martedì 20 settembre 2016

La grammatica con le vignette

Spesso i vignettisti ricorrono, come espediente comico, ai fraintendimenti su quella che chiamiamo la "valenza del verbo", ovvero la proprietà del verbo di richiedere uno o più "completamenti" per formare una frase minima di senso compiuto.
Questa è una vignetta di Altan, apparsa su Repubblica qualche anno fa, quando il Presidente della Repubblica era Giorgio Napolitano (e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi):




Qui il verbo dire, in bocca all'uomo che legge il giornale (il marito, secondo lo stereotipo), è usato in riferimento al Presidente (soggetto: "chi ha detto") e regge un oggetto (il contenuto del dire: "cose sagge"). Dire in questa frase è dunque di un verbo bivalente, perché regge due elementi, e ha significato di "esprimere, affermare".
L'acuta replica della moglie reclama però un ulteriore completamento, che normalmente accompagna il verbo dire quando ha significato di "riferire, suggerire" (nella costruzione "dire qualcosa a qualcuno").
Possiamo affermare che il terzo elemento retto da dire (l'oggetto indiretto, ovvero il "complemento di termine", introdotto dalla preposizione "a") è omissibile. Ma in realtà, l'ellissi modifica il significato del verbo.
Queste due diverse costruzioni (e i relativi significati) del verbo sono registrate dal dizionario dell'italiano Sabatini Coletti.

Non solo i verbi, ma anche alcuni nomi e aggettivi possono richiedere un completamento.
Guadiamo queste due vignette di Massimo Bucchi, anch'esse basate su uno scambio dialogico e sulla presunta ellissi di un elemento:

 
 
 
 
 
Nella prima è l'aggettivo fondata (derivato dal participio passato del verbo fondare) a richiedere un completamento introdotto dalla preposizione "su" (su che cosa?).
Nella seconda è il nome futuro a poter essere specificato con riferimento a un'entità o a un essere in particolare. In questo caso, l'elemento che aggiungiamo, pur non essendo necessario al completamento della frase, contribuisce all'identificazione del referente.
 
Il meccanismo comico delle tre vignette è lo stesso. 
Tutte stimolano un sorriso (sia pure amaro) e una riflessione: non solo politica, ma anche grammaticale.    

Gli alberi della grammatica

Quando vado nelle scuole per fare laboratori, dispiego un grande poster realizzato da Massimo Bertoldi, "artigiano digitale e creatore di mappe": l'Albero della grammatica.

Si tratta di un grande albero che schematizza le regole relative alle parti del discorso: un'infografica, diremmo oggi, se non fosse che la mappa è stata realizzata quando di infografica ancora non si parlava (nel 1995, in collaborazione con lo studio grafico Design in Progress di Milano).




Nella mappa, il verbo è al centro e rappresenta il tronco, l'ossatura della grammatica, il sostegno delle altre parole.
Nella parte destra l'albero si ramifica, sviluppando le altre parti variabili del discorso, cioè le altre classi di parole dotate di una flessione, e quindi di un paradigma di forme (si tratta delle cosiddette "parti nominali", che formano cioè il gruppo del nome: il sostantivo, l'articolo che lo determina, l'aggettivo che lo modifica, il pronome che può sostituirlo).
A sinistra troviamo le parti invariabili (l'avverbio, che modifica il verbo; preposizione e congiunzione, che creano ponti tra parole; l'interiezione, parola "buttata in mezzo alla frase").

Una mappa preziosa non solo per ripassare le regole, ma per visualizzare in un colpo d'occhio e memorizzare i mattoncini che formano i nostri testi e discorsi: le 9 parti del discorso, appunto, che stanno sulle dita di due mani.
Se regole (e relative eccezioni) formano in questo albero una fitta chioma, sarà bene ricordare che le regole fondamentali della grammatica (quelle che presiedono alla costruzioni di frasi ben formate) stanno sulle dita di una mano sola: accordo (tra le parole variabili), ordine (delle parole nella frase), reggenza (del verbo nella frase, del nome nel gruppo del nome), collegamento (tra parole).

