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giovedì 6 luglio 2017

Insegnare il greco con la GV (intervista a B. Trentin)

L'utilizzo del modello valenziale ostacola l'apprendimento delle lingue classiche? Tutt'altro! Ce lo spiega in questa intervista Bijoy M. Trentin, docente di Discipline letterarie e latino nelle scuole secondarie superiori, cultore della materia "Lingua e letteratura greca" presso l’Università di Bologna e autore di volumi descrittivi sui verbi greci analizzati in prospettiva valenziale.




Come è avvenuto il tuo incontro con la valenziale?
Il mio incontro con la grammatica valenziale (GV) è avvenuto ai tempi dei primi studi universitari (a Bologna). Sono stati i corsi di Didattica del greco (prof. Maria Grazia Albiani), dell’italiano (prof. Fabrizio Frasnedi) e del latino (prof. Anna Giordano), in aggiunta a varie letture personali, a farmi conoscere differenti sistemi grammaticali e linguistici. Nell’orizzonte educativo e nella prospettiva valenziale, nel corso degli anni, ho potuto approfondire gli studi con la guida della prof.ssa Albiani per quanto riguarda il greco antico; inoltre, il contatto con la scuola mi ha indotto a riflettere ancora anche sull’italiano e sul latino.

 
Da quanti anni e con quali risultati lavori con la valenziale?
Lavoro con la GV da circa una decina di anni. Nel campo dell’indagine del greco antico, ho proposto un quadro base di sintassi valenziale nei due volumi dei Verbi greci pubblicati nel 2012 per Alpha Test (Milano), nei quali si trovano anche – nel primo – un’aggiornata morfologia storica e – nel secondo  un lessico etimologico e valenziale relativo ai verbi a più alta frequenza, selezionati tenendo presente il prezioso Lessico essenziale di greco di Georges Cauquil e Jean-Yves Guillaumin, curato per l’edizione italiana da Francesco Piazzi (Bologna: Cappelli Editore, 2000).
Osservare i fatti linguistici con uno sguardo diverso consente di comprenderne in modo più complesso (ma non complicato!) i meccanismi di funzionamento: la prospettiva valenziale è una prospettiva della linguistica che, rispetto a quella tradizionale (scolastica), risulta più potente dal punto di vista scientifico e didattico, e consente di spiegare in modo più profondo e chiaro le lingue. Tale prospettiva è da sempre presente anche nella mia azione didattica: sarebbe, per me, ora impossibile ripensare l’analisi sintattica in una dimensione non linguistica e non valenziale.

Accogliere il cambiamento del modello grammaticale ed essere aperti a modificarlo ulteriormente – secondo le più recenti ricerche – dovrebbe avvenire, soprattutto nel panorama scolastico, in modo più rapido e incisivo: siamo di fronte a un tornante, è il momento di imprimere velocità e stabilità al mutamento. Il cambiamento di modello si presenta come più ampio processo di trasformazione di idee e atteggiamenti correlati al modello. Il passaggio, dunque, è non solo contenutistico ma anche metodologico ed epistemologico: la scelta sta tra il più scientifico e il meno scientifico. L’orizzonte della linguistica (anche educativa) è in grado di configurare tale passaggio come cambiamento di paradigma. Tra Cinque-Seicento è stato arduo dimostrare e convincere della fondatezza del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico (pur efficace, talora, nella descrizione e previsione di determinati fenomeni): non sono stati mutati gli astri, sono sempre rimasti gli stessi (il Sole, la Terra, Venere, Marte e tutti gli altri corpi celesti) e nelle loro posizioni, ma è cambiato profondamente il modo di comprenderne il funzionamento, fenomeno che ha consentito lo sviluppo anche di una rinnovata e piú potente strumentazione materiale e soprattutto intellettuale. La scelta della prospettiva scientifica della linguistica piú aggiornata si configura come rivoluzione copernicana nell’àmbito dello studio della lingua nei contesti scolastici: non vengono cambiati gli oggetti di studio, le lingue non sono stravolte per esperimenti transgenici, ma esse vengono considerate in un’ottica del tutto nuova, che consente di vederne con maggiore chiarezza il funzionamento, mediante un bagaglio nuovo di opportuni strumenti.

