venerdì 28 agosto 2020

Le rose e gli afidi (sulla lingua degli albi illustrati)

NEW! Da questo post è nato un articolo uscito sulla rivista "Infanzia" (3/2020), intitolato Parole, paroline, paroloni.   

Solo se è solo a leggere, o ascoltare, 
il piccolo lettore, o ascoltatore,
non sa che cosa fare
delle parole difficili.
Se solo non sarà, saranno come
cose dal suono arduo e sconosciuto,
che nascondono sensi: 
giochi prima segreti, misteriosi,
strani e stranieri, ma subito nuovi
e possibili nomi del mondo.

Questi versi di Roberto Piumini sono la risposta più efficace a un articolo uscito il 23 agosto sul supplemento domenicale del Sole 24 ore, a firma di Matteo Motolese, intitolato C'erano una volta... gli afidi, dedicato alla lingua degli albi illustrati e delle fiabe per bambini. 




Lo spunto dell'articolo viene dalla lettura di un albo dell'illustratore statunitense Erik Carle. Non il celebre piccolo bruco mai sazio (in inglese the very hungry caterpillar), ma la coccinella prepotente (in una precedente traduzione, uscita per Emme edizioni nel 1981, era semprearrabbiata), che infastidisce gli altri animali più grandi e più forti di lei ripetendo: "Fatti sotto, battiti con me" (la traduzione attuale è di Glauco Arneri). 
Il libro è cartonato, la tecnica pittorica è quella del collage, le pagine e i caratteri crescono con l'aumentare delle proporzioni degli ignari sfidanti della coccinella, mentre un piccolo orologio segnala il passare del tempo e il progredire della storia, finché la coda di una balena non rimanda la coccinella al punto di partenza: una foglia piena di afidi - la colazione ideale per due coccinelle (se solo la coccinella prepotente fosse in grado di dividere il pasto con una compagna delle sue proporzioni). 
Si tratta, come spesso nei libri di Carle, di una storia basata sull'accumulo e la ripetizione: di schema narrativo e frasi ad alto tasso di formularità - al provocatorio "fatti sotto...", e alla risposta riluttante dello sfidante di turno ("se proprio lo vuoi"), segue la battuta insolente della coccinella ("lasciamo perdere, sei troppo piccolo/a per me").    