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Ho chiesto a Massimo Bertoldi di raccontarmi come gli sia venuta l'idea dell'albero:
L’Albero della Grammatica è stato il mio primo lavoro e credevo all’epoca che fosse anche l’ultimo. Si chiamava originariamente L’Albero di Michele perché è nato spiegando grammatica a mio figlio. La maggior parte degli esempi contenuti riportano il nome di Michele al quale spiegavo che era importante circoscrivere quello che non si sapeva o quello che all’epoca forse non aveva troppa voglia di imparare. Nel 1995 un Istituto di credito di Verona ha deciso di acquistare 5.000 copie e regalarle alle scuole di quattro province dove l’Istituto operava. All’epoca non esisteva la stampa digitale e si andava in offset. Delle copie dell’epoca sono sopravvissute poche copie sbiadite. Molti anni dopo e molti lavori dopo, un neurologo presente a una mia esposizione ha sentenziato che solo un dislessico è in grado di produrre mappe di questo genere e finalmente ho spiegato a mamma, che oggi ha novant’anni, che tutte le botte prese per svogliatezza erano ingiustificate. Io sono del ‘54 e dislessico è un termine nato in America alla fine degli anni ’60. Oggi sono un felice dislessico nell’epoca dell’informatica. 
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L'albero della grammatica è una mappa che sintetizza regole ed eccezioni.
Ma nelle teorie grammaticali la metafora dell'albero ricorre anche con altri valori: è stata spesso usata dai linguisti ottocenteschi per mostrare rapporti di parentela tra le lingue (come nell'albero genealogico delle lingue indoeuropee, o di quelle romanze, cioè derivate dal latino). In questo caso, però, si tratta di un albero rovesciato, come chiarisce il logico Charles Dodgson (in arte Lewis Caroll) che per primo li usò a fine Ottocento per controllare la validità della conclusione di un ragionamento a partire da determinate premesse:
Per cominciare devo spiegare che tutti gli alberi in questo sistema crescono a testa in giù: la radice è in cima, e i ramai sono sotto.   Se qualcuno obiettasse che il nome "albero" non è appropriato, la mia risposta è che mi limito a seguire l'empio di tutti gli autori che trattano di genealogia. Un "albero" genealogico cresce sempre versoio basso: perché un "Labero" logico non potrebbe fare lo stesso? (Logica simbolica
L'albero rovesciato ritorna inoltre nelle opere dei linguisti del Novecento sotto forma di albero sintattico, schema grafico che rende visibile la struttura della frase, mostrando i rapporti gerarchici che si stabiliscono tra le parole al suo interno, e che l'ordine lineare nasconde.
Il primo a usare in tal senso lo schema di un albero rovesciato è stato Lucien Tesnière, il linguista francese considerato l'"inventore" della grammatica valenziale.
Si tratta, in questo caso, di un albero che parte dal "nodo" del verbo, considerato il perno della frase, e scende verso il basso, ramificandosi per agganciare i nomi che sono alle sue dipendenze e riempiono le funzioni sintattiche di base (soggetto, oggetto, oggetto indiretto):



La struttura di una frase semplice come Luigi ama Maria non è lineare (data cioè dalla semplice successione delle parole), ma gerarchica: c'è un elemento (il verbo) che chiama alle sue dipendenze altri elementi (in questo caso due nomi propri), assegnando a ciascuno di essi una funzione sintattica (soggetto e oggetto) e un ruolo semantico ("chi prova il sentimento" e "chi è oggetto d'amore"), e di conseguenza anche una certa posizione all'interno della frase (prima o dopo il verbo).

Gli alberi della grammatica generativa, che partono dal nodo della frase per suddividersi nei due costituenti fondamentali (sintagma nominale soggetto e sintagma verbale predicato), arriveranno più tardi...

domenica 18 settembre 2016

Fare grammatica in una classe 2.0

Mi capita spesso di entrare in qualche classe per fare laboratori di "grammatica in gioco".
Quella che ho visitato a maggio a Ferrara, nell'IC Perlasca, è una classe speciale: una 4a primaria attrezzata con tablet e LIM, i banchi non allineati ma organizzati a piccoli gruppi, ma soprattutto con due maestre speciali, che hanno saputo raccogliere gli stimoli e trasformarli in una sfida educativa.
Questo è il diario della giornata:

http://scuole.comune.fe.it/2821/grammatica-che-passione

Bello vedere come la presenza dei tablet non abbia messo da parte la scrittura manuale, che anzi rimane al centro dell'attività scrittoria dei bambini, capaci di prendere appunti in modo esemplare.
Le mani, del resto, sono state al centro dell'attività laboratoriale: che si trattasse di incastrare tessere di puzzle o di fare il "girotondo della frase", in cui Io diventavo il verbo e, con le mani, agganciavo uno o più bambini-argomento.

