È da poco uscito il Meridiano delle Opere di Gianni Rodari, curato da Daniela Marcheschi: un volumone di 1800 pagine sottili (rigorosamente senza figure!) corredato di un quaderno illustrato a colori (curato da Grazia Gotti) dedicato alle opere dei tanti illustratori e illustratrici (compresa la figlia Paola) che hanno accompagnato con le loro immagini i testi di Rodari nel tempo.
Il volume raccoglie la produzione narrativa, poetica e saggistica di Rodari, consegnandoci un ritratto a figura intera dello scrittore. Ne parliamo con Marcheschi: letterata, critica e studiosa di storia culturale, epistemologia, antropologia delle arti, già curatrice per i Meridiani Mondadori delle opere di Collodi e di Pontiggia.
Rodari è considerato uno scrittore per l'infanzia, ma il suo lavoro di "scardinatore della lingua" (come lo definiva Tullio De Mauro) si rivolge solo ai più piccoli? Le sue opere per ragazzi con quali altri opere per grandi dialogano?
No, si rivolgeva a tutti: «Tutti gli usi della parola a tutti» era il suo motto, com’è noto. La lingua è un bene di cui il bambino ha diritto; ed è un dovere degli adulti, della società, consentirgli di apprenderla al meglio, di “abitarla” al meglio, per poter diventare un uomo libero. Non a caso Rodari parla di «civiltà dell’infanzia», nel senso di ciò che si deve costruire perché il bambino possa crescere in piena armonia: da un lato, istituzioni come scuole, biblioteche, ludoteche e simili, dall’altro, letteratura, cinema, teatro, ecc., per l’infanzia. In Rodari, che è originale in questo, si ritrova in filigrana tutto il miglior Novecento educativo-pedagogico: da Maria Montessori a Don Milani, da Mario Lodi a Danilo Dolci, giusto per fare qualche nome.
Rodari nota come il bambino sia diverso dall’adulto, ma pensa sempre i bambini insieme con gli adulti, e gli adulti insieme con i bambini: in ciò non tradisce mai il giovane maestro che era stato. Lui stesso non può pensare di scrivere i suoi libri senza farne una verifica incontrando scolaresche su scolaresche e discutendoli con loro. I suoi libri sono per tutti, e da leggere insieme. Generazioni diverse, ma insieme.
Sul piano letterario come si possono incontrare il bambino con l’adulto? Appunto sul piano di una lingua dell’uso, di un linguaggio chiaro, di uno stile semplice, di ritmi-danza corporea che permettono quella che Marcel Jousse chiamava «la manducazione della parola», dell’umorismo e della satira. Non per nulla Rodari scrive ad esempio per gli adulti versi comici e umoristici, che pubblica nella rivista satirica romana «Il Caffè» di Giambattista Vicari; e in Parole per giocare (1979) include versi per bambini e altri per adulti. Pensare a Rodari come a uno scrittore moderno di dual audience e di double audience, che scrive via via per i bambini e per i grandi e, insieme, per grandi e piccoli e viceversa, è fondamentale per capirne la complessità del lavoro.
Grammatica della fantasia è un titolo ossimorico, almeno così doveva essere recepito nei primi anni Settanta, e forse ancora oggi nel senso comune. Che letture ci sono dietro la valorizzazione dell'immaginazione combinatoria di Rodari? Che influenza ha avuto nella costruzione del libro l'originaria destinazione didattica delle lezioni che compongono il libro?
La nostra cultura era ed è ancora talmente imbevuta di romanticismo (attraverso l’esperienza decadente) che tendiamo a vedere ovunque opposizioni antitetiche, eppure già Kant - lo sapeva Rodari che lo aveva bene assimilato fin dalla giovinezza - aveva osservato come immaginazione e intelletto siano due facoltà dell’essere umano tutt’altro che in antitesi, sebbene in grado di esplicarsi in modo distinto. Pertanto, secondo l’ausipicio di Novalis - «Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare» -, Rodari ha preso a indagare la Fantastica nel tentativo di chiarirne le “leggi” e il funzionamento: Introduzione all’arte di inventare storie recita non per niente il sottotitolo di Grammatica della Fantasia.