Anch'io ho letto decine di volte questa storia con i miei figli, insieme con le altre di Eric Carle (il piccolo ragno che tesse e tace, la lucciola tutta sola, il piccolo grillo zitto zitto - con carillon integrato nell'ultima pagina, che faceva sentire il frinito). Sono piccoli tesori di etologia (e di terminologia naturalistica) che hanno insegnato ai miei figli a osservare con stupore e curiosità il mondo degli animali, aiutandoli anche a riconoscere dinamiche relazionali complesse (perché da grandi incontreranno tante personalità: alcune silenziosamente luminose e operose, altre megalomaniche e manipolatrici sotto le mentite spoglie di adorabili portafortuna - e se sapranno riconoscerle con l'aiuto di una storia ascoltata da bambini, anziché col DSM-IV alla mano, tanto di guadagnato!). 
Non ricordo nessuna impressione di straniamento linguistico (né mio né loro) alla lettura dell'albo (che era il loro preferito perché, a differenza degli altri libri di Carle, potevano maneggiarlo da soli grazie alle dimensioni ridotte, la robustezza delle pagine e la disposizione scalare). Del resto abbiamo sempre avuto rose in terrazza, e a ogni bocciolo si riaccende la lotta con gli afidi che vorrebbero farci colazione. Io detesto gli afidi, le cocciniglie e tutti gli altri parassiti che rovinano il mio lavoro di giardinaggio urbano. Nel libro si vedono bene, piccoli e scuri, sempre in gruppo (infatti parliamo di afidi al plurale), intenti a smangiucchiare e far arricciare le foglie. Così come è ben raffigurato il cervo volante (il primo degli involontari sfidanti della coccinella), che pure i miei figli non avevano mai visto dal vero. 
I nomi di animali e piante sono parole che appartengono alla realtà, prima ancora che ai libri illustrati: a volte basta l'esperienza della vita in campagna per impararle, ma è vero che i libri illustrati possono essere un valido supporto a quella che i linguisti chiamano la "competenza referenziale" - la capacità di nominare le cose quando le vediamo (ma anche in loro assenza, purché le conosciamo e le riconosciamo). 
C'è poi un'altra componente della padronanza lessicale: la "competenza inferenziale", ovvero la capacità di riconoscere i rapporti tra parole (sapere per esempio che l'afide, la coccinella e il cervo volante sono insetti, che volano perché hanno le ali ecc.). Entrambi le capacità agiscono nell'apprendimento del lessico: i bambini piccoli mostrano una sorprendente capacità di acquisire parole nuove sulla base di poche informazioni, collegando una catena di suoni non interrompibile (come àfide, col suo suono sdrucciolo) alla corrispondente rappresentazione mentale (animaletto che rosicchia le foglie, animaletto che piace alle coccinelle, pidocchio delle piante, e così via - procedendo verso definizioni sempre più astratte e formalizzate). Perché non si tratta soltanto di abbinare la parola alla cosa (le parole non sono etichette e non si insegnano con l'indice puntato). 
Avendo a che fare con future insegnanti di scuola materna e primaria ed educatrici di nido, ho imparato poi a distinguere tra "capacità epilinguistica" (basata su conoscenze inconsapevoli, procedurali e non dichiarative, che portano alla scoperta dei significati) e "capacità metalinguistica" (riflessione consapevole ed esplicita sulla lingua). Perché esiste, nel sottobosco delle discipline educative, una letteratura che esplora anche questi temi: in che modo i bambini si avvicinano al senso di una parola o di una frase, quali strategie usano per rappresentarsene il significato. Rodari già ne parlava nella sua Grammatica della fantasia (1973):
Non potremo mai cogliere il momento in cui il bambino, ascoltando una fiaba, si impadronisce per assorbimento di un determinato rapporto tra i termini del discorso, scopre l’uso di un modo verbale, la funzione di una preposizione: ma mi sembra certo che la fiaba rappresenta per lui un abbondante rifornimento di informazioni sulla lingua. Del suo lavorio per capire la fiaba, fa parte il lavorio per capire le parole di cui consta, per stabilire tra loro analogie, per compiere deduzioni, allargare o restringere, precisare o correggere il campo di un significante, i confini di un sinonimo, la sfera d’influenza di un aggettivo. 
Tornando alla mia esperienza genitoriale, confrontata con quella del collega: anch'io, come lui, ho incontrato nei libri che avevo scelto per i miei figli alcune parole che non conoscevo o che comunque non usavo. L'ho sempre considerata una fortuna, per me e per loro. Non mi sono preoccupata di "cambiare, semplificare, avvicinare la lingua" (forse perché i libri scritti o tradotti male li avevo già scartati) né di spiegare significati. Se e come certe parole abbiano agito nel loro immaginario l'ho scoperto dopo. E vorrei raccontare alcuni episodi per mostrare che no, non è vero che "i lemmi difficili sono in grado di lasciare tracce fertili solo in un pubblico già adulto" (non condivido neppure l'affermazione secondo cui gli occhi dei bambini di 3/4 anni "si fissano solo sulle figure": basta leggere il libro di Lilia Teruggi per capire con quanta attenzione i bambini già a questa età osservino il testo provando a fare ipotesi sulla lingua scritta).
Quest'estate ho sentito mio figlio (11 anni) chiamare "paguro Bernardo" (come il protagonista di un altro albo illustrato di Carle) il mollusco che aveva trovato scandagliando il fondale sabbioso con la maschera. L'ho sentito anche ridacchiare con i suoi cugini più grandi mentre ripetevano versi mandati a memoria da piccoli e ripescati per rinsaldare con fierezza la loro "cuginanza": "Gli Snicci stellati sulle pance hanno stelle. Gli Snicci comuni hanno solo la pelle. Non son stelle grandi, ma piccine abbastanza da farti pensare che non hanno importanza" (dall'albo del Dr. Seuss, nella traduzione di Anna Sarfatti). 
Mia figlia di 14 anni mi ha fatto invece notare un'espressione che aveva appena letto in un classico: una ridda di pensieri. Non aveva mai incontrato questa parola in un libro, eppure le suonava familiare e riusciva a intuirne il significato. Forse perché si ricordava della ridda selvaggia che i mostri del libro di Maurice Sendak "attaccano" insieme con il piccolo Max, nella splendida traduzione di Antonio Porta (anche questa pubblicata per la prima volta da Emme edizioni nel 1981, e poi riproposta da Babalibri nel 1999). Il libro è stato recentemente riedito da Adelphi in una nuova traduzione, di Lisa Topi: qui la scomposta ridda selvaggia è stata addomesticata in un finimondo che i nuovi compagni di avventura dovrebbero "scatenare". Abbiamo guadagnato in leggibilità, certo, ma non necessariamente in qualità letteraria (personalmente, lamento anche la caduta della reduplicazione espressiva crebbe crebbe crebbe, che il poeta Porta aveva oculatamente inserito, memore del naso di Pinocchio e del proprio orecchio di bambino in ascolto delle fiabe italiane). Né ci abbiamo guadagnato in termini di potere euristico della lingua, che in un libro per ragazzi dovrebbe aprire mondi, non chiuderli come si fa con una finestra quando si scatena una tempesta (qui trovate una bella lettura di questo classico per l'infanzia, che ricorda agli adulti la complessità della costruzione della personalità tra norma e avventura, spontaneità e maschere; se invece volete conoscere le fonti della grande pittura che hanno ispirato Sendak leggete qui). Sendak era ben consapevole di tutto ciò (la citazione, che trovo tradotta in questo bel post, è tratta dal volume di S.G. Lanes, The Art of Maurice Sendak, Abradale Abrams, 1993):

