mercoledì 10 febbraio 2021

La scuola allo specchio (sul libro di Patrizio Bianchi)

Negli ultimi mesi del 2020 è uscito per il Mulino Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l'Italia, il libro in cui Patrizio Bianchi (professore di Economia applicata presso l'Università di Ferrara, di cui è stato anche rettore) ha sintetizzato le sue riflessioni dopo l'esperienza (due mandati) come assessore a Scuola, Università e Lavoro per la regione Emilia Romagna, e il recente impegno di coordinatore del gruppo di esperti che ha affiancato (rimanendo inascoltato) la ministra dell'Istruzione nella prima fase dell'emergenza legata alla pandemia. (Il rapporto Bianchi si può leggere a questo link). 




Ripensare il sistema scolastico per cambiare il Paese - recita la quarta di copertina (lo strillo, che chiosa il titolo, è leggibile sulla prima di copertina).

La scuola come specchio (convesso e riflettente) del Paese, dunque.

Che a dircelo sia un professore (un membro dell'élite che ha studiato, e ben oltre i titoli di studio, vivaddio), è un gran sollievo per chi - come me - è sconfortato dallo spettacolo dell'incompetenza al potere e stanco di tollerare che chiunque - per il semplice fatto di avere "una figlia o nipotina Maddalena che va a scuola" (come amava ripetere Tullio De Mauro) - si senta autorizzato a pronunciare pareri sulle politiche scolastiche.  

Se non avete mai sentito parlare il professor Bianchi, vi invito ad ascoltarlo: a questo link (gentilmente segnalatomi da Gianluigi Bovini), potete trovare la registrazione dell'incontro di presentazione del volume, "Nello specchio della scuola - Quale sviluppo per l'Italia", organizzato da AUSER Emilia-Romagna e dal Gruppo di consapevolezza civica "Emilia Romagna diversa" il 21 gennaio, in occasione della giornata mondiale dell'educazione.

Se prima di comprare il volume volete farvi un'idea dei contenuti, qui potete trovare le slide dell'incontro.  Qui, invece, trovate la recensione comparsa sulla rivista del Mulino. Io, però, vi consiglio di leggerlo, il libro. Anche solo per tornare a familiarizzare - dopo mesi di slogan, comunicati televisivi della durata di 20'' (secondo lo stile inaugurato da Paolo Bonaiuti), videomessaggi diffusi via social da esponenti del governo - con il pensiero complesso che si esprime attraverso argomentazioni formulate sotto forma di periodi compiuti e incatenati con coerenza. E per provare a esercitare quel "giudizio critico" di cui il libro, in più punti, reclama l'importanza in una società democratica. 

Anche se personalmente non saprei rispondere a certe domande di politica economica, penso sia un bene porsele. Poi, certo, il tema del valore economico della scuola può essere declinato in modi diversi: possiamo limitarci a stabilire una correlazione tra educazione/istruzione e sviluppo/crescita e tra capitale umano ed economico (rimarcando magari l'importanza delle competenze che la scuola dovrebbe fornire per consentire di competere nel mercato del lavoro); oppure preoccuparci degli effetti che la povertà educativa crea: povertà economica e povertà di diritti - in una parola, disuguaglianza, che è quanto la nostra Costituzione democratica ci impone di contrastare con tutti i mezzi possibili, ma che il divario digitale nei troppi mesi di DAD ha contribuito ad accrescere (per non parlare dei danni psicologici sulla nuova generazione). 

"Investire sui bambini, sui ragazzi, sugli adolescenti, e anche sui loro docenti" è doveroso, non solo conveniente. Ma, certo, l'argomento economico è sempre più persuasivo (e pervasivo) in un Paese che ha pensato di affrontare la prima grande crisi economica della globalizzazione (coincidente con i cambiamenti legati alla digitalizzazione) tagliando gli investimenti su scuola e ricerca (con i risultati che adesso sono sotto gli occhi di tutti). Il grafico riportato a pag. 95 del libro è impietoso nel mostrare l'andamento degli investimenti per l'istruzione in Italia dal 2008 al 2017, assestatosi su livelli di sussistenza, dopo i drastici tagli volti - ve lo ricordate il cinico slogan del campione dell'elusione fiscale? - ad "affamare la bestia".

