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mercoledì 31 ottobre 2018

Le prédi-quoi? Sollevamento popolare in Francia contro il predicato

In Francia i nuovi Programmi entrati in vigore nel settembre 2016 hanno introdotto nell'insegnamento della grammatica nella scuola dell'obbligo un concetto fino ad allora sconosciuto: quello di predicato!
Questi i traguardi di apprendimento per la 4a e 5a elementare (CM1 e CM2) e per la prima media (6e):


Niente di rivoluzionario ai nostri occhi: noi siamo abituati da sempre a parlare di predicato (sia pure in modo non sempre appropriato).
Eppure in Francia la comparsa di questa parola ha avuto effetti imprevisti: rivolta degli insegnanti e polemiche dei genitori diventate virali sui social. Finora, infatti, si era parlato di "verbo" e di "complementi del verbo" (oggetto diretto e oggetto indiretto). (Si noti che in Francia la casistica dei complementi ereditata dallo studio delle lingue classiche è stata abbandonata da decenni: ai complementi del verbo, necessari e pronominalizzabili, si oppongono nel loro insieme i "complementi circostanziali", periferici e isolabili).
All'occhio disattento del lettore inesperto (e alla propaganda disinformata e faziosa), i complementi del verbo sono sembrati scomparsi, nascosti come sono dentro un nuovo sparuacchio: il predicato, inteso come la funzione corrispondente al gruppo verbale formato dall'insieme del verbo e dei complementi retti dal verbo.
Il Consiglio Superiore dei Programmi (CSP) è stato messo sotto accusa, colpevole al contempo di voler inutilmente complicare l'insegnamento grammaticale e di livellarlo verso il basso: la presunta scomparsa del complemento oggetto diretto metterebbe a rischio l'accordo del participio passato (uno dei temi più delicati e controversi della grammatica francese). Ovviamente bastava leggere il testo per rendersi conto che non è affatto così...
Il Presidente della Commissione ha provato in tutti i tweet a spiegare che il concetto di predicato non sostituisce quello di complementi del verbo, ma lo ricomprende sotto un ombrello che funziona da controparte del soggetto: come si parla di "soggetto" per indicare la funzione del gruppo nominale, così si parlerà di "predicato" per la funzione del gruppo verbale. I complementi potranno essere introdotti in un secondo momento, quando ci si soffermerà sugli elementi che compongono il predicato.




Niente da fare: ci si sono messi anche i sindacati a ribadire che la grammatica che si insegna alle scuole elementari e medie non può essere la stessa che si insegna all'università.
Sul tema è stato anche organizzato un convegno dagli esperti intitolato: Le prédicat. Enjeux linguistiques & didactiques. 
Ma non è stato il dibattito interno tra grammatici o pedagogisti a contare, quanto il  sollevamento popolare (del popolo della rete) contro il predicato: sotto la pressione delle critiche e degli insulti, la Commissione è stata costretta a fare marcia indietro, con dimissioni eccellenti.
Per una sintesi del dibattito rimando al bell'articolo di Sylvie Plane: Le prédicat est-il subversif?

Che insegnamento possiamo trarne? Che tra saperi riconosciuti e scientificamente aggiornati da una parte, e pratiche didattiche consolidate e resistenti dall'altro, non c'è necessariamente dialogo e tantomeno accordo. Che non c'è riforma che tenga senza il dovuto aggiornamento degli insegnanti. Che la gogna mediatica può appuntarsi anche contro oggetti grammaticali. Che l'insofferenza contro gli intellettuali si fa strada anche oltralpe. Che mala tempora currunt se ignoranza e aggressività hanno la meglio comunque.

martedì 23 ottobre 2018

Linguistica per insegnare (sul libro di Baldi e Savoia)


 
Mi è arrivato brevi manu, recapitato dalle mani di un agente editoriale Zanichelli: gesto ormai inconsueto e anco più apprezzabile.
Il nuovo libro di Benedetta Baldi e Leonardo M. Savoia, docenti presso l'Università di Firenze, si intitola Linguistica per insegnare, e non a caso. Non è un manuale di glottodidattica, ma uno strumento operativo pensato per gli insegnanti di lingua, che si basa sull'integrazione di teoria linguistica e pratica didattica delle lingue moderne.  
 
 


228 pagine, con Prefazione di Paola Desideri, questo nuovo libro esce a distanza di un anno dal precedente Linguaggio e comunicazione. Introduzione alla linguistica.
Il libro nasce dalla consapevolezza che "oggi l'educazione linguistica non può basarsi semplicemente sulla trasmissione dei saperi, ma deve proiettarsi arditamente - e in modo costante - verso la ricerca e l'analisi critica" (p. VIII). Deve cioè assumere un atteggiamento scientifico: guardare ai modelli senza dimenticare i concreti e vari fatti di lingua.