«Credo che i bambini intuiscano il significato profondo di ogni cosa. Sono solo gli adulti che per la maggior parte del tempo leggono la superficie. Sto generalizzando, naturalmente, ma le mie illustrazioni non sorprendono i bambini.  Loro sanno cosa c’è in queste storie [di Grimm]. Sanno che matrigna significa madre, e che il suffisso -igna è lì per evitare che gli adulti si spaventino. I bambini sanno che ci sono madri che abbandonano i loro bambini, emotivamente, non letteralmente. Talvolta vivono con questa realtà. Non mentono a se stessi. E vorrebbero sopravvivere, se questo accade. Il mio obiettivo è non mentire loro.»

Finora, abbiamo parlato di libri in traduzione (non di testi in lingua originale) e di traduttori molto consapevoli: il che dovrebbe essere la norma nella traduzione di albi illustrati, ma purtroppo così non è per un motivo piuttosto banale. Non sempre gli albi illustrati sono capolavori della letteratura senza etichette, come in questi casi. E poi gli albi illustrati hanno poco testo da tradurre: così, quando la lingua fonte è una lingua nota (come l'inglese o il francese) nulla vieta che ci si rivolga a un redattore interno o a un amico o a un figlio... Peccato che i nodi vengano subito al pettine, producendo danni molto maggiori rispetto a quelli provocati da una cattiva traduzione per adulti: perché i bambini e i ragazzi hanno più orecchio di noi adulti e sentono subito le stonature, le frasi inautentiche - frutto di calchi dalla lingua dell'originale, o di una scarsa conoscenza dei codici della letteratura fiabesca e dei grandi testi per ragazzi in italiano. Quanti "piccoli conigli" che avrebbero potuto essere chiamati "coniglietti", quante ammonizioni con un possessivo di troppo ("mangia i tuoi spinaci"), frasi con pronomi soggetto ridondanti (ricalcate su lingue che devono esprimere obbligatoriamente il soggetto davanti al verbo)... per non parlare dei "falsi amici" che tradiscono sempre i traduttori meno esperti (l'aquilone chiamato "cervo volante", per dire), o delle espressioni idiomatiche che in italiano non si sono mai sentite ("trovare scarpe per i propri piedi", anziché "pane per i propri denti").  
Questo, dal mio (e non solo) punto di vista, è il limite maggiore dei libri per i più piccoli, che oggi vengono sempre più spesso importati (anche perché in altri paesi le case editrici sono molto più disposte a investire nell'illustrazione di qualità, che fa la qualità di un albo illustrato). Quello della riscrittura di classici (ridotti e tradotti in un italiano più moderno) è un altro problema ancora, che pure ha a che vedere con la qualità e la quantità massiva di (ri)proposte editoriali in tempi di crisi economica (evito di parlare dei non-libri, ovvero dei prodotti cartacei derivati da cartoni animati, video amatoriali e compagnia brutta). Il problema, dunque, esiste, e vale la lena discuterne.

