lunedì 9 gennaio 2017

A che cosa serve la grammatica? (Un ricordo di Tullio De Mauro)


Per ricordare Tullio De Mauro, il "linguista democratico" scomparso il 5 gennaio, vorrei riproporre alcune sue preziose riflessioni, affidate al saggio introduttivo del volume Perché la grammatica? Didattica dell'italiano tra scuola e università, a cura di Giuliana Fiorentino (Carocci, 2010).


In queste pagine troviamo, in piccolo, una sintesi dei molteplici interessi (dalla filosofia del linguaggio alla linguistica generale, alla storia della lingua, alla lessicologia, alla grammatica, alla sociolinguistica, all'educazione linguistica) e dei ricchi contributi che De Mauro ha dato, con i suoi studi e la sua operosità continua, col suo ingegno affabile, alla cultura italiana degli ultimi Cinquanta anni.

Per rispondere alla domanda che dà il titolo al saggio, A che cosa serve la grammatica?, il fine lessicologo - curatore del GRADIT (il Grande dizionario italiano della lingua dell’uso in 8 volumi, pubblicato da UTET a partire dal 2000 e disponibile in edizione ridotta nella versione online di Internazionale) mette a fuoco l'ambiguità semantica della parola (comune anche ad altri termini come storia o vocabolario), sospesa com'è tra due accezioni: quella "oggettuale" ("insieme di forme, norme e regole di funzionamento effettivo di una lingua") e quella "epistemica" ("studio, analisi, esposizione di tali forme, norme e regole"). 
La ricostruzione della storia della parola permette di collocare lo sviluppo della prima accezione nelle principali lingue europee (inglese, francese, inglese) in un momento storico preciso (nel secondo Cinquecento) a partire dalla seconda, primitiva accezione (tipica degli antecedenti greco-latini).
"Probabilmente lo slittamento verso l'accezione anche oggettuale fu  legato alla progressiva consapevolezza cinquecentesca (e seicentesca) della diversità profonda, anche grammaticale (e semantica) e non solo fonica, delle lingue nello spazio e in fasi successive del tempo".
La consapevolezza della distinzione fra le due accezioni si sviluppa invece nel secondo Ottocento, con l'avvento della scienza linguistica: da una parte la grammatica cui i locutori si attengono (implicita - nella moderna terminologia glottodidattica), dall'altra la riflessione elaborata da grammatici e linguisti (la grammatica esplicita).

Da queste pagine emerge una memorabile definizione di "lingua":
"Ciò che chiamiamo una lingua è il punto di convergenza o, per dir meglio, è l'insieme dei punti di convergenza e accordo della maggior parte dei suoi locutori in una comunità linguistica in un certo periodo di tempo." 
Significativa per noi anche la precisazione successiva: "l'instaurarsi di un uso scritto e la sua dominanza nelle istituzioni e nelle scuole occultano in parte, e spesso per lunghi periodi di tempo, la mobilità e intrinseca diversificazione di usi linguistici entro la comunità di locutori" (con rimando esplicito a Ferdinand de Saussure, di cui De Mauro nel lontano 1963 aveva pubblicato per Laterza il Corso di linguistica generale con un prezioso commento introduttivo). E, poco più lontano, la chiosa ironica: "Le grammatiche normative sono i cani da guardia dell'uso scritto tradizionale." Una conferma, a quarant'anni di distanza, delle affermazioni contenute nelle Dieci Tesi per l'educazione linguistica democratica da lui ispirate (GISCEL, 1975). 

Il riferimento è qui alla distinzione tra le grammatiche normative della tradizione, di cui viene messa in luce la funzione conservativa (non solo codificare la lingua, ma creare un conformismo di massa nella popolazione scolarizzata, stigmatizzando gli usi linguistici divergenti dalla norma) e le grammatiche descrittive moderne (che si interessano a tutti gli usi della lingua, scritti e parlati). Di queste ultime viene sottolineata la funzione didattica: "promuovere nelle scuole non l'adesione a una norma particolare ma l'educazione alla consapevole mobilità tra le diverse norme e tendenze coesistenti nella realtà di una comunità linguistica".

Ed eccoci arrivati alla prima risposta: "Le  grammatiche riflesse (normative e descrittive) rispondono a esigenze intellettuali, conoscitive, e pratiche, pedagogico-sociali, non a necessità intrinseche alla vita delle lingue e del linguaggi" giacché "le lingue e i loro usi pur senza le regole di grammatiche esplicite hanno conosciuto e conoscono  le regolarità delle grammatiche implicite e vissute, le regolarità della grammaticalità."

La risposta più complessa, che ha impegnato le scienze del linguaggio nel Novecento, è quella che riguarda la seconda accezione del termine: A che cosa serve la grammatica vissuta?
"A che serve l'apparato grammaticale e sintattico di cui, in varia forma, ci serviamo per progettare e intendere le frasi potenzialmente infinite che realizziamo e capiamo negli e con gli enunziati delle lingue?".

