Una volta esisteva l'anno sabbatico per dedicarsi allo studio e alla rigenerazione delle idee (un po' come il maggese per la rigenerazione dei campi). Oggi ogni sospensione delle attività produttive è diventata una pratica desueta e sospetta (come ogni sabba nella nostra storia). Ben vengano allora i periodi di convalescenza quando ci permettono di fermarci, leggere i libri altrui, rifletterci su, annodare pensieri.
Ho già parlato in un vecchio post di storie grammaticali, cioè di testi per ragazzi che raccontano la grammatica. Oggi vorrei parlare di due libri che - finalmente - sono riuscita a leggere per intero, dopo averli compulsati frettolosamente in varie occasioni. E che meritano l'attenzione degli insegnanti perché ci aiutano a ricostruire il cammino della scuola e dell'insegnamento grammaticale parallelo alla costruzione della letteratura moderna (da Manzoni in poi) e dell'identità nazionale.
Si tratta dei due volumi di Maria Catricalà, usciti nel 1991 e nel 1995 per i tipi dell'Accademia della Crusca e dedicati alla storia delle grammatiche scolastiche postunitarie sullo sfondo delle politiche scolastiche e del dibattito linguistico e pedagogico, ai quali si è aggiunto più di recente il volume di Silvia Demartini dedicato a Grammatica e grammatiche in Italia nella prima metà del Novecento (Cesati, 2014).
Letture che illuminano il cammino di una disciplina - la grammatica - che da sempre si intreccia alle questioni linguistiche nazionali, in un Paese come il nostro in cui il dibattito sull'insegnamento linguistico puntualmente si riaccende in momenti di profondo cambiamento culturale e sociale. E nel quale i tentativi di innovare da sempre si scontrano con resistenze fortissime (quando non devono far fronte a una più o meno esplicita svalutazione della scientificità degli studi grammaticali).
"Una storia poco allegra" - per riprendere le parole di Benedetto Croce ricordate da Giovanni Nencioni in una sua recensione-spigolatura al libro di Maria Catricalà - ma senz'altro istruttiva.
Perché i cambiamenti tanto temuti vanno prima compresi, anche nella loro profondità storica. E lasciati decantare se occorre, come ricordava ancora Nencioni nel suo Perché non ho scritto una grammatica per la scuola (1984).
Quello che dobbiamo temere, in ogni caso, è - gramscianamente - di rimanere indifferenti.
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