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domenica 18 giugno 2017

La lingua batte... per la valenziale

Oggi a La lingua batte, la trasmissione di Radio 3 tutta dedicata alla lingua italiana, è stata trasmessa una puntata dedicata all'insegnamento dell'italiano a scuola. Un omaggio a Luca Serianni, che mercoledì 14 settembre, nell'Aula 1 dell'Università La Sapienza di Roma, ha tenuto una lezione di congedo dall'attività didattica dal titolo: Insegnare l'italiano nell'Università e nella scuola.

Nell'ambito della rubrica "Dice il saggio" ho parlato del mio saggio (uscito per Carocci nell'ottobre 2016), Che cos'è la grammatica valenziale, da cui è nato anche il progetto di questo blog.
Ho articolato il mio intervento in 3 punti: un po' di storia del modello che dà il nome a questo modo nuovo (ma con quasi un secolo di storia alle spalle) di guardare alla grammatica; una breve descrizione dei suoi capisaldi; le ricadute sull'insegnamento della grammatica a scuola.
Trascrivo qui la versione integrale dell'intervento, a beneficio di chi volesse scorrerne i contenuti.


La grammatica valenziale è un modello scientifico di descrizione della lingua basato su un concetto guida: la “valenza” del verbo. Il verbo era riconosciuto già dai grammatici antichi come il perno della frase: la parola capace di mettere in relazione altre parole (come i nomi) creando legami e rapporti di dipendenza che sono all’origine del significato di una frase. Valenza è il termine usato dalla linguistica moderna (come sinonimo di “legame”, “dipendenza”) per indicare la proprietà del verbo di legare a sé gli altri elementi della frase. Si tratta di una metafora presa dalla chimica, introdotta nella prima metà del secolo scorso dal linguista francese Lucien Tesnière e subito applicata alla descrizione di varie lingue, antiche (come il latino) e moderne (come il francese e il tedesco, più tardi l'italiano).
Possiamo paragonare il verbo a una sorta di atomo uncinato che esercita la sua capacità di attrazione su un numero più o meno alto di elementi, a seconda del numero di « uncini » [da 0 a 4] che il verbo ha a disposizione per mantenerli alle proprie dipendenze. Il numero di uncini che un verbo presenta e di conseguenza il numero di elementi che è in grado di reggere costituisce la valenza del verbo.