L’analisi e la revisione linguistica non è, dunque, indifferente, anche dal punto di vista didattico, alle modalità con cui la lingua viene indagata: l’approfondimento e l’aggiornamento linguistico imprime forza all’apprendimento permanente, nella consapevolezza che le competenze linguistiche sono continuamente educabili e implementabili. Le alunne e gli alunni imparano a comprendere che ci sono i livelli di necessità (e non solo per i verbi, ma anche per alcuni nomi e aggettivi: utile a…, adatto a…) e accessorietà, che le regole e le scelte sono interdipendenti, che le opzioni consentono potenzialità infinite alla lingua per i suoi più multiformi usi (da quello informativo, referenziale a quello metaforico, immaginifico): in modo intenzionale, la didattica che incentiva nuovi saperi, scientificamente fondati e sempre più complessi, consente alle/ai discenti di imparare a predisporsi in modo critico rispetto all’analisi dei fatti linguistici.
Le studentesse e gli studenti  possono sperimentare la mancanza, oggi, di  un pensiero unico nella linguistica a partire dalla molteplicità della nomenclatura: presentare la varietà delle etichette e dei concetti (in una corrispondenza sempre chiara tra parole e cose, che non può sfuggire soprattutto in sede didattica) contribuisce a rendere, secondo focalizzazioni diverse, più mosso e problematico e mai concluso lo studio della lingua.

È utile ricordare anche che il modello valenziale può essere punto di riferimento per diverse azioni didattiche, nella molteplicità delle combinazioni curricolari di ‘filosofie di fondo’ (approcci), sistemi operativi (metodi) e singole procedure concrete (tecniche) che possono essere selezionate (piú o meno coscientemente…). La GV non è un modo di fare didattica, è una teoria utilizzabile in diversi contesti educativi: per esempio, può essere usata nell’insegnamento-apprendimento del greco e del latino, sia nell’ottica deduttiva di tipo traduttivo sia in quella induttiva di tipo naturale. La GV è un modello linguistico moderno e scientificamente aggiornato che ha, proprio per questo motivo, forti ed evidenti vantaggi didattici, ma non è la panacea per tutti i problemi relativi all’educazione linguistica, poiché questi devono essere affrontati in un’ottica complessa, plurilingue e problematica, evitando riduzioni e ricette preconfezionate.

 
In che tipo di scuole, per quali lingue e con quali modalità proponi la riflessione sulla frase?
Nel corso del tempo, ho proposto la riflessione sulla frase in chiave valenziale in tutti i tipi di scuola secondaria (di primo e secondo grado), quindi per l’italiano, il latino e il greco. Procedo con modalità più strutturate nelle classi in cui sono previsti in modo esplicito la riflessione e l’apprendimento linguistici (per gli istituti superiori, il primo biennio), nelle altre (il secondo biennio e il quinto anno) essi – come revisione e approfondimento – partono dall’osservazione diretta dei fatti linguistici: nella lettura dei testi letterari italiani, latini e greci, è possibile riscontrare stratificazioni, opzionalità e ‘infrazioni’ che mettono in luce le varie potenzialità (comunicative, espressive, estetiche) delle lingue. L’incontro con la GV viene presentato sempre in modo diretto, come cambiamento di prospettiva e come opportunità di analisi linguistica più chiara e potente: nel caso in cui, nei gradi scolastici precedenti, le/i discenti abbiano fatto esperienza solo della GT (Grammatica Tradizionale), l’opportunità di modificare i loro (meta)saperi linguistici mediante l’apprendimento della GV può essere essa stessa formativa: percepire l’importanza di imparare a mettere in discussione i propri saperi, a ordinarli e riconfigurarli secondo direttrici scientifiche più avanzate è fondamentale per l’educazione delle competenze (linguistiche). 

