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mercoledì 10 ottobre 2018

Minimizzare non serve: gli equivoci sulla "frase minima"

Da molti anni nelle scuole si parla di frase minima.
Anzi, si è cominciato a parlare di "frase minima" prima ancora che si diffondesse il concetto di "valenza" e si iniziasse ad analizzare la frase partendo dal verbo.
Il perché ce lo ha ricordato Adriano Colombo: prima che arrivasse l'atipico e isolato Tesnière, era arrivato il Italia un altro francese: André Martinet.
Nel 1966 viene tradotto in Italia il volume apparso 6 anni prima in francese: Elementi di linguistica generale. Il volume riprende la procedura messa a punto dallo strutturalismo per la fonologia (l'individuazione di unità minime, i fonemi, che hanno valore in rapporto alle possibilità di opposizione e combinazione con altre unità) e la generalizza agli altri livelli della lingua: morfologia, lessicologia, sintassi.
Martinet chiama "monema" l'unità minima della lingua dotata di significato (un'unità significativa, dunque, a differenza del fonema, che è solo un'unità distintiva). I monemi si combinano in sintagmi, i sintagmi danno luogo ad enunciati.
L'enunciato minimo è quello formato da due termini (due monemi o due sintagmi), di cui "uno indica uno stato di cose o un avvenimento su cui si attira l'attenzione (predicato), e l'altro, chiamato soggetto, designa un partecipante, attivo o passivo, di cui si mette in valore il ruolo" (4.26).

Insomma: in un'opera uscita quando Tesnière era ormai morto, Martinet recupera la tradizionale opposizione soggetto/predicato (che rimonta ad Aristotele), facendone il nucleo centrale dell'enunciato minimo (chiamato "frase minima" quando si esclude la dimensione dell'intonazione).






Che è quanto Tesnière aveva cercato in tutti i modi di contrastare, sottolineando come il soggetto sia un "attante" (oggi diciamo: argomento) al pari degli altri "complementi del verbo" (gli oggetti). Ragionare sulla valenza del verbo, infatti, ci porta spesso a individuare altri elementi necessari (tanto quanto il soggetto) per formare una frase minima sì, ma di senso compiuto: completa, dunque.

Il pagliaccio diverte non è una frase minima: è una frase monca.
Il pagliaccio diverte i bambini, semmai, può essere considerata una frase minima

Dobbiamo a Martinet anche il concetto di "espansione", da lui indicato per indicare "tutto ciò che non è indispensabile". (4.30)
Quando nelle scuole e in molti testi scolastici (specie delle primarie) si parla di "frase minima" formata da "soggetto" e "predicato" (quest'ultimo coincidente col verbo) e si relega tutto il resto ad espansione, ci si rifà a questa tradizione, semplificata e banalizzata. 

Di recente mi sono soffermata su un altro aspetto della questione: il concetto di "frase minima" induce il riflesso di togliere tutto il possibile, intaccando l'unità dei gruppi di parole (sintagmi) che occupano la posizione di argomenti del verbo.
In una frase come

La mamma di Caterina si fida dell'insegnante di italiano di sua figlia.  

la prima cosa da fare è individuare, a partire dal verbo, le posizioni sintattiche attivate dalla valenza (soggetto e oggetto indiretto o preposizionale).
Ciascuna di queste posizioni può essere occupata da elementi di maggiore o minore complessità: al posto di la mamma di Caterina  posso dire Cristiana oppure lei. Sono espressioni che fanno riferimento alla stessa persona e permettono di individuarla con un'efficacia maggiore o minore a seconda del tipo di testo o di situazione comunicativa.
Di fronte a un'espressione complessa come la mamma di Caterina, potrò successivamente pormi il problema di individuare il "nucleo" dell'espressione, che sarà costituito dal nome mamma preceduto dal determinante la; l'espressione di Caterina è una sorta di "coda" che modifica il nome comune, specificando il riferimento.
Stessa cosa per l'espressione dell'insegnante di italiano di sua figlia: sul piano sintattico basterebbe dire dell'insegnante, ma la coda (le code, in questo caso) sono necessarie per identificare senza ambiguità l'insegnante cui è rivolta la fiducia.
Allora la frase sopra che frase è? Frase minima o frase espansa? La questione è mal posta! Non è la frase ad essere espansa: sono i nomi che funzionano come argomenti del verbo a ricevere delle "espansioni".

Il mio consiglio: guardare all'insieme prima di cominciare a smontare. E assicurarsi che ci siano tutti i pezzi!
E poi, se smettessimo di minimizzare e cominciassimo a parlare di "frase nucleare"?
Ci risparmieremmo tanti equivoci e anche tante discussioni tra valenzialisti di diversa scuola.


2 commenti:

  1. Buongiorno, ho trovato il suo scritto cercando di capire qual è la frase minima a partire da "I laghi artificiali sono sbarrati da dighe enormi". Dapprima ho pensato fosse: i laghi sono sbarrati, ma poi mi sono posta il problema dei verbi di forma passiva. Nella frase minima va incluso il complemento d'agente o causa efficiente secondo lei? Grazie.

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  2. Certo! Se l'espressione dell'agente è presente nella struttura di frase va senz'altro inclusa nel novero degli argomenti del verbo. Si tratta di contare i personaggi in scena, in fondo. Vero è che l'agente, nella frase passiva, spesso si nasconde. Anzi, la frase passiva viene spesso usata a bella posta: per occultare l'agente. Nella frase passiva, di fatto, la seconda valenza risulta indebolita, ma c'è!

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