I bambini, al termine della giornata, mi hanno regalato piccoli foglietti con disegni e parole di ringraziamento: si erano divertiti! Che meraviglia...



A luglio ho invitato le maestre, Roberta ed Elisa, a raccontare la loro esperienza alle mie studentesse di Scienze della Formazione, nel corso di un laboratorio pensato per "insegnare a insegnare". Questa è la presentazione che hanno preparato, in cui illustrano come hanno continuato - da sole - a lavorare con gli schemi della grammatica valenziale, ispirandosi a un lavoro di Alan Pona (Lend, Firenze) nelle classi multilingui, e utilizzando modalità di apprendimento cooperativo:

http://scuole.comune.fe.it/2821/attach/mosti/docs/laboratorio-grammatica-valenziale-pp.pdf




E questi sono i lapbook (un libro fai-da-te cartaceo e tridimensionale, evoluzione dei vecchi cartelloni) che, sotto la loro guida, le mie studentesse (del 4° anno di Scienze della Formazione Primaria) hanno realizzato in piccoli gruppi:




Un esempio di circolarità virtuosa di esperienze e metodologie e di apprendimento cooperativo: dall'università alla scuola, e ritorno.

sabato 10 settembre 2016

Il verbo nella scatola montessoriana

Nell'inedito trattato di Psicogrammatica, Maria Montessori ha dato indicazioni su metodi e materiali per avvicinare i bambini alla riflessione sulla lingua e sul ruolo che essa ha nella vita dell'uomo.
Il nome e il verbo, le parti principali del discorso, rappresentano, nel pensiero montessoriano, le due forze che presiedono all'"ordine delle cose" nell'universo della lingua: la forza della materia (il nome, che ci permette di nominare gli oggetti del mondo, rappresentato da una piramide nera) e la forza dell'energia (il verbo, che mette in relazione gli oggetti del mondo, rappresentato da una sfera rossa). Le altre parti del discorso sono in relazione con queste due parti principali (e in quanto tali contrassegnate da forme e colori che richiamano il nome o il verbo).




L'affermazione della centralità di nome e verbo è un'intuizione potente, oggi confermata dalle ricerche di tipologia linguistica (che hanno individuato in queste due parti del discorso degli "universali" linguistici) e dalle acquisizioni della neuroscienze (che hanno individuato aree diverse del cervello preposte all'elaborazione di nomi e verbi).
Significativa e innovativa - anche rispetto agli anni in cui veniva elaborata (quasi un secolo fa!) - la proposta di lavorare sull'analisi grammaticale e logica usando simboli e colori e lavorando con materiali che permettano di "flettere" e "muovere" le parole all'interno dei sintagmi e della frase,  allenandosi così a ordinare, classificare, organizzare.

Nelle scatole grammaticali proposte da Maria Montessori (oggi utilizzate nelle scuole montessoriane, disponibili in commercio ma facilmente realizzabili con forbici carta e colla), gli
esercizi principali della grammatica (flessione e accordo, spostamento e collegamento di parole) sono realizzati tramite cartellini rettangolari colorati, contenenti parole (da riconoscere e abbinare). Combinando e spostando i cartellini per disporli nei comparti delle scatole (o in scatole colorate da riempimento), si giunge progressivamente alla costruzione della frase, passando per l'identificazione dei sintagmi (i gruppi di parole: nome e articolo, per esempio).
Benché Montessori partisse da un principio classificatorio, che guarda alla corretta identificazione delle parti del discorso, più che alla struttura della frase (e quindi ai rapporti gerarchici tra le parti), le sue idee e i suoi materiali rimangono preziosi e innovativi rispetto a pratiche scolastiche saldamente ancorate alle vecchie logiche dell'analisi in colonna.






Uno spunto per insegnanti delle primarie. E non solo.