Tenendoci ai testi per bambini in lingua originale (o autotradotti dall'autore), esemplari le parole di Leo Lionni (nel libro L'immaginario come mestiere, Electa, 1990, p. 26)
Nei libri per bambini ci dev'essere una metafora decifrabile, ma anche qualcosa di indecifrabile. Sono stato fra  primi a voler usare parole incomprensibili e a lottare con i redattori per questo: non credo che il bambino debba crescere in un'atmosfera in cui tutto gli è chiaro. Sono convinto che le cose che un bambino non capisce agitino la sua immaginazione, accendano la sua curiosità.   
Possiamo citare anche quanto scrive un celebre e celebrato scrittore per ragazzi, E.B. White in una intervista pubblicata nel 1969 su The Paris Review:   
Anyone who write down to children is simply wasting his time. You have to write up, not down. Children are demanding. They are the most attentive, curious, eager, observant, sensitive, quick, and generally congenial readers on earth. They accept, almost without question, anything you present them with, as long as it is presented honestly, fearlessly, and clearly.

Some writers for children deliberately avoid using words they think a child doesn’t know. This emasculates the prose and, I suspect, bores the reader. Children are game for anything. I throw them hard words, and they backhand them over the net. They love words that give them a hard time, provided they are in a context that absorbs their attention. 

Questo è il punto. Non bisogna avere paura delle parole difficili, purché non siano fini a sé stesse (sono disposta a perdonare anche quell'emasculate...). Come fa la protagonista del libro di White intitolato La tela di Carlotta (nell'originale The Charlotte's Web): una ragnetta che insegna all'amico maialino parole difficili per renderlo speciale agli occhi dei padroni e provare a salvarlo dal suo destino di porco. 

Il difficile è catturare l'attenzione con la qualità delle proposte: ma come rimanere indifferenti alla ragnetta letterata che aveva intuito molto prima degli psicologi cognitivisti il ruolo che ha il linguaggio nella costruzione dell'immaginario? Se poi il piccolo ascoltatore o la piccola ascoltatrice vorrà conoscere (o avere conferme su) il significato di una parola contenuta in una storia avvincente, ci chiederà "che cosa vuol dire?". Oppure, semplicemente, "Come? Cosa?" (è il titolo di un albo di Fabian Negrin che mi hanno fatto conoscere le mie studentesse). E noi proveremo a spiegarlo, oppure chiederemo al piccolo di provare a indovinare, con l'aiuto del contesto: sarà l'occasione per reimparare le tecniche di definizione che usavamo prima di scoprire il metalinguaggio dei dizionari: "è come...", "è quando...", "sembra...", "assomiglia a". 

Anche più avanti negli anni, alle prese con il testo che più spesso offre occasioni di incontro con "parole difficili" o con accostamenti inconsueti di parole (la poesia), sarebbe importante incoraggiare ragazze e ragazzi a spiegare il senso (perché non di mero significato si tratta) delle parole o delle combinazioni non note, senza correre alla glossa in nota (anche perché nella migliore poesia non esistono sinonimi: esistono solo parole giuste, e il poeta le conosce). Bisognerebbe inoltre porgere più spesso la poesia con la voce, anziché in forma scritta, per incoraggiare a sentire il ritmo e usarlo come via di accesso al senso.

Vale la pena leggere quanto racconta uno dei grandi poeti del nostro Novecento, Giorgio Caproni, che insegnò come maestro elementare nel quartiere popolare di Monteverde, a Roma, e per un anno girò nelle scuole a leggere poesie di altri autori (in Sulla poesia, Italo Svevo, 2016. L'episodio è ricordato anche dalla figlia Silvana nella testimonianza contenuta all'interno del volume Poeti in classe, a cura di Evelina De Signoribus e Elena Frontaloni, Italic Pequod, 2017). 

