martedì 17 dicembre 2019

La sorpresa della scoperta (sul nuovo libro di Dino Spadotto)

Quando si leggono i resoconti di ricerche, di esperienze didattiche, rimane sempre il dubbio sulla loro autenticità; i bambini, quando stimolati, aiutati, hanno una tale potenzialità e potenza di mezzi che - davanti a certe loro produzioni - si rimane sconcertati [...]. E' legittimo di fronte a certi risultati, non dico dubitare dell'onestà di chi riferisce e documenta, ma supporre una intelligente elaborazione del materiale documentario: per esempio una "scelta" di esso che mostri il meglio, che "ritocchi" qualche prestazione, che mimetizzi qualche difetto o qualche lacuna. (Maria Luisa Altieri Biagi, Introduzione a I bambini nella scuola dell'infanzia e l'educazione linguistica, Nicola Milano editore, 1983) 

Mi capita spesso di provare questa sensazione quando sfoglio libri scritti da insegnanti (per altri insegnanti) che spingono ad anticipare le tappe (per esempio della riflessione grammaticale) mostrando quaderni pulitissimi con lavori strabilianti di bambini di prima o seconda primaria.
Non mi capita quando leggo i libri di Dino Spadotto: maestro eccezionale, indubbiamente; maestro ricercatore, anche. Ma soprattutto insegnante maieueta, che fa parlare i bambini, li mette in dialogo tra loro, segue i movimenti dei loro discorsi, li registra e li trascrive.
Sappiamo quanto poco praticata (e non solo perché poco visibile) sia l'oralità nella nostra scuola: si parla ancora solo se interrogati, uno alla volta, per alzata di mano. Preoccupati di non contraddire l'insegnante (che di solito, quando fa una domanda, ha in mente anche la risposta).
Sappiamo anche quanto centrale sia la pratica dialogica per l'esercizio della cittadinanza attiva. Spadotto ci ha già raccontato le sue esperienze in due volumi editi da Morlacchi. Vi ricordate La grammatica svelata, di cui ho parlato in un vecchio post?
Arriva ora La parola che si scopre e che sorprende. Esperienze di didattica laboratoriale nella scuola dell'infanzia e primaria.



Qui l'autore fa un passo indietro (porta i suoi laboratori anche nella scuola dell'infanzia) e un passo avanti: porta i bambini e le bambine di otto e nove anni a riflettere non solo sulle parole, ma sulla struttura delle frasi. Senza paura di usare parole "difficili", anzi, stimolandoli ad arrivare da soli alla formulazione di termini e concetti spesso ignoti ai loro stessi maestri.
Leggiamo questo stralcio di conversazione (pp. 57-58).
Il maestro propone alla riflessione la frase La zia sapeva che mi rifugiavo lassù a meditare, che le grammatiche tradizionali segmentano in una frase principale (La zia sapeva) e una secondaria (che mi rifugiavo...).

ANNA - [...] non riesco a capire: bisogna dire anche cosa sapeva la zia; la zia sapeva è tipo l'asta che tiene su la bandiera che sarebbe che talvolta mi rifugiavo lassù a meditare; senza l'asta la bandiera vola via. Senza che talvolta mi rifugiavo lassù a meditare, la zia non sapeva niente, non sapeva cioè che talvolta mi rifugiavo lassù a meditare.
LUCA - Ciò che la zia sapeva e cioè che talvolta mi rifugiavo lassù a meditare aiuta a completare meglio la frase, a fare una frase più completa, a dare un senso compiuto alla frase.
ANNA - Allora La zia sapeva è la parte che regge l'altra parte della frase.
LUCA - La zia sapeva sarebbe il motore della frase.
ALBERTO - Senza La zia sapeva la frase assomiglia a una macchina senza motore: ci avrai tutta la macchina intera, la carrozzeria, ma non partirà mai. Se mettiamo insieme le due cose ti viene fuori una macchina che funziona. La zia sapeva più che talvolta mi rifugiavo lassù a meditare (motore più carrozzeria) la frase funziona.
ELEONORA - Io la chiamerei frase complementare ovvero frase che completa.
          MAESTRO - "Io la chiamerei frase complementare ovvero frase che completa". Brava!
Restituisco la battuta tale e quale per far capire all'interessata che concordo con lei e aggiungo: "Continua...".
La bambina tace, ma vedo che pensa.
FRANCESCA - Si potrebbe dire anche frase completiva.
MAESTRO - Siete stati bravi, attraverso una serie di palleggi siete giunti al concetto atteso, ovvero siete arrivati a dire che la frase oggettiva non è altro che una completiva. 

Incredibile, no? L'analisi del periodo è un gioco da ragazzi? Può diventarlo se, come spiega Spadotto, lasciamo che i bambini osservino, scoprano che la frase è incompleta, paragonino le strutture grammaticali a macchine, ottengano conferme (tramite risposte ad eco), siano incoraggiati a continuare nella riflessione collaborando insieme per arrivare alla soluzione attesa.
E una volta raggiunto il traguardo, ci fermiamo a osservare i bambini, per capire chi è rimasto indietro:

Osservando i volti dei bambini, ho la sensazione che non tutti abbiano chiaro il concetto cui è approdata Francesca. Forse la stessa Francesca non ne è pienamente consapevole. Bisogna tornarci su.   

Ma ci sarà tempo per tornarci su. Intanto, interrogandosi, si è arrivati a una scoperta: a delimitare la nebulosa del pensiero trovando una parola che delimita un concetto.
E le parole dei bambini sono spesso, felicemente, parole inventate: parole iniziarie, per esempio. Che il maestro accoglie e registra, naturalmente, rimanendo al suo posto: "accanto ai bambini, mai sopra di essi". Il "maestro ignorante" che insegna per emancipare, ricordate?

Un maestro che incarna perfettamente la figura di insegnante disegnata dal grande linguista Noam Chomsky nel suo ultimo libro tradotto in Italia: Dis-educazione. Perché la scuola ha bisogno del pensiero critico (Piemme, 2019, a cura di Donaldo Macedo, trad. di Annalisa Carena):
Bisogna parlare non a qualcuno ma con qualcuno. Questa è un'attitudine propria di ogni bravo insegnante, e dovrebbe esserlo anche per qualunque scrittore e intellettuale. Un bravo insegnante sa che il modo migliore per aiutare gli studenti è metterli in condizione di trovare da soli la verità. (Oltre un'educazione addomesticante: un dialogo, pp. 29-30)








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