Pubblico qui per intero un articolo uscito su La Vita Scolastica, in risposta a un editoriale di Galli della Loggia sul tema dell'autorità educativa.
Non ha fatto in tempo a insediarsi in viale Trastevere il neo-ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti, che si vede recapitare dall’edicolante una lettera di Ernesto Galli della Loggia pubblicata dal Corriere della Sera: Cattedre più alte per tutti i professori.
Non ha fatto in tempo a insediarsi in viale Trastevere il neo-ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti, che si vede recapitare dall’edicolante una lettera di Ernesto Galli della Loggia pubblicata dal Corriere della Sera: Cattedre più alte per tutti i professori.
Da
politologo e giornalista avvertito, EGdL inserisce il termine-slogan che è sulle
bocche di tutti (cambiamento), ma
passa sotto silenzio un termine evidentemente poco amato dai programmi SEO
(Search Engine Otpimization, ottimizzazione per i motori di ricerca), intorno
al quale ruota però tutta la lettera: autorità.
Autoritario,
del resto, è il linguaggio che EGdL sceglie e, ancor prima, autoritario è il
formato della lettera: in dieci punti-elenco che contengono altrettante misure suggerite per il governo (riforma?)
della scuola. Un decalogo, insomma. Anche il modo in cui sono formulati i punti
richiama chiaramente lo stile dei testi giuridico-amministrativi. Le parole più
ricorrenti nel testo (se escludiamo scuola
e i suoi derivati) sono obbligo e divieto, e anche questo è un segnale. Ma
contano anche segnali linguistici più sottili: gli avverbi in -mente (pesanti, ma ritmabili), i
quantificatori universali (ogni, tutto, qualunque) che escludono eccezioni, i ma (anche) che aggiungono ragioni o riserve, i verbi modali del comando
(bisogna, si deve ecc.), i parallelismi (né…
né… né) che disegnano una geometria all'interno del testo. E poi le domande retoriche (al punto 6 e al punto 9), il
ricorso all’opinione comune o doxa (“non
solo a mio giudizio…”), l’ammiccare all’autorità presunta dell’interlocutore (“come lei
sa”), l’uso della citazione come argomento di autorità.
Una citazione non casuale, della filosofa ebrea (“non gentiliana” – la definisce ironicamente EGdL) Hannah Arendt, con riferimento a un saggio (Che cos’è l’autorità?) scritto nel 1958: dopo che i pericoli delle derive autoritarie erano diventati una sanguinosa e drammatica attualità, e le intelligenze migliori si interrogavano sui presupposti socioeconomici dell’obbedienza ai regimi nazi-fascisti (altro che disciplina nelle classi!). Nel volume che lo contiene (Tra passato e futuro, uscito in italia nel 1970), si trova anche un saggio speculare dal titolo Che cos’è la libertà? (Tanto per reinserire le due parole-chiave dell’agire politico nella corretta dialettica).
Una citazione non casuale, della filosofa ebrea (“non gentiliana” – la definisce ironicamente EGdL) Hannah Arendt, con riferimento a un saggio (Che cos’è l’autorità?) scritto nel 1958: dopo che i pericoli delle derive autoritarie erano diventati una sanguinosa e drammatica attualità, e le intelligenze migliori si interrogavano sui presupposti socioeconomici dell’obbedienza ai regimi nazi-fascisti (altro che disciplina nelle classi!). Nel volume che lo contiene (Tra passato e futuro, uscito in italia nel 1970), si trova anche un saggio speculare dal titolo Che cos’è la libertà? (Tanto per reinserire le due parole-chiave dell’agire politico nella corretta dialettica).
Non voglio
rispondere a Galli della Loggia punto per punto: sarebbe fin troppo facile
ironizzare su predelle e predellini, saluti deferenti, odonomastica roboante,
autarchia delle gite, fiammelle dell’Istituto Luce. Quanto alle buone trovate
(come le biblioteche scolastiche), c’è chi prima di lui le ha formulate,
spendendosi per la loro diffusione (penso a Tullio De Mauro, al quale è stato recentemente intitolato un istituto comprensivo, come da punto 10 del decalogo di EGdL) . Sul
coinvolgimento dei genitori nella gestione della scuola c’è poco da lamentarsi:
è l’effetto di provvedimenti di legge pensati per corresponsabilizzare le
famiglie, puntando alla coerenza educativa delle principali agenzie formative.
Se le famiglie sconfinano (non solo a scuola, ma anche a bordo di un campo di
calcio) dovremmo forse porci un problema più ampio di alfabetizzazione
culturale ed emotiva degli adulti, sempre meno inclini al rispetto e all’autocontrollo.
L'IC 8 di Roma sarà intitolato a Tullio De Mauro
Quello che
mi interessa qui è collocare il discorso sull’autorità educativa all’interno di
un dibattito che da Hannah Arendt ai giorni nostri ha conosciuto alcuni
sviluppi che varrebbe la pena conoscere. Sono passati 60 anni da quel saggio,
che guardava all’autorità non solo come prerogativa di una persona o di
un’istituzione, ma come fattore simbolico irrinunciabile che regola gli scambi
sociali tra individui. Da almeno un decennio, la parola autorità è tornata in circolo dopo essere stata guardata con
sospetto ed evitata perché associata al potere
e sempre in bilico tra un polo positivo (l’autorevolezza,
ovvero l’autorità riconosciuta come legittima) e uno negativo (l’autoritarismo, l’autorità avvertita come
abuso). La predella di cui EGdL parla mi pare associata al potere, più che
all’autorità. E forse sarebbe corretto ricordare il contraltare della predella:
le punizioni corporali che nelle scuole si associavano all’uso o all’abuso
dell’autorità. Era la scuola dei fanciulli,
antecedente la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia. Nel frattempo siamo passati
dalla patria potestas all’autorità genitoriale e, oggi, alla responsabilità genitoriale. Indietro non
si torna, con buona pace dei nostalgici del buon (ma davvero così buono?) tempo
che fu.