Ma andiamo con ordine. Il libro si apre con una drammatica constatazione: l'Italia è il paese d'Europa con i più bassi livelli di istruzione, i più alti tassi di dispersione scolastica e il più alto numero di NEET, cioè di ragazzi che non studiano e non lavorano. Potremmo aggiungere che è anche quello con gli insegnanti più anziani, peggio pagati e dalle carriere più precarie, con le scuole più fatiscenti, con il grado più basso di senso civico/di comunità e il più ambiguo connubio tra difesa dei diritti (di chi è soggetto di diritti) e resistenza a ogni cambiamento (magari a vantaggio di chi quei diritti non li ha garantiti, come i più giovani). E dove continuano a esserci differenze troppo marcate tra Nord e Sud, nonostante le indicazioni inequivocabili che vengono dalle rilevazioni nazionali degli apprendimenti (INVALSI), la quantità di fondi sociali europei destinati alle regioni-obiettivo (progetti PON-INDIRE),  i provvedimenti a favore dell'autonomia scolastica (legge del 1997) che avrebbero dovuto riequilibrare la situazione e si sono invece trasformati in una gara al rimpallo. Perché in Italia le decisioni in materia di politica scolastica (aperture e chiusure, per esempio) spettano alle Regioni, ma la gestione delle strutture scolastiche è affidata agli enti locali (i Comuni per le scuole dell'obbligo e umanistiche, le Province per le scuole tecniche) mentre il personale e gli Uffici Scolastici Regionali dipendono dal Ministero.  E questo in una situazione caratterizzata da una presenza sul territorio che non ha eguali in altre istituzioni (8000 scuole con 7,5 milioni di allievi nelle scuole statali e oltre 850.000 nelle paritarie) e da politiche di inclusione che non hanno pari in Europa (260.000 studenti disabili scolarizzati). 

Come si può pensare di governare con leggerezza una situazione di simile complessità, tanto più dopo che la pandemia ci ha mostrato tutti i limiti di una "leale collaborazione tra istituzioni" (oltre che della responsabilità individuale dei cittadini)?

Come si può pensare, in queste condizioni, di affrontare la sfida posta dall'ambizioso Next generation EU ma, ancora prima, dalla Raccomandazione sulle competenze chiave per l'apprendimento permanente diffusa dal Consiglio Europeo nel maggio 2018? 
Sostenibilità, resilienza, transizione ecologica, innovazione digitale, inclusività... rischiano di rimanere parole vuote in un Paese che chiude le scuole e smette di scommettere e investire su ricerca, selezione e formazione in servizio dei docenti, tempo scuola... Un Paese in cui si rinuncia a formare lettori competenti in grado di capire - prima ancora che di risolvere - problemi di media complessità. 
Da questo punto di vista non posso che sottoscrivere quanto si legge a p. 141 del libro: 
L'insegnamento dell'italiano serve per dare a tutti "le parole per dirlo" [titolo del fortunato libro di Marie Cardinal, prima che di un programma televisivo], cioè il primo strumento per esprimere con autonomia e appropriatezza un pensiero, senza che siano altri ad appropriarsi dei nostri sentimenti, parlando per noi o formulando luoghi comuni passati per buon senso.
Ma come fare, in concreto, per passare dalla diagnosi delle disuguaglianze (ora che abbiamo gli strumenti per misurarle in termini di genere, nazionalità, regione di provenienza, livello socio-economico e culturale della famiglia di provenienza, disponibilità delle tecnologie digitali) a un'efficace politica di contrasto delle disuguaglianze

Come fare per mettere "le persone al centro dello sviluppo", senza che questo suoni come uno slogan commerciale ("persone oltre alle cose" - i bambini e i ragazzi oltre ai banchi, per dire), o comunque come una formula che promette ma non mantiene?
Queste alcune delle soluzioni prospettate da Bianchi (alcune delle quali da lui felicemente sperimentate come assessore regionale: penso alla formazione professionale, che in Emilia è una realtà di eccellenza, a torto snobbata da tante famiglie che "o il liceo o niente"):

  • ritrovare la natura profonda della scuola, del suo essere "costruttrice di comunità" (p. 159). Una definizione che richiama quella data dallo stesso Bianchi nel 2012, alle prese con la ricostruzione dopo il terremoto dell'Emilia: "la scuola è il battito della comunità".
  • ridare alla figura dell'insegnante una rilevanza sociale adeguata alla responsabilità che essa assume nei confronti della società (p. 139)
  • innalzare l'obbligo scolastico da 16 a 17 anni (p. 169) potenziando la formazione professionale affidata alle regioni per contrastare la dispersione scolastica (ma senza accorciare di un anno i percorsi dei licei, di grazia!) 
  • restituire tempo-scuola: con il tempo pieno nella scuola dell'obbligo, per esempio (p.142) 

