In occasione del secondo Dantedì - nell'anno delle celebrazioni dantesche per i 700 anni dalla morte del poeta - avrei voluto proporvi un'analisi della tessitura verbale (incentrata sui verbi) dell'incipit dantesco, impresso nella memoria di tutti noi.
Una sfida, perché - come giustamente notava Giorgio Caproni (Sulla poesia, Italo Svevo, 2016, p. 35) - la chiave interpretativa del canto I dell'Inferno è già nelle parole-rima delle prime terzine: «vita-smarrita», «paura-dura-oscura», una sola delle quali è una forma verbale: «(era) smarrita».
Una sfida che è già stata raccolta dall'amica Carmela Camodeca, in margine al racconto della recita del Canto I di Dante alla piccola Fiammetta, sua nipote, in un articolo intitolato La Divina Commedia a tre anni, nel quale ci ricorda l'importanza di affidarci alla lingua di Dante, di far parlare la sua poesia prima ancora che i commenti e le parafrasi.
i verbi, sia quelli che scandiscono la parte narrativa, diegetica, del testo (mi ritrovai, non so, dirò, intrai, guardai in alto, vidi, gridai, si mosse, ecc…) che quelli presenti nella parte dialogica, mimetica (vedi, aiutami, fui, sei, verrà ecc…) [...] Sono tutti verbi che appartengono al vocabolario di base dell’italiano contemporaneo o che non hanno modificato la loro forma grafica al punto da non essere più riconoscibili (intrai); la loro struttura argomentale è facilmente individuabile, anche se è presente l’ellissi dell’argomento soggetto o se gli argomenti sono espressi in un lessico che, pur non potendo essere noto a un bambino piccolo, è già in parte circoscrivibile a partire dal significato stesso del verbo (mi ritrovai per una selva: deve essere un luogo). Il tempo prevalente, il passato remoto, non sembra ostacolare la comprensione: l’esposizione a questo tempo verbale è infatti precoce nei bambini [...].
Vale la pena leggere per intero questa analisi, che illumina la straordinaria capacità di Dante di creare un universo (in rima) capace di incatenare all'ascolto anche un "orecchio acerbo".
E ci ricorda l'importanza di far risuonare ad alta voce le parole di Dante, anche a scuola. Di insegnare a leggerlo facendo sentire la musica dei versi, le rime, le inarcature. Di "prendere il testo alla lettera" - come ci raccomanda una raffinata e originale dantista, Teodolinda Barolini (responsabile del progetto Digital Dante presso la Columbia University), nell'intervista rilasciata a Paolo di Stefano (al cui ingegno linguistico dobbiamo la parola Dantedì) per il Corriere della sera:
Come leggere Dante a scuola?
«Il modo più utile è prendere il testo alla lettera. Basterebbe far leggere ai ragazzi il racconto, avendo fiducia nella narratività della Commedia. Io mi dispero quando arrivo a Petrarca per far capire ai giovani quanto siano squisite quelle poesie, questo sì è un problema. Ma non ci si può disperare di fronte alla Commedia che è un grande motore narrativo che trascina tutti con sé»
E se è vero che i verbi sono il motore della narrazione, non ci resta che augurarvi buon viaggio, con Dante.
«Nessuno ha il diritto di privarsi di questa felicità, la Divina Commedia.
All’inizio si deve leggere il libro con la confidenza di un bambino, abbandonandosi ad esso.
E allora ci accompagnerà per tutta la vita» (J.L. Borges, Sette notti, 1980)
P.S.: Se avete bisogno di una guida nella selva di riscritture riduzioni adattamenti per ragazzi che riempiono gli scaffali delle librerie, ho scritto questo per voi.
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