Il volume del filosofo francese Serres, da poco uscito in traduzione
Vero è che le
preoccupazioni di GdL sono in parte condivisibili: di “crisi di autorità”
e di “ritorno all’autorità” si fa un gran parlare, nelle assemblee scolastiche
come nei magazine, specialmente in rapporto alle sfere pre-politiche in cui l’autorità
agisce (la famiglia e la scuola), soprattutto in riferimento a temi come la
disciplina e la valutazione. Sul piano propriamente politico, poi, è sotto gli
occhi di tutti il fascino esercitato da personalità carismatiche e da un discorso
di tipo autoritario, basato sullo slogan gridato, più che dal discorso
persuasivo basato sull’argomentazione pacata. Di autorità in ambito politico,
del resto, EGdL si era già occupato in un articolo apparso sulla stessa testata
il 6 gennaio 2017 (Riscoprire in Italia il senso
dell’autorità), quando ancora ci
governava Renzi e qualcuno paventava il rischio di democratura (l'avvento di una dittatura democratica). Nell’ultimo affondo, GdL parla solo di
scuola, ma dando a intendere che ci sia un problema di erosione dell'autorità nella società
in generale e nella relazione educativa in particolare. Un tema che era emerso
già negli interventi di GdL a sostegno della “lettera dei 600” sulle
(in)competenze linguistiche degli studenti.
Il dibattito
teorico sull’autorità si è arricchito intanto di un testo che rappresenta una
ideale continuazione della riflessione di Arendt: Le pouvoir des commencements. Essai sur l’autorité di Myriam
Revault d’Allonnes (le Seuil, 2006). (Per inciso, di autorità, attributo
paterno per eccellenza, si sono occupate anche e soprattutto donne: curioso, no?).
L’ipotesi di Revault d’Allonnes è che l’autorità abbia a che fare col tempo:
anzi, che “il tempo è la matrice dell’autorità come lo spazio è la matrice del
potere”. E che il vivere insieme non richieda solo uno spazio comune in cui si
agisce (dalla “predella” di Galli della Loggia fino all’“ultimo banco” di cui
parla Giovanni Floris in un bel libro dedicato alla scuola), ma anche e
soprattutto un tempo, una durata data dal legame tra le generazioni. Perché
l’autorità non si dà solo nella forza del passato e della tradizione, ma anche
nell’attrazione che esercita su di noi il futuro (come già aveva intuito Arendt,
quando parlava di “parametri per un futuro possibile”). In che modo? Sotto forma
di progetti che ci autorizzano ad agire, consentendoci di iscrivere le nostre
azioni nell’orizzonte di un divenire. Attraverso una cooperazione virtuosa tra
chi è venuto prima e chi si affaccia sulla scena del mondo. Niente di tutto ciò
mi pare di intravedere nel tono sprezzante (oltre che autoritario) usato da
EGdL.
Oggi più che
mai dovremmo diventare capaci di passare dall’autorità “fondata” (l’autorità
della tradizione) a un’autorità “fondante” (basata sulla trasmissione). Per
farlo, i nostri insegnanti non hanno bisogno di una predella: hanno bisogno di
preparazione (formazione e aggiornamento in servizio), di riconoscimento
economico e sociale, di possibilità e capacità di cambiare le pratiche. Perché
l’autorità non si dà se non come “superiorità riconosciuta” (la definizione è
di Max Horkheimer). Riconosciuta dall’altro, nella dimensione della relazione
(come ci ricorda Luisa Muraro nel volumetto dedicato alla cura della parola Autorità).
Siamo più
coraggiosi, allora: non riduciamo la dimensione simbolica su cui l’autorità si
fonda alla sola dimensione spaziale, alla verticalità e all’asimmetria (l’altezza
del rialzo, l’alzarsi in piedi per il saluto), ma interroghiamoci su come si
possa costruire un’autorità di tipo nuovo: “orizzontale”, “interiorizzata” e
“plurale” (sono aggettivi usati da Richard Sennett, Alain Touraine e Julia
Kristeva nel dibattito a più voci sul tema dell’autorità moderato da Franco
Marcoaldi sulle pagine di “Repubblica” dal 29 ottobre al 29 novembre 2011).
È
complicato, lo capisco. Non è popolare. Ma non sarà il ritorno al passato a
salvare la scuola, a dare speranza ai nostri figli.
Torniamo a parlare di autorità. Rimettiamo in circolo la parola e costruiamo pratiche
nuove di autorità. Consapevoli che per farlo non basta alzare le cattedre, come
non basta “flippare” le classi. Non basta il “Buongiorno signora maestra”, come
non basta il grembiulino. Bisogna ripensare le politiche educative e rimettere
la scuola al centro dell’interesse pubblico. Incominciando con lo sgombrare il
campo da un equivoco pernicioso (che la scuola debba servire a trovare un
lavoro purchessia) e col reclamare una scuola che formi innanzitutto il
pensiero critico.
L’assenza
del ministro dell’Istruzione nel “totonomi” che ha preceduto l’insediamento del
nuovo governo non è un buon segnale. L'assenza di ogni riferimento alla scuola
nel discorso del neoinsediato Presidente del Consiglio neppure. Quanto alle dichiarazioni programmatiche sulla scuola contenute nel contratto di governo, c'è da rimanere alquanto perplessi. Ma cerchiamo di
guardare al futuro con fiducia.
Buon lavoro,
allora, Ministro. E le orecchie bene aperte, pronte ad ascoltare squilli di più
campane. E di campanelle, soprattutto.
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