Una cosa mi lascia perplessa nello sguardo che Bianchi porta su esperienze esemplari di scolarizzazione alternativa diffuse nel territorio: non possiamo mettere sullo stesso piano l'esperienza dei Maestri di strada napoletani e quella della scuola nel bosco, diffusa in altri centri urbani - perché operano in luoghi irriducibili (la strada in cui si finisce dai bassi e il bosco in cui vengono collocati piccoli baroni rampanti) e realtà diversissime sul piano socioculturale. Né possiamo appaiare i progetti innovativi che introducono il coding nelle scuole con quelli che portano libri in classe (sappiamo da tempo che non è il possesso e l'uso di tecnologie, rapidamente obsolete, ma il numero di libri presenti in casa a fare la differenza sul piano della riuscita scolastica). Rinunciare alle conoscenze (svilite a "nozioni") che la scuola dovrebbe trasmettere, in nome delle competenze, non è una buona scommessa: si rischia di cadere in una "trappola" educativa analoga a quella economica di cui si parla a p. 10 e p. 157. 

Per questo motivo vorrei porre all'attenzione del Professor Bianchi (e di chi, anche leggendo il suo libro, dovrà prepararsi a incarichi nel settore istruzione all'interno del nuovo governo), la proposta che una insegnante torinese di scuola media, Chiara Panzieri, sta cercando di promuovere con il passaparola per prolungare il tempo-scuola, offrendo ai propri alunni un aiuto pomeridiano che dovrebbe essere valorizzato e riconosciuto dalle istituzioni. Non si tratta di far uscire i ragazzi dalle classi ma di rimanerci il più a lungo possibile, con loro, per tutti (discipline e sostegno) e con tutti (alunni fragili e alunni bravi, che potranno aiutarsi a vicenda). Si tratta di fare i compiti insieme, capire le consegne, aver cura dei quaderni, far leggere a voce alta e fare domande di comprensione sui testi delle diverse discipline. Basta un'ora per insegnante, al pomeriggio, ciascuno con la propria classe, di cui conosce i bisogni.  "Correggeremo un compito in meno, pazienza, ma potremo intervenire correggendo e consigliando mentre i nostri alunni sbagliano, durante il loro processo di apprendimento, e non dopo, quando hanno già sbagliato" - scrive Chiara.

Questo l'appello, seguito da uno schema utile a chi voglia aderire. 

 

RESTITUIRE TEMPO SCUOLA IN PRESENZA!

Appello degli insegnanti, in particolare per il primo ciclo.


  1. IN VIA ECCEZIONALE PROLUNGARE L’ATTUALE CALENDARIO SCOLASTICO FINO AL 30 GIUGNO E ANTICIPARE IL PROSSIMO AL 1° SETTEMBRE 

Restituire tempo scuola in presenza alle scuole che ne sono state private: tempo per la didattica e tempo per la socialità scolastica.

Una didattica cooperativa che sia di recupero per chi si è perso e di potenziamento per chi è riuscito a seguire (“Noi impariamo il 10% di ciò che leggiamo, il 20% di ciò che ascoltiamo, il 30% di ciò che vediamo, il 50% di ciò che vediamo e ascoltiamo, il 70% di ciò che discutiamo con altri, l'80% di ciò che viviamo di persona, il 95% di ciò che insegniamo a qualcun altro.” W. Glasser).

La socialità scolastica è diversa da quella amicale, familiare, associativa: è la prima forma di comunità democratica che si sperimenta, insieme a compagni di classe che non abbiamo scelto, uniti solo dalla scuola.


  1. IN VIA ECCEZIONALE MODALITÀ IN FREQUENZA DEGLI ESAMI DI TERZA SSPG

             Di conseguenza va permessa una modalità in frequenza dell’esame conclusivo del primo ciclo.

        3. DAL PROSSIMO ANNO TEMPO PROLUNGATO PER TUTTE LE CLASSI DEL PRIMO                     CICLO E FORMAZIONE OBBLIGATORIA PER GLI INSEGNANTI

                     La DAD ha messo ancor più in evidenza come una vera scuola democratica, che possa - come recita l'art.3                                      della Costituzione - rimuovere gli ostacoli che permettono l’esercizio della libertà e dell’uguaglianza e che possa                              far raggiungere a tutti le competenze di base e i traguardi previsti dalle Indicazioni Nazionali, debba                                                  necessariamente far lavorare alunni e alunne a scuola, insieme. Un tempo lungo, disteso, laboratoriale e aperto al                              territorio: per questo è necessaria una formazione continua per tutti gli insegnanti.


Affidiamo al Ministero, al Governo, ai Sindacati, alle Associazioni di categoria il compito di confrontarsi, trovare risorse organizzative ed economiche per realizzare le proposte qui indicate.

 






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