di e sp. interesarse por; it. telefonare a e sp. telefonar).
D’altra parte, nella didattica dell’italiano come L1, la grammatica valenziale permette di far vedere in modo semplice e intuitivo i confini della frase e i rapporti gerarchici al suo interno, grazie anche a una nuova modalità di rappresentazione grafica (gli schemi radiali elaborati da Francesco Sabatini) che rende in modo efficace il senso di profondità della frase, nascosto dalla disposizione lineare delle parole. Permette inoltre di collegare la prospettiva grammaticale (l’analisi “in laboratorio” di frasi sottovuoto, come Paola ama i fiori, o Le scarpe sono brutte) alla prospettiva testuale, fornendo una griglia di fenomeni linguistici che caratterizzano i diversi tipi di testo a seconda del grado di rigidità o di elasticità che presentano: in un testo giuridico, che vincola il destinatario a un’interpretazione tendenzialmente univoca delle frasi, tutti gli argomenti di un verbo saranno esplicitati (tutte le valenze saranno cioè “saturate”); in un testo letterario, invece, potremo incontrare una frase come La sventurata rispose, che lascia aperto lo spazio dell’interpretazione e dell’immaginazione narrativa.
Cristiana De Santis (C) 2012
http://www.laricerca.loescher.it/lingua-italiana/333-la-chimica-della-frase.html
* Gli Atti del Convegno sono ora disponibili in formato cartaceo ed e-book: http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854888029
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