Come si intuisce dal sottotitolo (Mente, lingue e apprendimento), l'ossatura del libro è costituita dai modelli cognitivisti sull'insegnamento/apprendimento di una seconda lingua. Ma tanta parte hanno anche gli approcci comunicativi, che hanno messo in luce il ruolo dell'appartenenza linguistica e culturale dei parlanti nel processo di apprendimento. Come chiariscono gli autori, anche nel caso di competenza bilingue (acquisita senza un insegnamento guidato) non è possibile parlare di "equilinguismo", dal momento che "ogni varietà linguistica che un parlante padroneggia sarà al contempo dipendente da questioni di tipo identitario, oltre che motivazionale e pratico".

Il volume si articola in dieci capitoli. Il primo (Educazione linguistica e teorie del linguaggio) è dedicato alla ricostruzione storica del dibattito sull'apprendimento linguistico. Il secondo e il terzo capitolo entrano nel cuore delle strutture grammaticali affrontando le categorie chiave della morfologia e della sintassi (della fonologia si parla più avanti, nel capitolo sesto).
Troviamo qui esposti, in un paragrafo intitolato Il verbo come rappresentazione di una scena, i concetti fondamentali della "grammatica valenziale" (p. 43), citata come "tentativo interessante di sfruttare a fini didattici il modo in cui si forma la frase sulla base del verbo e dei suoi argomenti" (p. 43). Il modello viene ritenuto adatto anche all'insegnamento di una lingua seconda (L2) in quanto "propone di sviluppare le competenze dell'apprendente rendendo via via più complessa la frase a partire dai suoi elementi necessari."
Di fatto, gli autori concordano con "l'idea che la conoscenza grammaticale riflessa possa sviluppare la competenza dell'apprendente di L2" dato che lo spinge a un'elaborazione linguistica consapevole e aiuta a fissare le regole sintattiche.

Alla questione della relazione tra L1 e L2 e alla possibile influenza che la L1 può esercitare nel processo di acquisizione/apprendimento della L2 sono dedicati il quarto capitolo e l'ottavo, mentre il nono affronta la questione del bilinguismo.
Dei fattori pragmatici, sociolinguistici e testuali che entrano in gioco nel processo si tratta nel quinto capitolo. Nel settimo si ragiona di lingua, cultura e identità. Nel decimo, infine, sono passate in rassegna le principali metodologie e pratiche per la didattica delle lingue, con riferimento anche al Quadro Comune Europeo di Riferimento (QCER).

Il libro presenta, certo, vari tecnicismi, e si addentra in aspetti complessi relativi al funzionamento delle lingue.
Mi sento comunque di raccomandarne la lettura anche a non specialisti. Se ne esce infatti rafforzati nella consapevolezza che le lingue sono oggetti complessi e mutevoli, non descrivibili con rigide tassonomie, e che non esistono strade più facili o più efficaci di altre per imparare e insegnare un'altra lingua. Esistono situazioni di partenza diverse (bisogni, motivazioni, attitudini, età) e contesti di apprendimento diversi (da quello scolastico a quello spontaneo), ai quali dobbiamo imparare a rapportarci con "robusta versatilità", scegliendo il metodo e la pratica adatti.

Del resto, come ricorda la citazione di Cesare riportata in esergo: Sed in experiendo cum periculum nullum videret. Tentar non nuoce, anzi giova. 

domenica 21 ottobre 2018

Corso di formazione GISCEL (Bologna, novembre 2018 e oltre)


Un corso di analoga struttura è stato organizzato dal GISCEL Veneto in collaborazione con il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari (DISLL) dell'Università di Padova.

sabato 20 ottobre 2018

ITA: il dizionario da tenere sul tavolo

Non molti lo sanno, ma nel 2012 è uscita un'edizione rivista del dizionario Sabatini Coletti, lo storico DISC: il primo dizionario italiano che registra le valenze dei verbi.