Facciamo alcuni esempi, che súbito rivelano quanto sia utile – e inevitabile – l’intreccio pedagogico-didattico tra teoria e prassi e tra deduzione e induzione. Date le tre frasi
a) Sono in camera.
b) Vado in camera.
c) Mangio in camera.
la GT dice solo che in camera in a) e c) è un complemento di stato in luogo e in b) un complemento di moto a luogo (in base al solo significato del verbo), ma non prevede la comprensione della relazione che vi è tra tale complemento-sintagma e gli altri; la GV, invece, è in grado di analizzare tale relazione, individuando, secondo la struttura argomentale/valenziale di ogni verbo, il grado di necessità del sintagma-complemento in camera: in a) e b) è fondamentale a completare le aperture sintattiche dei verbi essere (≈ trovarsi) e andare, invece in c) non è richiesto dal verbo mangiare, è un’informazione in più (espansione) che si aggiunge al nucleo della frase, che, in questo caso, è composto dal soggetto (ricavabile dalla desinenza personale del verbo) e dal verbo-predicato. Sembra tutto semplice, ma già c) è in grado di mettere in crisi la/il discente che deve ancora affinare le specifiche competenze metalinguistiche.
Due sono le difficoltà che si possono riscontrare all’inizio dello studio in ottica valenziale. La prima difficoltà è quella relativa alla separazione del piano sintattico da quello comunicativo: in camera  non è sintatticamente richiesto dal verbo-predicato, ma probabilmente è un’informazione fondamentale in un contesto comunicativo reale, poiché solitamente non si mangia in camera… La seconda difficoltà riguarda la variabilità della struttura argomentale/valenziale, cioè, a seconda della sfumatura o del significato, in diversi contesti linguistici, i verbi possono avere differenti capacità di attrarre a sé necessariamente altri elementi sintagmatici o frastici: infatti, il verbo mangiare prevede molto spesso due argomenti, quelli che, nella GT, sono il «soggetto» e il «complemento oggetto», ma, nell’uso che la GT chiama “assoluto”, il verbo mangiare può essere completato sintatticamente dal solo «soggetto»; la variabilità valenziale/argomentale si associa a focalizzazioni differenti, il verbo mangiare con il «complemento oggetto» oppone un cibo a un altro (se affermo che sto mangiando una carbonara, non sto mangiando un’insalata), invece, senza il «complemento oggetto», si oppone l’azione stessa del mangiare rispetto a qualsiasi altra (per es., dormire, leggere, giocare). Concludo con una terza difficoltà che le/i discenti possono riscontrare inizialmente: è possibile che ogni tipo di ‘espansione’ (ovvero elemento libero, non obbligatorio) sia equiparato dal punto di vista della struttura, così possono essere erroneamente considerate nello stesso modo le espansioni del sintagma (o modificatori o «circostanti» secondo Sabatini) e le espansioni (del nucleo) della frase: nella frase d) Mangio piano in camera, piano è facoltativo e accessorio ma ‘dipende’ da mangio, invece in camera – anch’esso facoltativo e accessorio – è ‘indipendente’. Già da questi pochi esempi e dai loro sviluppi, è possibile avviare con le studentesse e gli studenti la nuova analisi sintattica, in modo critico e riflessivo.