Non è vero che i bambini non comprendessero. Non comprendevano se io gliela scrivevo alla lavagna e gliela lasciavo inerte nel linguaggio grafico, ma se, pur dicendola male, gliela porgevo con la voce credo che rimanessero a bocca aperta. Io mi ricordo una volta

Forse perché della fatal quiete / Tu sei l’imago

Poi mi misi a ridere, dissi, ironicamente: «figuriamoci se voi capite che cos’è la fatal quiete». «Aho!», fecero, «è la morte!». Avevano capito benissimo. 

Viva la poesia detta, oltre che letta! Vivano le fiabe e la "voce remota".


P.S.: A proposito di storie che insegnano a scendere a patti con gli altri e con i mostri che ci portiamo dentro, avete mai letto Una zuppa di sasso? E la brava Beatrice Alemagna, che si autotraduce dal francese?  Se poi volete  lavorare a scuola con gli albi, potete leggere questo post e questo (dedicato alla riflessione grammaticale).

P.P.S.: Sono consapevole che - in un paese di non-lettori - i figli dei professori rappresentano una minoranza di bambini, avvantaggiati almeno per quanto riguarda la disponibilità di libri, di un lettore o una lettrice forte disposti a leggere per/con loro (mediando se necessario), di un modello linguistico più ricco della media. I buoni libri per l'infanzia, però, non parlano solo a loro: riescono a catturare l'attenzione anche dei bambini più resistenti: i "ragazzi di strada" - come li chiamava Collodi - pronti dare i libri in pasto ai pesci; quelli che vengono da famiglie diffidenti nei confronti della cultura e della pretesa superiorità del sapere appreso sui libri. Proprio a loro, anzi, può cambiare la vita. Per questo è importante che ogni insegnante impari a valutare i libri per bambini e ragazzi, e a suggerire i libri giusti - quelli che avvicinano a (e non allontanano da) scuole e biblioteche, che invogliano a procurarsi altri libri e a esplorare nuovi mondi possibili, che innescano processi di cambiamento. Libri attuali, senza "paroloni" inutili, ma capaci di fornire quella ricchezza linguistica e immaginativa necessaria per i lettori e le lettrici in formazione.   

Per idee di attività di ampliamento del lessico, vi rimando a questo mio articolo e al libro recensito in questo post.

domenica 26 luglio 2020

Grammatica e fantasia (nuova edizione)

Era uscito in prima edizione per Carocci nel 2011. Ora il libro di Veronica Ujcich (con la collaborazione di Sabrina Cannavò), Grammatica e fantasia. Percorsi didattici per l'uso dei verbi nella scuola primaria, riappare in una nuova edizione.
Oltre a una diversa copertina e a una Premessa che spiega le ragioni del ritorno sul tema a distanza di nove anni, il libro si avvale della più ampia esperienza delle autrici (che sono insegnanti di scuola primaria) ed è pertanto arricchito di nuovi "esperimenti grammaticali" sul verbo (da proporre non prima della terza primaria!).


Il metodo è quello della "scoperta", messo a punto da Maria Pia Lo Duca. Alla "scuola padovana" appartiene del resto l'autrice principale, che ha alle spalle un dottorato in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie nell'Università di Padova, da cui era nato il volume I tempi nei testi. Analisi dei tempi verbali in testi narrativi prodotti a scuola (CLUEP, 2010).
L'autrice ha inoltre in cantiere, insieme con altre insegnanti-ricercatrici attive nel GISCEL Veneto (Stefania Tonellotto, Diana Vedovato, Vera Zanette) e sempre per lo stesso editore, un ampio progetto di Grammatica dei bambini in tre volumi (dedicati rispettivamente all'analisi delle parole, all'analisi della frase e agli altri temi e problemi dell'educazione linguistica nella scuola primaria, ancora una volta affrontati con metodologia laboratoriale per scoperta). Il primo (sottotitolo: Le parole) è appena uscito. 