Pubblicata da Sansoni scuola col nome di ITA, rispetto all'edizione uscita per Rizzoli nel 2008 - quella su cui è basata la versione online disponibile sul sito del Corriere della Sera - questa nuova edizione è stata rivista e aggiornata grazie alla collaborazione di Manuela Manfredini, con particolare attenzione per le voci verbali.
Per la cura di Elisabetta Jezek sono stati rivisti i verbi pronominali e i verbi procomplementari. Faccio subito alcuni esempi: vergognarsi era etichettato nella vecchia edizione come v. rifl. (verbo riflessivo) perché si costruisce con il pronome riflessivo si; la costruzione dà luogo tuttavia a un verbo che ingloba il pronome come marca di intransitività, non di riflessività: per questo è più corretto definirlo v. pron. (verbo pronominale).
I verbi procomplementari sono verbi che saldano a sé uno o più pronomi clitici (o particelle) con funzione di complemento (ci, la, le, ne), assumendo un significato diverso rispetto a quello del verbo base: cascarci, spuntarla, prenderle, farcela, starsene... Anche in questo caso, il ricorso alla nuova etichetta perfeziona la descrizione delle voci verbali e dei relativi schemi di frase (indicati dalle formule di valenza).

Un'altra novità del dizionario è data dalla comparsa di box (curati da Riccardo Cimaglia) che, per un congruo numero di nomi ne indicano le combinazioni con i verbi.
Alla voce danno, per esempio, troverò indicate le costruzioni rimediare a un danno, assicurarsi contro i danni, rubricate sotto la formula [v-prep.arg] perché il nome compare in posizione di oggetto indiretto (o preposizionale) del verbo.

Insomma: uno strumento utile, anzi indispensabile, da tenere in classe o sul tavolo da lavoro per fugare dubbi e per costruire esercizi ed attività di potenziamento lessicale e grammaticale.
L'acquisto del dizionario cartaceo permette anche l'accesso a una piattaforma web in cui è possibile effettuare ricerche non solo per lemmi, ma anche per parole chiave e ambiti.
Eppertanto, buon lavoro!

lunedì 15 ottobre 2018

La valenziale a Didacta 2018 (Firenze 18 ottobre)

Da tempo l'INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione per l'Innovazione e la Ricerca Educativa), con la supervisione di Francesco Sabatini, promuove la grammatica valenziale come "buona pratica didattica", mettendo a disposizione risorse liberamente accessibili (unità teoriche, percorsi didattici) per gli insegnanti: 
https://www.indire.it/progetto/laboratorio-di-grammatica-valenziale/.

In occasione della seconda edizione della fiera DIDACTA 2018, che si svolgerà a Firenze presso la Fortezza da Basso il 18 ottobre dalle 14.00 alle 18.15, è stato organizzato un convegno di restituzione dei risultati del progetto di ricerca sul campo realizzato da Indire, parallelo a quello svoltosi a Palermo lo scorso anno con le scuole che hanno partecipato alla sperimentazione.

I temi del convegno e i relatori sono presentati in questa pagina:
Per informazioni e iscrizioni si può visitare la pagina:



 

Convegno Grammatica valenziale: dal modello teorico al laboratorio in classe

 

14.00 - 14.10 - Saluti del Presidente di Indire – Giovanni Biondi

 
L’impianto della ricerca

14.10-  14.25 - Presentazione della ricerca sul campo – Loredana Camizzi (Indire)
14.25 -14.55 - Introduzione al modello della grammatica valenziale – Francesco Sabatini
14.55 - 15. 10 – Dal curricolo progettato al curricolo agito: una proposta – Agata Gueli

15.10 - 15.25 – La valutazione dinamica come possibile modello per valorizzare la laboratorialità –  Margherita Di Stasio (Indire)

15.25 - 15.35 -  Pausa

 
I risultati

15.35 – 15.50 – Lo sviluppo professionale: i docenti in ricerca – Francesco Perrone (Indire)

15.50 – 16.05 - Dalla pratica al modello di lezione-laboratorio –  Loredana Camizzi (Indire)

16.05 – 16.20 - Motivazione e apprendimenti: dalla parte degli studenti  Laura Messini (Indire)

16.20. -16.30 - L’organizzazione che apprende: dalla sperimentazione alla messa a sistema – Maria Rita Di Maggio (Dirigente ISS Einaudi Pareto di Palermo)

16.30 - 17.15  – Tavola rotonda “Il cambiamento in pratica: uno sguardo alla classe”

Intervengono Mara Butera (Docente ISS Einaudi Pareto), Enza Conserva (Docente IC Manzoni Impastato), Milena Navarra (Docente IC Russo Raciti), Concetta Nigro (Docente IC Buonarroti), Maria Rao (Docente IC Scelsa), Anna Sorci (docente esperta formatrice del progetto).

Modera Margherita Di Stasio (Indire).

