La vocazione, per l'insegnante di scuola, è invocata con la stessa frequenza dell'ispirazione per lo scrittore e, come questa, è oggetto di continui fraintendimenti. Di fronte ad entrambe, comunque, più che le professioni di fede, valgono le analisi degli effetti prodotti: sui ragazzi che si formano come sui libri che si scrivono.
Se pensiamo che la scuola pubblica gratuita e laica per tutti sia una delle grandi conquiste della civiltà, che sia il valore più universale tra i tanti [...] allora come si fa a preoccuparsi dell'ortografia che langue o delle lingue morte che muoiono invece di pensare a come prendersi cura dei ragazzi che soffrono? (p. 23)
Lo dice bene Magda Indiveri (altra amatissima docente bolognese) nella sua Postfazione al libro (Se ogni giorno entra in classe un professore): alla giusta distanza ogni docente si scopre in primo luogo lettore. Un lettore cooperante, che tanta parte ha nel decidere il senso di quei testi che gli si dispiegano davanti, ogni giorno, e che ogni giorno tenta di "mettere in riga". Un lettore che vive a scapito dell'autore, che ha rinunciato a forgiare i suoi personaggi. Non a caso, la postfattrice cita le parole di Roland Barthes, a conclusione della sua Lezione inaugurale del 1977: "nessun potere, un po' di sapere, un po' di saggezza, e quanto più sapore possibile".
La ricetta giusta per il nostro professore, che aggiunge però un'altra indicazione in levare: "nessuna seduzione". Un ingrediente indispensabile in tempi di esaltazione del desiderio e della competizione, di insegnanti-influencer in cerca di gratificazioni seduttive, di "erotica dell'insegnamento" propagandata dai maitres à penser del momento e spesso praticata in modo irresponsabile:
Bisognerà fare attenzione. L'erotismo che fonda il mestiere dell'insegnante, lo sappiamo da millenni, è di necessità asimmetrico. Non importa quali siano le tue intenzioni: se non ti mantieni su un altro piano, fuori abbraccio e fuori gara, non puoi insegnare niente. (p. 31)
Senza negare la tensione emotiva che sostiene la relazione didattica, Turrini ci mostra la prospettiva giusta da cui entrare in relazione, la concentrazione e l'impegno necessari per mettersi in ascolto, l'arte della divagazione didattica che non sconfina mai nello stimolo effimero, la capacità di accettare i propri falllimenti e di riconoscere (o farsi riconoscere) i meriti.
Ci consegna, anche, un quadro sociologico: il ritratto di un insegnante dal prestigio e carisma riconosciuti, consapevole del deterioramento dell'aura che, almeno fino al secolo scorso, circondava i professori di liceo, compensando almeno in parte la mancanza di una retribuzione adeguata e di possibilità di progressione o differenziazione delle carriere. Eppure grato, riconoscente in quanto riconosciuto dalle persone in crescita di cui è riuscito a meritare la stima.
Leggendo questo libro, insomma, sono riuscita a capire il paradosso illustrato dal sociologo Gianluca Argentin nel suo volume Gli insegnanti nella scuola italiana. Ricerche e prospettive di intervento (Il Mulino, 2018): l'inaspettata soddisfazione lavorativa degli insegnanti italiani, nonostante le condizioni che ne limitano il benessere lavorativo, il riconoscimento sociale, la motivazione e talora l'efficacia. Le ragioni di una scelta così poco esclusiva eppure ancora sufficientemente remunerativa: con o senza vocazione.
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