Ma veniamo alla nuova edizione dell'agile e fortunato libro dedicato ai verbi, il cui titolo richiama - nella "fantasia" - anche il metodo rodariano delle storie fantastiche (Gianni Rodari è un autore spesso citato e ampiamente utilizzato nella costruzione delle attività operative). La consapevolezza della difficoltà, per bambini di 8 anni, di comprendere ragionamenti astratti (necessari per attivare la riflessione sulle strutture grammaticali) suggerisce all'autrice di ridurre al minimo i termini tecnici e di avvalersi di immagini, storie, piccole drammatizzazioni; nella nuova edizione, inoltre, molte attività pensate per la terza primaria sono state posticipate alle classi successive.
Il libro si articola in quattro capitoli: il primo dedicato ai tempi del verbo, il secondo al funzionamento dei verbi nel testo narrativo, il terzo alla costruzione della frase a partire dal verbo secondo il modello valenziale (questo capitolo è stato scritto da Sabrina Cannavò). Un quarto capitolo mostra esempi delle attività suggerite nel testo. Esercizi di rinforzo, osservazione e verifica sono presenti anche a conclusione dei primi due capitoli, mentre il terzo si chiude con un confronto tra il vecchio (la classificazione tradizionale dei complementi) e il nuovo (la suddivisione degli elementi periferici della frase in circostanti ed espansioni).

Se le pratiche scolastiche si accontentano spesso della memorizzazione dei paradigmi dei verbi, questo libro guida le e gli insegnanti a creare percorsi che aiutino bambine e bambini di 8-10 anni a riconoscere la categoria del verbo e le funzioni dei tempi verbali (dell'indicativo!) nel loro contesto d'uso: nei testi letti e in quelli prodotti dai bambini stessi.
La Premessa chiarisce le condizioni alle quali il metodo può essere agevolmente applicato: sarà l'insegnante a scegliere come suddividere il percorso continuo delineato dalle lezioni, in base ai tempi della classe; la classe dovrà poter contare su un'ampia presenza di parlanti nativi, che possano pronunciare giudizi sulla grammaticalità degli enunciati; in caso di presenza di bambini non italofoni, sarà necessario prevedere approfondimenti di tipo contrastivo sui verbi in lingue diverse (un confronto è possibile anche con l'inglese, insegnato - più o meno - già nella primaria). 
Oltre a illustrare i benefici del metodo per l'inclusione (il supporto degli elementi grafici favorisce i bambini con DSA, il metodo dialogico favorisce la partecipazione dei bambini APC - che pure possono costituire un problema...), la Premessa mette in luce una condizione importante per lavorare in modo induttivo e laboratoriale:
avere una classe che possa formarsi come comunità di apprendimento: la difficoltà più grande da questo punto di vista non è di tipo cognitivo, come potrebbe sembrare a prima vista, o di competenze pregresse, quanto piuttosto di tipo comportamentale. È necessario che la classe sia in grado di affrontare una lezione stimolante e a tratti non prevedibile, che ciascuno sia capace di rispettare il turno di parola dei compagni e di proporre le proprie riflessioni una volta recepite quelle degli altri.

Insomma, per cominciare a riflettere in modo attivo e autonomo sulla lingua, è necessario non solo aver imparato a leggere e scrivere con sicurezza e aver sviluppato il pensiero astratto, ma anche aver acquisito sicurezza emotiva e quelle competenze orali che sono alla base dell'esercizio di una cittadinanza attiva.

mercoledì 24 giugno 2020

Smuoviamo qualcosa: per la riapertura delle scuole

 Chiara Panzieri, docente di ruolo nella secuola secondaria, ha elaborato una proposta di mozione sulla riapertura delle scuole a settembre, da presentare al proprio Collegio Docenti.
Si tratta di un testo articolato, che raccoglie le riflessioni fatte da una collega che ha avuto la capacità di leggere ascoltare discutere e pensare, e il privilegio di osservare - durante un anno di aspettativa trascorso in Francia - le diverse scelte in materia di istruzione fatte da due governi alle prese con l'emergenza sanitaria.



A questo link potete leggere alcune sue riflessioni, pubblicate sulla testata "La scuola e noi".