 17.15 - 17.45 - Riflessione sulla lingua e modello valenziale: questioni di metodo - Maria G. Lo Duca
 
17.45 - 18.05 – Riflessioni e commento di Francesco Sabatini

18.05 - 18.15 - Discussione e chiusura dei lavori

mercoledì 10 ottobre 2018

Minimizzare non serve: gli equivoci sulla "frase minima"

Da molti anni nelle scuole si parla di frase minima.
Anzi, si è cominciato a parlare di "frase minima" prima ancora che si diffondesse il concetto di "valenza" e si iniziasse ad analizzare la frase partendo dal verbo.
Il perché ce lo ha ricordato Adriano Colombo: prima che arrivasse l'atipico e isolato Tesnière, era arrivato il Italia un altro francese: André Martinet.
Nel 1966 viene tradotto in Italia il volume apparso 6 anni prima in francese: Elementi di linguistica generale. Il volume riprende la procedura messa a punto dallo strutturalismo per la fonologia (l'individuazione di unità minime, i fonemi, che hanno valore in rapporto alle possibilità di opposizione e combinazione con altre unità) e la generalizza agli altri livelli della lingua: morfologia, lessicologia, sintassi.
Martinet chiama "monema" l'unità minima della lingua dotata di significato (un'unità significativa, dunque, a differenza del fonema, che è solo un'unità distintiva). I monemi si combinano in sintagmi, i sintagmi danno luogo ad enunciati.
L'enunciato minimo è quello formato da due termini (due monemi o due sintagmi), di cui "uno indica uno stato di cose o un avvenimento su cui si attira l'attenzione (predicato), e l'altro, chiamato soggetto, designa un partecipante, attivo o passivo, di cui si mette in valore il ruolo" (4.26).

Insomma: in un'opera uscita quando Tesnière era ormai morto, Martinet recupera la tradizionale opposizione soggetto/predicato (che rimonta ad Aristotele), facendone il nucleo centrale dell'enunciato minimo (chiamato "frase minima" quando si esclude la dimensione dell'intonazione).






Che è quanto Tesnière aveva cercato in tutti i modi di contrastare, sottolineando come il soggetto sia un "attante" (oggi diciamo: argomento) al pari degli altri "complementi del verbo" (gli oggetti). Ragionare sulla valenza del verbo, infatti, ci porta spesso a individuare altri elementi necessari (tanto quanto il soggetto) per formare una frase minima sì, ma di senso compiuto: completa, dunque.

Il pagliaccio diverte non è una frase minima: è una frase monca.
Il pagliaccio diverte i bambini, semmai, può essere considerata una frase minima

Dobbiamo a Martinet anche il concetto di "espansione", da lui indicato per indicare "tutto ciò che non è indispensabile". (4.30)
Quando nelle scuole e in molti testi scolastici (specie delle primarie) si parla di "frase minima" formata da "soggetto" e "predicato" (quest'ultimo coincidente col verbo) e si relega tutto il resto ad espansione, ci si rifà a questa tradizione, semplificata e banalizzata. 

Di recente mi sono soffermata su un altro aspetto della questione: il concetto di "frase minima" induce il riflesso di togliere tutto il possibile, intaccando l'unità dei gruppi di parole (sintagmi) che occupano la posizione di argomenti del verbo.
In una frase come

La mamma di Caterina si fida dell'insegnante di italiano di sua figlia.  

la prima cosa da fare è individuare, a partire dal verbo, le posizioni sintattiche attivate dalla valenza (soggetto e oggetto indiretto o preposizionale).
Ciascuna di queste posizioni può essere occupata da elementi di maggiore o minore complessità: al posto di la mamma di Caterina  posso dire Cristiana oppure lei. Sono espressioni che fanno riferimento alla stessa persona e permettono di individuarla con un'efficacia maggiore o minore a seconda del tipo di testo o di situazione comunicativa.
Di fronte a un'espressione complessa come la mamma di Caterina, potrò successivamente pormi il problema di individuare il "nucleo" dell'espressione, che sarà costituito dal nome mamma preceduto dal determinante la; l'espressione di Caterina è una sorta di "coda" che modifica il nome comune, specificando il riferimento.
Stessa cosa per l'espressione dell'insegnante di italiano di sua figlia: sul piano sintattico basterebbe dire dell'insegnante, ma la coda (le code, in questo caso) sono necessarie per identificare senza ambiguità l'insegnante cui è rivolta la fiducia.
Allora la frase sopra che frase è? Frase minima o frase espansa? La questione è mal posta! Non è la frase ad essere espansa: sono i nomi che funzionano come argomenti del verbo a ricevere delle "espansioni".

Il mio consiglio: guardare all'insieme prima di cominciare a smontare. E assicurarsi che ci siano tutti i pezzi!
E poi, se smettessimo di minimizzare e cominciassimo a parlare di "frase nucleare"?
Ci risparmieremmo tanti equivoci e anche tante discussioni tra valenzialisti di diversa scuola.