La combinatoria di Rodari è, così, particolare: non confonde mai la regola con la costrizione di un vincolo assunto a priori, che non può non tralasciare leggi dei materiali, intenzionalità e finalità artistiche, le reciproche determinazioni fra soggetto che scrive e oggetto scritto. La tecnica, la regola sono sempre il punto di partenza, mai l’unica strada forzatamente percorribile. Infatti il finale delle sue storie presenta sempre uno scarto, è poco prevedibile, al contrario, ad esempio, di quanto accade con il Calvino più tardo (ad esempio: Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979).
Grammatica della fantasia è un’opera di straordinaria complessità, un tutto: strumento didattico-pedagogico, saggio, autobiografia, narrazione aperta, riflessione critica sulla lingua e la letteratura, conversazione amichevole ecc. ecc. Ha dietro una sterminata quantità di letture di ogni sorta: di «psicologia», «pedagogia», «didattica», «sociologia», ma anche di storia, grammatica, filosofia, scienze, musica e via ad libitum. Non si può infatti, «fantasticare nel vuoto», Rodari scriveva in La letteratura infantile oggi. Esercizio di insegnamento e, insieme, di apprendimento, Grammatica della Fantasia è il libro-giocattolo per eccellenza: unisce piccoli e grandi e fa della fantasia un modo più intenso di vivere, come del resto lo è il pensiero; stringe il libro di lettura alla vita in un vincolo di necessità e di piacere profondo: perché è senz’altro anche un modo per insegnare a leggere le fiabe o il limerick, oltre che a produrli. Nel libro-giocattolo di Rodari sono mirabilmente sintetizzati l’azione educativo-didattica, l’estetica, la ricerca tecnica, l’esperienza e il gioco.
Grammatica della fantasia si occupa di "grammatica delle storie", ma tante storie e filastrocche rodariane mettono in scena anche la grammatica della lingua e la sua terminologia. Che importanza ha avuto sul piano educativo la sua valorizzazione creativa dell'errore?
Notevole, perché le filastrocche sulla punteggiatura, sugli errori dei bambini, consentono proprio ai piccoli di memorizzare la forma sbagliata e quella corretta: il verso della filastrocca, il ritmo giocoso si stampa nella memoria grazie alla festa del corpo che ascolta e “inghiotte” la parola. Siamo ben lontani dal lassismo pedagogico, da una eccessiva indulgenza o dallo scadimento della sostanza didattica. Anzi. Rodari, che aveva dentro di sé la gioia di studiare e imparare, trasmetteva in questo modo ai bambini la gioia della conoscenza, la bellezza di sapere.
Marcheschi, lei ha curato anche il Meridiano di un altro classico per l'infanzia, Carlo Collodi. Il lavoro di edizione di testi ottocenteschi e di testi novecenteschi ha comportato grandi differenze? Ha trovato analogie tra le operazioni culturali dei due autori e tra le diverse immagini di scuola e di infanzia proposte?
Il lavoro filologico è comunque sempre necessario per qualsiasi autore si voglia studiare: dal testo, dalla lettera dei testi, bisogna partire, proprio per evitare equivoci, chiacchiere inutili e approssimative. La filologia è base fondamentale per l’esercizio della interpretazione e della critica, perché ci mette a confronto con la storicità della parola e del testo, con i suoi significati, e illumina lo stile di un autore.
In genere l’Ottocento si studia meglio del Novecento: gli archivi di 200 anni fa non sono chiusi o soggetti a tanti vincoli come invece possono essere spesso quelli che conservano documenti più vicini nel tempo.
