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mercoledì 13 febbraio 2019

L'ortografia e la lotta di classe

Ritorno a distanza di tempo sul tema dell'ortografia, un livello superficiale della lingua (scritta) sul quale si concentra la preoccupazione di molti.
In vecchio post si parlava del legame tra l'attenzione alla correttezza ortografica e altre mode hipster come l'ortoressia; in un post più recente, l'importanza accordata alla punteggiatura veniva collegata al ritorno di massa alla scrittura (sui social) come pratica quotidiana.

Il dibattito politico attualmente in corso in Francia (legato al confronto tra il governo in carica e il movimento dei gilets jaunes) ha riportato all'ordine del giorno il legame tra l'ortografia e la classe sociale: gli errori di ortografia commessi dai leader dei gilets jaunes sui gruppi Facebook sono oggetto di messaggi di "odio social" che è, ancor prima, "odio sociale", insofferenza esibita dai foulards rouges nei confronti della scarsa cultura (ma alcuni arrivano a parlare di stupidità) dei manifestanti.

            (Foto AFP)

"Gli errori ortografici smascherano i poveri" - diceva don Milani.
Oggi come ieri, richiamare le classi popolari ai loro errori di ortografia è un modo per delegittimarle ed escluderle dallo spazio politico, come ha scritto Vincent Glad su Libération.
Del resto, i leader del movimento sono consapevoli della loro imperizia ortografica, ma anche del fatto che l'obiettivo per cui usano i social media non è quello di farsi apprezzare, ma di farsi capire.
In un'intervista rilasciata a un altro giornale, il linguista Alain Rey (direttore dei dizionari di francese Le Robert) dice, a proposito di questa ondata di intolleranza ortografica:

Avere una buona ortografia fa parte dei comportamenti sociali. Un'ortografia incerta è tollerabile nelle lettere private, negli SMS, ma in ambito professionale gli errori ortografici espongono a una sanzione sociale: si rischia di essere giudicati male, di subire effetti sociali sgradevoli. Chi commette errori prova un sentimento di scacco. L'ortografia è un indicatore sociale, dà una certa immagine di sé. Dimostra che si è capaci di rispettare le regole, che si ha padronanza della propria lingua. Il valore patrimoniale simbolico associato all'ortografia è quasi eccessivo: un errore genera ancora reazioni di intolleranza in un mondo per altri versi sempre più tollerante.

Intolleranza che si spiega come forma di repressione simbolica da parte di cittadini non necessariamente immuni da errori ortografici (che in Francia sono diffusissimi anche tra le persone colte), ma provenienti da milieux favorisés (in cui la distinzione sociale passa anche attraverso un certo uso della lingua), e da percorsi scolastici in cui viene sviluppato il riflesso a rileggersi per controllare gli errori (insieme con il pregiudizio che porta a rifiutarsi di leggere testi "scritti male").
Ovviamente, l'intelligenza e la capacità di argomentare in difesa dei propri diritti non hanno nulla a che vedere con la padronanza dell'ortografia, e puntare il dito sull'ortografia rischia di far perdere la natura politicamente esplosiva dei messaggi incriminati.

Eric Vuillard, autore di un romanzo breve appena uscito, dedicato alle rivolte popolari che agitarono l'Europa nell'età delle Riforme, ci ricorda il legame tra ingiustizia fiscale, disuguaglianze sociali (e nell'accesso alla cultura) e potere rivoluzionario della parola.
Parola che è spesso maldestra all'inizio, ma che in alcuni casi riesce a sovvertire l'ordine stabilito, ad abbattere barricate reali e simboliche. Les mots, qui sont une autre convulsion des choses.
Nella storia raccontata da Vuillard ha un ruolo decisivo l'invenzione della stampa, con la possibilità di rendere pubbliche e far circolare opinioni personali in "lingua volgare" (del popolo, appunto) che sfidano apertamente il principio di autorità (a partire dall'autorità del testo sacro).



Oggi il luogo del confronto e dello scontro si sposta (o si tenta di spostarlo) sulla rete.
Su iniziativa del Presidente Macron, il governo francese ha lanciato una piattaforma online per "dare la parola ai cittadini e farla ascoltare": è il Gran débat national, che si è aperto il 15 gennaio e si chiuderà il 15 marzo.
"Il governo si impegna a prendere in considerazione tutti i pareri e le proposte espresse nel rispetto del metodo e delle regole del dibattito, secondo principi di trasparenza, pluralismo, inclusione, neutralità, uguaglianza, rispetto della parola di ciascuno" - recita il sito.
Accetteranno i "nuovi poveri" di prendere la parola su questa pedana per dire la loro sui temi di politica fiscale, servizi pubblici, transizione ecologica, cittadinanza e democrazia?
Sarà possibile per i governanti leggere migliaia di contributi e farne una sintesi coerente, sia pure con l'aiuto di programmi per il trattamento automatico dei dati? Come si comporterà il programma di analisi di fronte agli errori di ortografia?


P.S.: Quanto al sentimento di scacco collegato agli errori, una testimonianza toccante è quella di Luigi Di Ruscio, "poeta con la quinta elementare", operaio emigrato in Norvegia, di cui Marcos y Marcos ha da poco pubblicato una raccolta postuma di Poesie scelte (1953-2010): "Fa il poeta e scrive l'aradio. Avevo vergogna di tutti i miei sbagli ortografici, erano come peccati mortali".
 
 


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