Forse conoscete Stanislas Dehaene per aver letto un suo libro intitolato I neuroni della lettura. Lì il neuroscienziato francese descriveva l'operazione di "riciclaggio" che consente al nostro cervello di imparare a leggere, pur non essendo predisposto a farlo. Come? Riutilizzando i circuiti della visione e del linguaggio orale: indirizzando i primi verso il riconoscimento delle lettere e l'associazione con i suoni del linguaggio. È così - con grande impegno e fatica - che da parlanti diventiamo lettori.
In questo nuovo libro, Dehaene allarga la sfida: descrivere il modo in cui il cervello umano "impara" (in generale, quindi senza l'argomento esplicitato) e confrontare l'apprendimento del cervello con quello delle macchine (le reti neurali messe a punto dall'intelligenza artificiale).
Si tratta di una lettura affascinante, che ci porta con grande fluidità (merito del ricercatore, che è anche un bravo divulgatore: se invece di leggerlo volete ascoltarlo, potete cliccare qui) alla scoperta del cervello del bambino e delle sue straordinarie dotazioni iniziali (le autostrade del linguaggio, le intuizioni sul numero, sulle forme geometriche, sulla probabilità, sulla permanenza dell'oggetto...), ma anche della incredibile "plasticità" che porta il cervello a riutilizzare funzioni primarie per metterle al servizio di nuove abilità culturali.
Dehaene è arrivato alle sue scoperte grazie alla potenza delle macchine che producono neuroimmagini: nel centro di ricerca da lui diretto (Neurospin, a Saclay, in Francia) è attivo il più potente scanner al mondo per risonanze magnetiche (IRM) in grado di fotografare l'attività cerebrale.
Docente di Psicologia Cognitiva Sperimentale presso il Collège de France su una cattedra appositamente creata per lui nel 2005, membro della Académie des Sciences, Dehaene ha ricevuto un enorme credito dallo Stato Francese che, oltre a finanziare generosamente le sue ricerche, lo ha messo da un anno a capo del Consiglio Scientifico dell'Istruzione Nazionale (CSEN), nella convinzione che le sue scoperte possano tradursi in nuove strategie educative, in grado di contrastare l'analfabetismo funzionale che affligge evidentemente non solo il nostro Paese.
Si giustifica così lo spazio che in questo libro viene riservato ai quattro pilastri dell'apprendimento:
- l'attenzione, che seleziona le informazioni su cui concentrarsi e le amplifica,
- il coinvolgimento attivo, ovvero la motivazione a imparare e la curiosità che incoraggia il nostro cervello a valutare sempre nuove ipotesi
- il ritorno sull'errore, che ci permettere di confrontare le nostre predizioni con la realtà e di correggere i nostri modelli del mondo (a poco serve da questo punto di vista il voto, pessimo riscontro dell'errore)
- il consolidamento, che automatizza e fluidifica ciò che abbiamo appreso, specialmente durante il sonno.
Le pagine finali si soffermano poi sulle possibilità di conciliare l'istruzione con le scoperte neuroscientifiche, così da ottimizzare il potenziale dei bambini e creare "un'alleanza per la scuola di domani" (tra scienziati, insegnanti e genitori) per dar luogo a un ecosistema educativo più motivante ed efficace.
Vorrei subito sgombrare il campo da un equivoco: Dehaene non è acclamato in patria come ci si aspetterebbe, nonostante gli inviti a trasmissioni televisive e le copertine dei magazine. I pedagogisti, come prevedibile, non lo vedono di buon occhio (del resto, il libro fa "tabula rasa" di molti falsi miti delle "scienze" dell'educazione). Anche gli psicologi sociali protestano (convinti che il processo di apprendimento sia più legato alle relazioni familiari e sociali che alla dotazione genetica). La stessa opinione pubblica appare divisa tra entusiasti e critici (c'è chi paragona le neuroscienze a un neopositivismo che rischia di condurre all'eugenetica, e che per il momento ha avuto soprattutto il "merito" di aprire le aule scolastiche alla gamification). Insomma, il neuroscienziato in rue de Grenelle non avrà vita facile, specie se non riuscirà a dimostrare (risultati OCSE-Pisa alla mano) il beneficio competitivo delle sue teorie.
Per chi si occupa di linguistica e di grammatica, il libro è fonte di conferme sia a livello teorico sia a livello metodologico. Leggere che
Imparare significa gerarchizzare [...] e formulare, il prima possibile, delle regole generali che riassumano tutta una serie di osservazioni (p. 64)
Imparare significa selezionare il modello più semplice tra quelli che si adattano ai dati (p. 67)
vuol dire essere rassicurati sull'importanza di processare i dati e di inferire una grammatica che li organizzi, e non solo nell'apprendimento delle lingue.
Giova a tutti, inoltre, ricordare che "ogni bambino è un linguista", come ogni bambino (o bambina) è un matematico e un fisico in erba. E che, quando si tratta di imparare a leggere, è il metodo fonologico quello più adeguato perché
prestare attenzione alla forma complessiva della parola [...] orienta l'attività cerebrale verso un circuito inadeguato. [...] solo l'allenamento fonetico, che richiama l'attenzione sulla corrispondenza tra lettere e suoni, attiva il circuito della lettura e consente di imparare. (p. 199)
Per un(')insegnante, poi, è confortante leggere che siamo Homo docens più che Homo sapiens; che "l'istruzione è il principale acceleratore del nostro cervello" (p. 19); che molto può ancora fare una scuola capace di intervenire presto (per Dehaene tutto si gioca negli anni della scuola dell'infanzia e primaria) arricchendo l'ambiente di stimoli (come la lettura ad alta voce) a beneficio di tutti i bambini.
In generale, da questa lettura si esce corroborati nella convinzione che l'intelligenza umana (quando è ben sviluppata e "fiorita") è ancora di gran lunga superiore all'intelligenza artificiale, i cui algoritmi riescono a imitare il funzionamento dei circuiti cerebrali solo a livello superficiale (corrispondente più o meno all'elaborazione sensoriale).
La stessa sensazione che mi ha accompagnata all'uscita della mostra U-mano. Arte e scienza: antica misura, nuova civiltà, organizzata a Bologna presso la Fondazione Golinelli.
Realtà aumentata e realtà virtuale, codici binari e algoritmi, cibernetica e robotica appaiono ancora come mani impresse nella caverna di fronte allo splendore delle mani dipinte dai migliori artisti rinascimentali: mani femminili che stringono bambinelli, libri in piccolo formato, pugnali; mani maschili che offrono tributi, si battono il petto, indicano il cielo o un componimento sulla pagina di un manoscritto.
Perfino le mani sensibili in ceroplastica modellate nel Settecento da Anna Morandi Manzolini ad uso degli anatomisti dello studio bolognese appaiono straordinariamente vive rispetto all'ambiziosa Adam's hand bionica, adattabile a ogni paziente, prodotta da una startup di giovani ingegneri.
Chiudo con una citazione memorabile, tratta sempre dal libro di Dehaene, che ci accompagni verso il giorno della memoria:
"La memoria è un sistema rivolto al futuro, non al passato. Il suo ruolo non è quello di guardare indietro, ma, al contrario, di inviare informazioni al futuro, perché riteniamo che ci saranno utili" (p. 259).
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