Tre sono le funzioni che De Mauro individua:

1.  rendere espliciti, attraverso l'ordine e la flessione delle parole, i rapporti tra le parole in una frase  e tra le frasi e sequenze di frasi in un testo;
2.   collegare le singole parole alle diverse parti del discorso
3.   collegare il “contenuto” di ciascuna frase al co-testo e al contesto situazionale.

Un esempio, incentrato sul verbo mangiare, chiarisce il concetto: "l’apparato grammaticale consente di formulare frasi che danno forma al contenuto proposizionale degli enunciati che le realizzano (mangiare mela) collocandolo rispetto a coordinate variamente riconosciute e presenti nelle lingue:
(1) grazie a pronomi personali, quantificatori, flessione dei verbi, in rapporto alle persone in gioco nell’enunciazione, all’io o al  tu o al lui (mangio una mela, mangiano una mela,qualcuno mangia una mela); 

(2) grazie all’eventuale flessione dei verbi e a deittici, in rapporto (a) al tempo dell’enunciazione, alla contemporaneità occasionale (quei bambini mangiano una mela) o durevole (in Valtellina mangiano mele a ogni pasto), a un tempo successivo, futuro (mangerò una mela), o anteriore, passato (ho mangiato una mela), (b) al luogo dell’enunciazione,  al vicino o al lontano (là mangiano una mela vs. qui non mangiano mele)
(3) in rapporto ai ruoli profondi che nell’enunciazione si vogliano assegnare a parti del contenuto proposizionale, di agente (ha mangiato lui una mela oppure la mela fu mangiata da lui), di specificatore (ho mangiato io la mela di lui oppure sua), di paziente (mangio una mela al giorno) ecc.; 
(4) in rapporto alle modalità di assunzione del contenuto proposizionale, dato per certo o incerto (mangia una mela vs. mangerebbe una mela), desiderabile o no (mangerebbero/non mangerebbero una mela), descrittivo o necessario (mangiarono una mela vs dovettero mangiare una mela); 
(5) in rapporto alla natura assertiva,  imperativa o interrogativa con cui si propone il contenuto proposizionale (mangi una mela, mangi una mela?, mangia o devi mangiare una mela!);
(6) in rapporto ai contenuti proposizionali di altri enunciati collegabili al primo  (mangi una mela al giorno e ti levi il medico di torno; mangiando una mela al giorno ti levi il medico di torno; nella misura in cui mangi una mela al giorno il medico te lo levi di torno; te l’ho detto più volte di mangiare una mela al giorno)."



De Mauro, che ben conosceva la natura differenziata dell'effettivo uso delle parole da parte dei locutori (a lui dobbiamo, tra le altre cose, il Vocabolario di base dell'italiano), ci fa riflettere su un'analoga "gradualità differenziata nel possesso dell'apparato grammaticale", e sulle possibili ricadute didattiche.

Se per il lessico si è rivelato vincente "tenere conto della dimensione della frequenza sia assoluta sia d’uso", anche nella grammatica vissuta sarebbe utile, nella pratica didattica, "tenere d’occhio la frequenza con cui occorrono fenomeni grammaticali e sintattici per verificarne e sollecitarne il possesso negli apprendenti", procedendo (specie a livello elementare) con gradualità, limitandosi a introdurre minimi "elementi preliminari di grammatica riflessa" ("parole per parlare delle parole"), e ricorrendo a "esemplificazioni concrete più che a definizioni generali, difficilmente semplificabili se devono avere qualche rigore". 

Maxima debetur puero reverentia ac grammaticae quidem.


Perché la pretesa di anticipare i contenuti rischia di compromettere non solo le capacità degli scolari, ma anche la precisione della riflessione grammaticale, che andrebbe introdotta in modo sistematico nella secondaria inferiore e nella secondaria superiore, in parallelo con lo sviluppo delle conoscenze algebriche, e portata avanti fino all'università e oltre.

Il saggio si chiude con queste parole, forti e necessarie (evidenze mie):

"Non è mai tardi per sperare, anche se lunghe e vane esperienze dicono che i defensores grammaticae anche più accesi sono tali quando è in questione l’insegnamento della grammatica riflessa ai poco più che infanti, mentre sono freddi, o proclamano la grammatica cosa da scuolette, quando ci si riferisca agli studi mediosuperiori e superiori in cui soltanto maturità intellettuale dei discenti ed esigenze di alta formazione possono dare base allo studio della grammatica riflessa in tutta la sua complessità, a condizione che i docenti anzitutto siano preparati al non facile compito."
 
 

"Ci vuole orecchio" - amava ripetere De Mauro con autoironia. 
Lo terremo a mente. Cercando di mantenendo viva la sua speranza.  
 
 

 
 

Segnalo questo splendido ricordo della sua allieva Maria Emanuela Piemontese: Tullio De Mauro: le maniere semplici di un grande maestro e lo Speciale Lingua Italiana Treccani dedicato a Tullio De Mauro: un grande italiano.


E la bella iniziativa promossa dal MIUR perché nelle scuole venga ricordata la figura di De Mauro

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