domenica 13 aprile 2025

Autobiografia della scuola (di ieri o di oggi e domani?)

Si parla molto di scuola, in questi tempi: scuola come istituzione cui è affidato il compito di educare le nuove generazioni; scuola come insieme di persone unite da una relazione di reciprocità (chi insegna e chi riceve un insegnamento); scuola come luogo di crescita e di istruzione; scuola come realtà di emancipazione e inclusione o di emarginazione e dispersione.  

Ci voleva questo libro, però, per dare la parola alla scuola e consentirle di raccontarsi attraverso la voce di uno storico della nostra contemporaneità: Mario Isnenghi, professore emerito dell'Università di Venezia. Si intitola Autobiografia della scuola. Da De Sanctis a don Milani e, come accade nella migliore storiografia contemporanea, si affida alle testimonianze di chi la scuola l'ha fatta e, col proprio fare, ha contribuito a "fare gli italiani", dagli anni Sessanta dell'Ottocento agli anni Sessanta del Novecento.  

Romanzi di ambientazione scolastica, memorialistica, documenti ufficiali, giornali dell'insegnante, diari, lettere costituiscono le fonti di questo ricco volume, che si compone di otto capitoli più un "finale in dissolvenza". Scritto con una lingua dalla sintassi stratificata e avvolgente, che restituisce la complessità di una narrazione dai molteplici fili e intrecci diversi.

Oltre che un'autobiografia, il libro è anche un grande racconto di viaggi: quelli di tanti insegnanti che si spostano lungo la penisola, tra città e provincia, accettando o invocando trasferimenti da una sede all'altra in cerca di stabilità e promozione sociale. "Docenti viandanti", "esploratori di mondi", "intellettuali diffusi" che attraversano un secolo di storia italiana e di grandi rivolgimenti politici, partecipando alla creazione di programmi e libri scolastici, tradizioni e canoni, genealogie e conventicole, rotture e restaurazioni dell'ordine. Facendoci cogliere la posta in gioco nei momenti di svolta: la costruzione o la distruzione di un'egemonia culturale attraverso l'educazione popolare (con la scuola dell'obbligo), la formazione della classe dirigente (attraverso i licei, con il meccanismo selettivo del latino), l'istruzione femminile ("lungo itinerari di controllo e inalveamento prescrittivi, preordinati e seriali"). 

Questo libro, in effetti, è anche una storia di genere, vista l'attenzione data all'educazione delle donne (ancora figlie e future spose e madri) come strumento di costruzione della subalternità: accanto ai Gianni, Giannetti e Giannettini, prototipi di scolari dinamici che prendono forma dalle pagine di tanti libri di scuola, si profila l'immagine modellizzante di una composta "Cordelia" che emerge dalle nascenti riviste femminili. 

Nel libro si parla anche di donne insegnanti: stereotipate come la "maestrina dalla penna rossa" delle pagine di Cuore, drammaticamente reali come le tante maestre vittime di molestie e diffamazione nelle scuole comunali di fine Ottocento (celebre e ricco di echi narrativi il caso della toscana Italia Donati), insolitamente anticonformiste, come le tre protagoniste dei "cantieri cattolici del femminile" (Erilla Dal Lago, Elisa Salerno, Antonietta Giacomelli).

Ma questo libro è soprattutto (e inevitabilmente) una storia di uomini di pensiero e di azione, laici o clericali, che diventano ministri dell'istruzione, come il napoletano Francesco De Sanctis, autore di "quel Vangelo per l'autocoscienza della nazione che si presta ad essere la Storia della letteratura italiana", o il siciliano Giovanni Gentile, punto di riferimento nel Ventennio per "gli uomini di libri, in scuola, università, archivi, biblioteche". Una ricognizione, quella di Isnenghi, che ci fa cogliere la dialettica tra "intellettuali militanti", vigili di fronte ai tentativi di riorientamento dello sguardo collettivo, e "intellettuali funzionari": quelli "che, semplicemente, esercitano con più o meno scrupolo o rassegnazione, sotto qualunque cielo, una professione o un mestiere; o magari anche una vocazione didattica disposta a inalvearsi nella situazione data" (p. 250), pronta a considerare il fascismo una parentesi, il consenso una recita sociale necessaria. 

La storia di cui questi uomini si rendono protagonisti ci fa cogliere la geografia dei centri di irradiazione del potere culturale: non solo la Roma dell'Istituto dell'Enciclopedia Treccani ma quella del frate Agostino Gemelli; accanto alla Firenze delle riviste e delle Accademie, Pisa con la sua Scuola Normale (e la fortissima "ricaduta mentale e memoriale" che l'esperienza ha nel ristretto gruppo dei normalisti); e poi la Torino di De Amicis, la Bologna di Giosue Carducci, la Padova di Concetto Marchesi. Una centralità inedita è riconosciuta alla città di Napoli, con Francesco De Sanctis prima, con Benedetto Croce poi (l'immagine di copertina raffigura, non a caso, la chiesa partenopea di San Sebastiano, poi sede del liceo classico Vittorio Emanuele). 


Leggendo questo libro, che parla di scuola del passato, capiamo meglio il programma di certa scuola del futuro: basta sentire le parole dell'ispettore-poeta Aleardo Aleardi, in visita alle scuole femminili di Verona negli anni Settanta dell'Ottocento: "si ignora il vero, lo schietto, il naturale: non si insegna a pensare, ad esprimere il sentimento che s'à dentro". E - commenta Isnenghi - "il giudizio precipita se come test ci si volge a come viene concepita e insegnata (o non insegnata) la storia: ragionare di spazio-tempo, dinamiche trasformative, confrontare società diverse, appare un non senso in scuole deputate invece a trasmettere certezze pregiudiziali e continuità atemporali" (p. 40). Tra le pagine cogliamo anche sapide pennellate di un presente atemporale: come quel linguaggio pedagogico che "si basa sulla ricezione e il montaggio di orecchiamenti e frasi fatte. Mattoni di un edificio complessivo di natura mimetica e gergale" (p. 275), con varianti che mutano al mutare delle mode. 

Il finale, certo, è poco consolante: dopo aver presentato la figura di don Milani, "grande uomo-simbolo di una possibile reviviscenza cristiana" che ancora si muoveva "fra esigenti concezioni dell'educazione e del mondo", Isnenghi si congeda da quella che definisce una "storia antica" per presentare l'avvenire a tinte fosche di un'istruzione dai caratteri aziendali, che "deve servire e preparare al 'mercato'" e si fa mercato essa stessa. 


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