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martedì 22 settembre 2020

La frase urbana (sul libro di J.Ch. Bailly)

Avete mai pensato alla città come a un fraseggio? Avete mai guardato al paesaggio da una prospettiva linguistica?



Jean-Christophe Bailly, filosofo e storico francese del paesaggio, ci consegna con questo libro una riflessione originale sulla struttura delle nostre città, che non rispondono più (come nel passato) a progetti unitari e ci parlano ormai con "verbi non coniugati". Il fraseggio urbano è composto di enunciati nominali in cui verbi all'infinito e nomi appaiono giustapposti anziché subordinati l'uno all'altro all'interno di un chiaro disegno complessivo. 
Che cos'è che produce l'effetto-città in questo paesaggio apparentemente disgregato e dissonante? Come nella sintassi coupée tocca all'interlocutore collaborativo stabilire connessioni per ricostruire un significato di insieme, così nello scenario metropolitano sono i nostri passi a connettere parti che fino a quel momento erano ammutolite nel loro isolamento.
Il passeggiatore-flâneur, già tratteggiato da Walter Benjamin, torna a pensare camminando, a confrontarsi con la lingua-città (un paragone caro a Ludwig Wittgenstein), a mettere in relazione strade e caseggiati, a cercare "quel soprassalto di intensità che chiamiamo senso". Parliamo nella lingua e camminiamo nella città. La città, come la lingua, è un sistema aperto, che stimola libertà di andare e di pensare.   
Una città è una somma di combinazioni realizzate e, ogni volta, in ogni percorso, la realizzazione di una nuova combinazione, di una nuova frase (p. 34).   

Sono arrivata a questo libro, tradotto in italiano nel 2016 per Bollati e Boringhieri, attraverso un altro piccolo testo, apparso in francese quest'estate: Naissance de la frase (Nous, 2020), in cui Bailly si allontana dalle quinte del paesaggio per riflettere sull'origine del linguaggio (nella specie umana e in ciascuno degli esseri umani che vengono al mondo). Nel primo dei due saggi che compongono la raccolta, Bailly conia (e coniuga) un verbo, phraser, per dire la potenza ri-creatrice della lingua che cerca un ritmo per uscire dal silenzio originario (ce monde dénué de noms et de verbes) e dire l'indicibile. Al centro, di nuovo, c'è la frase, non le parole, unità isolate.

Dès lors qu’une phrase s’invente, elle rejoue le scénario pourtant à jamais inconnu de la naissance du langage.

sabato 12 settembre 2020

Dicono di noi (La linguistica della divulgazione)

Si parla anche di questo blog a p. 19 dell'articolo La divulgazione della linguistica in rete, firmato da Emanuele Miola e raccolto negli Atti del IV Convegno Interannuale della SLI, intitolato La linguistica della divulgazione, la divulgazione della linguistica



L'autore - dopo aver apprezzato la comprensibilità del linguaggio, la numerosità delle recensioni e la varietà dei temi trattati (non di sola valenza... ) - si chiede se questo sito possa essere considerato "divulgativo" nel senso stretto del termine, essendo "gli argomenti trattati... rivolti principalmente a chi ha a che fare con la scuola, specie in qualità di insegnante". 

Io penso che l'ambizione di questo blog sia proprio quella di rivolgersi a un pubblico definito: gli insegnanti, che sono "lavoratori intellettuali" (per riprendere la formula di Giorgio Bini) e come tali hanno bisogno di studiare sempre. Con questi insegnanti, che lavorano nelle scuole, condivido la coerenza e la costanza dell'impegno. Con loro ho il piacere di condividere anche letture e idee che potranno approfondire attraverso lo studio personale, applicare in classe o accantonare come pretese velleitarie. 

In questo libro, per esempio, troveranno un bel saggio di Cecilia Andorno (Divulgazione e dintorni: i manuali, gli insegnanti e gli alunni di fronte al "mestiere del linguista") che - oltre a presentare un'interessante sperimentazione didattica - chiarisce i termini della questione: "ci muoviamo in uno spazio di confine fra la divulgazione e la formazione: ... non si tratta di rivolgersi a un pubblico di interessati non specialisti per soddisfarne occasionali curiosità, ma di formare ... persone [in primo luogo insegnanti] che non sono però destinate a diventare specialiste e professioniste del settore". 

In questo spazio ci muoviamo, in questo spazio ci incontriamo. Linguisticamente.

giovedì 3 settembre 2020

Un secolo (e oltre) di metodo Montessori

150 anni fa nasceva a Chiaravalle, nelle Marche, Maria Tecla Artemisia Montessori, donna di valore (celebrata in molte recenti biografie, alcune esplicitamente rivolte a un pubblico di giovani donne, con un obiettivo di empowerment) e che ha prodotto valore (basti vedere la diffusione di libri e materiali ispirati al metodo montessoriano presenti sugli scaffali delle librerie per ragazzi).




Come in molti altri casi (si pensi a don Milani), la spinta a innovare i modelli tradizionali di insegnamento è nata dal lavoro con bambini "difficili", in scuole differenziali di quartieri popolari, dunque ai margini del sistema scolastico. Di qui - in ragione di una dinamica non infrequente nelle società capitaliste, e che gli economisti rappresentano con un grafico sotto forma di U rovesciata - il Metodo Montessori si è diffuso fino a diventare marchio registrato e patrimonio di pochi, utenti delle scuole paritarie, figli della buona borghesia internazionale. 

Sono berline sportive e neri suv
che varcano gli alti cancelli e di là scaricano
i poveri figli dei ricchi alla scuola privata.

Ne avrà cura tutoria dietro le reti e le insegne
la scuola fino a sera, e torneranno
al crepuscolo i genitori e la loro flottiglia
tenacemente giustificata lungo il giorno,
cromatura per cromatura, investimento
su investimento in assenza di impicci. 

I figli, nelle pause,
corrono fuori a fumare nervosi a gridare qualcosa
o restano silenziosi contro un muro.
Non bisticciano quasi mai, non manifestano
pena o interessi particolari per gli effetti e le cause.

Si allenano a diventare come i padri come le madri.

(Scuola per ricchi, Fabio Pusterla)

 

Ho parlato dei materiali Montessori dedicati alla riflessione grammaticale (le "scatole") in un vecchio post

Qui potete leggere invece un artcolo scientifico, pubblicato sulla rivista "Studi di grammatica italiana", che ho dedicato al trattato montessoriano di Psicogrammatica, scritto negli anni Trenta del secolo scorso e uscito postumo pochi anni fa. Un'opera che, come e più delle altre, dobbiamo reinserire nel contesto storico in cui ha visto la luce: per valorizzare le idee più innovative di Maria Montessori ed evitare applicazioni anacronistiche di idee ormai superate.

Se volete approfondire il tema dell'importanza della manualità per lo sviluppo delle funzioni cognitive (una delle intuizioni più fertili, io credo, di Montessori) alla luce delle recenti scoperte neuroscientifiche, vi consiglio di leggere il contributo di Leonardo Fogassi al volume Montessori e le Neuroscienze.