Diviso in 9 movimenti, privo di punteggiatura, composto di versi brevi e irrelati scritti su colonne affiancate.
Ogni verso - o la maggior parte dei versi di ogni colonna - si compone di due parti, ciascuna scandita da un accento forte.
Si tratta di un vero e proprio "spartito di parole", pensato dallo scrittore per una lettura ritmata aperta a vari ordini possibili. Leggerlo come Porta faceva e chiedeva di fare - passando da una colonna all'altra, da una riga all'altra, perfino da una sequenza all'altra, facendosi guidare solo dal ritmo - è un'esperienza emozionante. Specie se la lettura è corale, condivisa. Affidata all'improvvisazione, alla ricerca di una sintonia che viene dall'ascolto reciproco, dal rimbalzo di parole, dalla percussione degli accenti.
Leggendolo, in aula, dopo una lezione dedicata al ritmo nella lirica più tradizionale, ci siamo accorti di una cosa stra-ordinaria.
I versi nascono dall'accostamento di un verbo alla terza persona plurale (normalmente con ellissi del soggetto) e da un argomento del verbo (di solito l'oggetto diretto, ma ci sono anche verbi con soggetto posposto, o seguiti da "complementi" accessori). Frasi minime, insomma, anche se non sempre nucleari.
Ma che importa: una poesia come questa non è fatta per essere smembrata (anche se nasce come assemblamento quasi casuale di frasi) e data in pasto alle analisi nei libri di grammatica.
Quello che conta è aver scoperto che una frase "minima" può funzionare come traccia, come unità di ritmo, oltre che di struttura sintattica. Conta cercare un ritmo, trovarlo con un po' di fortuna e poi seguirlo. Nel battere e levare di mani su un banco, di tacchi al suolo. Nel disordine programmato che qualcuno ha predisposto per noi.
N.B.: Ringrazio Rosemary Liedl Porta, che mi ha teso il testo, guidandomi alla scoperta del ritmo.
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