Qui di seguito il testo del modello di mozione:


MODELLO proposta mozione Collegio Docenti su riapertura a settembre

Att.ne - MIUR tramite DS
- SINDACATI tramite RSU

Noi docenti della scuola ____________________________________________________ ,
riuniti in Collegio Docenti in data _________________________ ,  giunti quasi al termine di un’esperienza scolastica unica e necessaria, quella della DAD, dovuta alla situazione di emergenza sanitaria causata dalla diffusione del COVID19, dopo un sereno e costruttivo confronto e un’attenta e animata discussione,
DICHIARIAMO
- che la didattica a distanza, necessaria nel periodo di chiusura totale, non può essere una soluzione, neppure parziale, per il piano di ripartenza della scuola.
Se a settembre sarà necessario, per ragioni sanitarie, rispettare norme di distanziamento fisico, occorre trovare soluzioni – e risorse necessarie per metterle in atto – per tornare in presenza.
La crisi sanitaria che stiamo vivendo ci offre anche l’opportunità di un cambiamento, ma perché possa essere realizzabile occorre tornare a investire nell’educazione e nella scuola, come beni primari essenziali per un Paese, per la costruzione della società del futuro.
CHIEDIAMO
- che alunni e alunne e tutto il personale scolastico tornino da settembre a frequentare la scuola in presenza, che questo avvenga in sicurezza coerentemente con la situazione sanitaria del nostro paese;
- che il protocollo sanitario per il rientro sia non solo realizzabile, ma anche praticabile nell’esperienza scolastica e che tenga conto delle specificità educative, didattiche e pedagogiche della scuola;
- che la responsabilità dell’applicazione del protocollo sanitario sia condivisa e non ricada soltanto sulle scuole;
- che la scuola sia considerata dalla nostra politica una priorità e che le vengano quindi destinate attenzioni e risorse adeguate, coinvolgendo nella progettualità figure e realtà provenienti dal mondo della scuola;
- che vengano stanziati fondi per aumentare il personale, docente e ata, un personale qualificato e stabile, per la gestione di classi con un minor numero di alunni e alunne; per creare, reperire, immaginare più spazi e spazi diversi e per renderli adeguati; per aumentare il personale ausiliario e garantire la corretta pulizia di tutti gli ambienti scolastici;
- che si rivedano le modalità di collaborazione tra scuola ed educatori / mediatori culturali, figure professionali necessarie al funzionamento delle nostre scuole;
- che si riveda il profilo del docente, investendo sulla serietà del suo reclutamento, sulla sua formazione universitaria, iniziale e  in itinere e sulla sua retribuzione;
- che vengano attivate e/o rafforzate reti territoriali, coinvolgendo scuole, enti locali, terzo settore, al fine di arrivare a una progettazione condivisa nella creazione di un’offerta formativa territoriale per una scuola diffusa e aperta;
- che siano le scuole a guidare la progettazione sul territorio al fine di evitare il rischio di una mera esternalizzazione di attività e servizi;
- che si provveda da subito a una mappatura di nuovi spazi educativi possibili (biblioteche, teatri, cinema, musei, palestre, laboratori, sale polivalenti, associazioni, centri sportivi, palestre ecc.) in ogni quartiere, prevedendo anche nuovi percorsi e modalità di mobilità sicura e sostenibile intorno a ogni edificio scolastico;
- che si attivi un serio piano di edilizia scolastica (a partire da una nuova normativa sull’edilizia scolastica, l’ultima è del 1975) per realizzare nuovi ambienti e architetture per l’apprendimento.
In particolare ai sindacati chiediamo di sostenerci nelle nostre richieste e di aiutarci a immaginare anche forme possibili e sostenibili di protesta, soprattutto nel caso in cui ci venga impedito di tornare a scuola in presenza a settembre con tutti gli alunni e le alunne.
Riteniamo tutto ciò necessario e irrinunciabile, se vogliamo davvero che il prossimo anno (come dichiarato dal prof. Patrizio Bianchi, coordinatore della commissione ministeriale per la riapertura delle scuole) sia l’inizio di una stagione “costituente” per la scuola italiana, che realizzi finalmente la scuola immaginata e disegnata dalle Indicazioni Nazionali.