Nel caso di Collodi e Rodari - che pubblicano, correggono e ripubblicano i loro testi su varie testate, e più volte, magari recuperando anche redazioni già accantonate -, bisogna talora procedere in analogo modo. Se ne deve “leggere” bene non solo il percorso variantistico, ma anche il contesto specifico a cui una redazione è destinata e perché. Oltre a differenze che qui non vale la pena di enumerare, la grande diversità è che le opere di Collodi sono oggetto di una Edizione Nazionale, che ho l’onore di presiedere e che ne sta dando finalmente, tra le altre cose, pure una edizione critica. Per Rodari una simile edizione manca; e in occasione del Meridiano una delle tante fatiche è stata anche quella di cercare di individuare la direzione e le peculiarità degli usi scrittori dell’Autore. Per il confronto delle versioni dei testi usciti sui giornali e in edizioni a stampa, per aver assecondato in uniformità i criteri indicati implicitamente da Rodari nelle singole opere e in generale nella sua scrittura, si può anzi dire che il volume mondadoriano costituisce un primo avvio a verifiche storico-filologiche più puntuali di quanto in genere non si sia fatto finora*, e di cui dà conto la Nota all’edizione.
Quanto all’idea di infanzia, Collodi e Rodari presentano affinità: c’è un comune rispetto del bambino e dell’infanzia, concepita come un momento di festosità e conoscenza. Le spettano la libertà di fare esperienza e il dovere di andare a scuola; il diritto di avere una esistenza che le permetta di esplicarsi in serenità e il dovere di rapportarsi al mondo degli adulti, familiarizzando con le responsabilità; il dovere di mantenere la propria integrità morale e cercare la verità. Del resto, fra il Collodi, che nasce nel 1826 e muore nel 1890, e il Rodari, che muore quasi cento anni dopo nel 1980, all’età di 60 anni, c’è un terreno che vorrei dire, con un paradosso ma non troppo, “d’intesa”: il Risorgimento, con tutti gli slanci che tanti giovani partigiani, uno fu appunto Rodari, sentirono proprio come radicati nella matrice risorgimentale. Non era poco; e non per nulla Collodi era andato a combattere, come volontario, nelle prime due guerre d’Indipendenza.
Sia Collodi sia Rodari cercavano di creare una letteratura per l’infanzia nuova: non moralisticamente pedagogica, non severa né consolatoria. Non propongono ai loro piccoli lettori una visione edulcorata della società e del mondo, che sono mostrati loro in tutta la cattiveria e pesantezza che vi possono albergare: povertà, ingiustizia, falsità, fatica, morte. Poi, naturalmente, la scuola ai tempi di Collodi era diversa: più mnemonica, più “inquadrata”, sebbene un testo come Quand’ero ragazzo, in Storie allegre (1887) la dica lunga sulla scuola ottocentesca. Non va dimenticato poi che, a lungo, i libri collodiani furono sgraditi al Ministero della Pubblica Istruzione, perché “concepiti in modo così romanzesco, da dar soverchio luogo al dolce, distraendo dall’utile; e sono scritti in istile così gaio, e non di rado così umoristicamente frivolo, da togliere serietà all’insegnamento” (cfr. Editori a Firenze nel secondo Ottocento [...], a cura di I. Porciani, Prefazione di G. Spadolini, Firenze, Olschki, 1983, pp. 480-481). Collodi nutriva del resto una idea della infanzia come rivoluzionaria in sé – si pensi alla parentela stretta fra il Gavroche di Victor Hugo e Pinocchio –, di cui ho scritto in Per una idea di infanzia (e dell'età adulta): immagini del bambino nella narrativa europea dell'Ottocento, in «Enthymema» (VI, 2012, pp. 101-117, I ediz. : Madeira, 2008).
Ci dia una sua definizione della lingua di Rodari.
Luminosa, festosa: viva.
Grazie di questo spazio e buon lavoro Daniela Marcheschi
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