Per quanto riguarda la rappresentazione grafica della frase, vi sono diverse proposte: quella che ho utilizzato di più è quella ad albero, ma talora può essere stimolante sperimentarne, in classe, diversi tipi. Anche per l’analisi linguistica, la rappresentazione grafica è uno strumento didattico inclusivo: ciò che viene incontro a bisogni specifici si rivela, per tutte/i, uno strumento di lavoro tout court, poiché il ricorso alla visualità fa interagire differenti livelli di gerarchizzazione e strutturazione, mediante trasposizioni e osmosi di linguaggi. La grafica, cioè, ha non solo forza informativo-espositiva ma anche euristica: talora, solo mediante l’elaborazione del grafico, è possibile comprendere il quadro specifico e complessivo di determinate relazioni sintagmatiche, frasali, enunciative; talora, è proprio l’elaborazione grafica a far emergere dubbi e problemi che è necessario tentare di risolvere insieme (la riflessione collettiva e la valorizzazione dell’apporto di ogni allieva/o è fondamentale dal punto di vista dell’apprendimento collaborativo). Tuttavia, è controproducente trasformare l’esperienza della costruzione dei grafici in pratica meccanica e noiosa, ripetitiva e obbligatoria: se, in una prima fase (non lunga invero), tale esperienza è presenza costante, nel tempo l’abitudine alla motilità linguistica in associazione a quella grafica consente di interpretare criticamente e problematizzare gli stessi strumenti utilizzati. Quando, nella prassi didattica, il grafico diviene il totem del nuovo modello, cioè sua massima e unica espressione e sintesi, si creano più facilmente pratiche routinarie e non significative cognitivamente ed emotivamente: è questo il contesto in cui la confusione tra le potenzialità del modello e le specificità dei diversi metodi o modi didattici può produrre facili stereotipie, che trasformano la rappresentazione grafica in uno strumento selettivo e non più inclusivo.

 
I libri di testo ti hanno aiutato o ostacolato nel percorso?
Non ci sono stati libri di testo che mi hanno ostacolato nel percorso, poiché ogni manuale è un punto di partenza, è uno spunto per procedere a nuove configurazioni, come detto prima per quanto riguarda l’opportunità di esercitare continuamente le competenze critiche e rielaborative. Invece, come testi di studio personale, utilizzo frequentemente vari strumenti di studio*.
 
Hai incontrato resistenze da parte di colleghi o genitori?
Talora, ho riscontrato un po’ di sospetto nei confronti del ‘mio’ modo di affrontare l’analisi sintattica, ma c’è sempre stato rispetto per le scelte operate: i genitori e, di riflesso, le/i discenti si aspettano l’enunciazione di tutta l’indistinta pletora dei complementi; se questi non vengono affrontati nel modo più diffuso, il lavoro può sembrare loro incompleto e inconsistente (anche per questo motivo, è non solo utile ma anche indispensabile rendere il più possibile esplicito e chiaro il percorso didattico). In realtà, di solito, non abbandono del tutto la dimensione funzionale e semantica dei complementi, ma essa viene inglobata nella nuova prospettiva, anche mediante un’accentuata razionalizzazione: si pensi, in italiano, all’inutile – almeno dal punto di vista formale – distinzione tra complemento d’agente e complemento di causa efficiente, ma è davvero interessante notare che essa è un retaggio della grammatica applicata al latino e che è utile procedere sistematicamente a comparazioni tra le diverse lingue studiate, antiche e moderne, in modo tale da sperimentare le loro caratteristiche sull’asse sincronico e su quello diacronico. La GV, dunque, incide anche sullo studio dei casi del greco e del latino: l’analisi delle fondamentali funzioni dei casi permette di comprendere (anche a livello metalinguistico) e prevedere (nel lavoro di comprensione dei testi) meglio e più rapidamente la rete nucleare ed espansionale delle frasi. Mediante tale esperienza comparativa, emergono non solo le peculiarità grammaticali delle lingue ma anche le loro storicamente determinate potenzialità di espressione, interpretazione e costruzione della realtà.
Oggi, vi è maggiore apertura verso la GV rispetto a non molti anni fa, da parte anche di un sempre più ampio numero di insegnanti, che con curiosità cercano di informarsi per aggiornare i saperi di base da condividere con le studentesse e gli studenti. La GV rimodula l’analisi linguistica, non può essere considerata più una dotazione accessoria, non è più eludibile: essa può divenire uno dei cardini dell’insegnamento e dell’apprendimento linguistico per il suo potenziale specifico (competenze linguistiche e metalinguistiche) e collaterale (disposizioni e attitudini transdisciplinari critiche e creative).





* Francisco R. Adrados, Nueva sintaxis del Griego antiguo, Madrid: Gredos, 1992
Alvise Andreose, Nuove grammatiche dell’italiano. Le prospettive della linguistica contemporanea, Roma: Carocci  editore, 2017
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