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giovedì 31 agosto 2017

Le mele e le idee (marmellate valenziali)

Un celebre aforisma del commediografo irlandese George Bernard Shaw recita così:
Se tu hai una mela e io ho una mela, e ce le scambiamo, tu ed io continueremo ad avere una mela per uno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea, e ce le scambiamo, avremo entrambi due idee.
Tenere a mente questa frase mi ha resa negli anni disponibile ad accogliere gli scambi di idee, le collaborazioni intellettuali, e a considerare con una certa indulgenza anche le citazioni "indirette".
In fondo, quando un albero produce mele in abbondanza, e di buon sapore, è un piacere offrirle ai passanti cortesi che ne gusteranno senza spogliare i rami (cose che capitano, purtroppo, e bisogna metterlo in conto quando si pianta un albero da frutto). Se poi i destinatari sono docenti e studenti di scuola, è possibile che il dono dia altri frutti, se questi ne serbano i semi. Capita anche, però, che le mele finiscano dentro a marmellate, per addolcire o addensare una composta di frutti misti. Compaiono nell'elenco degli ingredienti, ma se ne perde il sapore.




Uscendo dalla metafora, e usciti dalla stagione delle scelte dei libri scolastici (per entrare in quella dell'acquisto dei libri scolastici, degli esami di recupero, dei corsi di formazione), mi piacerebbe fare una carrellata delle grammatiche di stampo tradizionale in cui, tra le "novità" in indice (magari fino a poco tempo fa all'indice), compare anche una spolverata di valenziale sottoforma di concetti di "frase minima", "valenza del verbo", "argomenti", "espansioni", "circostanti" e compagnia bella. Di solito appaiono all'improvviso, all'interno di trattazioni che vanno dal piccolo al grande, quando si deve affrontare la struttura della frase semplice. Nessun cenno prima, quando si parlava del verbo, che continua sereno e inerte a indicare azioni, senza pretendere di agganciare a sé alcunché (a parte le varie desinenze da memorizzare sottoforma di paradigmi).
Poiché la novità deve esserci, ma non deve "spaventare", la si confina a un certo punto del libro (tipicamente l'avvio dell'analisi logica), senza che ciò tocchi in alcun modo l'ordine e l'impianto della trattazione. Con un'aggravante: un aumento della confusione terminologica e concettuale proprio nei capitoli in cui occorrerebbe sfrondare e razionalizzare la riflessione per fare in modo che si innesti sulla competenza grammaticale innata del parlante (normalmente in grado di formare e comprendere frasi complete) consentendogli di controllare la costruzione di frasi in testi via via più complessi, siano essi ascoltati o pronunciati, letti o scritti.

Pur apprezzando l'apertura di credito che molte fortunate grammatiche scolastiche vanno facendo alla descrizione delle caratteristiche relazionali del verbo (in particolare, l'autorevole Serianni e Della Valle) noi (includo nell'io ampliato il maggiore coautore delle grammatiche scolastiche alle quali ho collaborato) crediamo che certi compromessi con la tradizione siano depotenzianti e fuorvianti, se non del tutto inutili: specie quando la valenziale viene confinata in guide a parte (Savigliano), liquidata con qualche riquadro (Zordan), trasformata in materia da vignette (Serafini e Fornili).
Il modello valenziale è tutt'altra cosa rispetto all'approccio tradizionale, e ridurlo a una moda, a un "metodo" tra i tanti, che dovrebbe aiutare a digerire il boccone inutilmente amaro delle analisi scolastiche, non giova a nessuno.
Che rimane della mela quando l'abbiamo sbucciata, detorsolata, frullata, bollita? Servirà ad abituare il bambino divezzo al gusto della frutta o solo a placare l'ansia vitaminica dell'adulto?
Oltre al fatto che, per usare una metafora evangelica, mettere il vino nuovo nell'otre vecchio comporta molti rischi per l'imprudente vinificatore.

Per chiarire questo "effetto marmellata", limito a citare un esempio, il più eloquente e magniloquente, proviente da una grammatica che da anni se ne sta indisturbata (ma continuamente rinnovata, financo nei titoli: l'ultimo è In forma semplice e chiara) in cima alle classifiche delle vendite: il famigerato Sensini (peraltro un caso di pseudonimo autoriale che ha preceduto di vari decenni l'affaire Elena Ferrante).
Cito questa grammatica anche perché copia di fatto i grafici radiali di Sabatini e ibrida in modo imprudente la terminologia, dando nomi nuovi a "oggetti" vecchi, o addirittura un nome nuovo all'oggetto sbagliato.





Siamo a pag. 506. Quella a sinistra è l'illustrazione di una "frase minima a due argomenti con il secondo argomento a legame indiretto" (denominazione alquanto tortuosa).
Appare evidente come la terminologia tradizionale si sovrapponga allo schema valenziale: "predicato" è un mero pseudonimo del verbo (usato quando dall'analisi grammaticale si passa all'analisi logica) - verbo che però non riesce a predicare da solo, come giustamente suggerisce la frase monca sopra il grafico, chiusa da punti interrogativi entro parentesi. "Argomento a legame diretto" è solo una perifrasi: il 2° argomento altro non è che il classico "complemento di termine".




Ma il "meglio" arriva con l'ampliamento della frase minima mediante "determinanti" (che sarebbero i "circostanti" del modello Sabatini) e "circostanti" (che sarebbero le "espansioni" del modello Sabatini).
Qui (siamo a pagina 509, perché la costruzione della frase viene liquidata in un capitolo) il termine "determinante", che nella linguistica moderna è stato introdotto per indicare l'insieme degli elementi (articoli, aggettivi determinativi, numerali) che determinano il nome (cioè lo collegano a un referente e gli permettono di funzionare nella frase) viene applicato arbitrariamente a elementi che funzionano invece come "modificatori" del nome (aggettivi qualificativi, complementi del nome) o del verbo (avverbi ed espressioni avverbiali).
Inutile e dannoso fraintendimento.


Che dire? Pur capendo le ragioni del mercato e la volontà di inseguire le novità - tranquillizzando docenti curiosi ma spaventati - temiamo che questi "innesti" valenzialistici (al di là dell'illusione di aggiornamento che producono nei più) rischino di vanificare la sfida che ci poniamo: cambiare le pratiche scolastiche, sottraendole alla pigrizia dell'insegnamento normativo e tassonomico.
Per farlo ci vuole coraggio: in questa direzione o in un'altra. Solo così potremo fare un deciso passo in avanti verso una scuola delle competenze.

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