Diremo così che il verbo che il verbo dormire (intransitivo) è monovalente, che il verbo amare (transitivo) è bivalente.  Dobbiamo a Tesnière anche l’immagine della frase come un “dramma in miniatura”, in cui il verbo è il canovaccio dell’azione teatrale, il soggetto e gli altri elementi chiamati dal verbo sono gli attori. Al centro della scena della frase non c’è il soggetto, come nella grammatica tradizionale, ma il verbo (“il fatto”) insieme agli attori necessari (da 0 a 4) perché il fatto si compia.
In Italia il modello valenziale di descrizione della frase è arrivato alla fine degli anni Settanta grazie al latinista Germano Proverbio ed è subito stato applicato alla didattica dell’italiano da Francesco Sabatini, autore di grammatiche scolastiche innovative uscite negli anni Ottanta (e poi ripubblicate in edizioni aggiornate, sia nella versione per le medie che in quella per le superiori) e di un dizionario italiano dell’uso (il DISC) che adottava la valenza come criterio ordinatore nella descrizione delle voci verbali. Quando cerchiamo un verbo in un dizionario di latino, troviamo subito la formula di costruzione della frase (es. dicere aliquid alicui, docere aliquem aliquid o de aliqua re); allo stesso modo, in un dizionario di italiano è importante differenziare i significati di un verbo a seconda delle sue costruzioni, individuare subito le preposizioni rette dal verbo e così via. 
Il concetto di valenza del verbo si trova oggi in tutte le grammatiche scientifiche dell’italiano ed è sempre più diffuso anche nelle grammatiche scolastiche per la sua capacità di dare un centro e un ordine alle pratiche di analisi della lingua. Va detto che molte grammatiche (anche quelle più tradizionali) si limitano a qualche cenno (di solito quando si parla del verbo o della frase semplice), in omaggio a quella che sembra essere l’ultima moda editoriale. Le operazioni di ibridazione finiscono però per annullare il vantaggio competitivo del modello, descrivibile in termini di potenza e di economia: con poche regole e pochi termini si riescono a descrivere strutture semplici e complesse, si ha subito una visione “architettonica” della frase (il verbo e i suoi legami, gli elementi necessari e facoltativi, la collocazione al centro o nella periferia della frase) e si rompe l’ordine lineare della frase a favore di quello strutturale e gerarchico.
La grammatica valenziale non chiede di imparare a memoria lunghi elenchi, ma di ragionare sul ruolo che ogni elemento della frase ha nella struttura, rappresentata attraverso cerchi concentrici, dal nucleo (il verbo con i suoi “argomenti”) alla periferia (le espansioni). Al centro della frase non c’è il soggetto, ma il verbo; il soggetto è uno degli elementi che aiuta il verbo a costruire intorno a sé la frase. Tutti gli elementi che la grammatica tradizionale metteva sullo stesso piano e classificava come “complementi” sono distinti a seconda della loro rilevanza nella struttura: l’oggetto diretto e l’oggetto indiretto si collocano all’interno del nucleo come complementi necessari del verbo e contano (quasi) come il soggetto. Intorno al nucleo si dispongono altri elementi che arricchiscono la frase con informazioni accessorie: distingueremo così complementi del nome (circostanti) e complementi della frase (espansione). Solo in un secondo momento (e solo alla periferia della frase) ragioneremo sui contenuti dei vari complementi: le espansioni, per esempio, possono arricchire la scena introducendo determinazioni di tempo e di luogo. All’interno del nucleo, invece, ci limiteremo a individuare le valenze, ricordandoci che si tratta di relazioni grammaticali “vuote”, cioè dai contenuti non predefiniti: il soggetto non è sempre chi fa l’azione, può essere anche uno strumento inanimato o un essere animato che sperimenta uno stato.        
Va detto subito che “vedere” la struttura della frase ci aiuta a parlare e scrivere in modo più consapevole e controllato, e a cogliere con più efficacia le relazioni grammaticali nei testi che leggiamo. La casistica dei complementi, infatti, non serve a capire e produrre testi italiani: è nata come propedeutica al latino scolastico e non a caso è difesa dagli insegnanti che si preoccupano fin dalla scuola di base di “preparare ai licei”.
A differenza della grammatica tradizionale, che viene insegnata in modo normativo ed è spesso percepita come un corpo estraneo dagli alunni, la grammatica basata sul modello valenziale richiama immediatamente la competenza linguistica già presente nella mente degli alunni, che, sulla base delle indicazioni iniziali del docente, scoprono da soli il congegno sintattico basilare della frase.
La grammatica valenziale conduce inoltre a una rappresentazione grafica molto semplice ed efficace della frase, basata su cerchi concentrici, che resta impressa visivamente nella mente di tutti (anche di chi ha maggiori difficoltà di apprendimento). Il modello ha del resto uno stretto rapporto con le descrizioni dei meccanismi del linguaggio come osservati e descritti dagli studi neurologici.
Ovviamente, l’adozione di un modello impone un ripensamento da parte dell’insegnante e una formazione che gli permetta di scardinare l’abitudine ad andare dal piccolo al grande (dall’articolo al verbo, dalle parti del discorso alla frase ecc.), e di implementare la capacità di ragionare insieme agli alunni, partendo dalle unità comunicative (le frasi) per arrivare agli elementi che le costituiscono (le parti del discorso). Richiede anche una mobilità di sguardo: una capacità di vedere nella lingua i cambi di categoria grammaticale (attraverso le conversioni o traslazioni); di riconoscere la capacità di reggenza di verbi e unità verbali ma anche di nomi e aggettivi; di valorizzare le connessioni morfologia e sintassi, tra sintassi e semantica (valenza variabile e polisemia) e tra sintassi della frase semplice e complessa (attraverso le trasformazioni) evitando separazioni artificiose tra analisi grammaticale, logica e del periodo.
In compenso, permette di osservare (una volta chiarito il concetto di “frase-tipo”) le diverse forme che può assumere la superficie linguistica dei testi in relazione alla loro diversa funzione comunicativa: in un testo di legge le frasi assomiglieranno ai modellini grammaticali molto più spesso di quanto non accada in un testo letterario, che può permettersi di lasciare valenze sospese, di sovvertire l’ordine abituale degli elementi, di violare le restrizioni semantiche di un verbo per aprire la strada alla metafora.    
In definitiva, il modello valenziale rigenera l’analisi logica, permette di collegare la grammatica all’analisi dei diversi tipi di testo e consente anche applicazioni non meramente scolastiche, come il trattamento informatico dei testi (a partire da un dizionario dei verbi con le rispettive valenze).

1 commento:

  1. Bellissimo articolo che mi riporta ad altrettante bellissime esperienze fatte

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