Nell'ambito della rubrica "Dice il saggio" ho parlato del mio saggio (uscito per Carocci nell'ottobre 2016), Che cos'è la grammatica valenziale, da cui è nato anche il progetto di questo blog.
Ho articolato il mio intervento in 3 punti: un po' di storia del modello che dà il nome a questo modo nuovo (ma con quasi un secolo di storia alle spalle) di guardare alla grammatica; una breve descrizione dei suoi capisaldi; le ricadute sull'insegnamento della grammatica a scuola.
Trascrivo qui la versione integrale dell'intervento, a beneficio di chi volesse scorrerne i contenuti.
La grammatica valenziale è un modello scientifico di descrizione della
lingua basato su un concetto guida: la “valenza”
del verbo. Il verbo era riconosciuto già dai grammatici antichi come il perno
della frase: la parola capace di mettere in relazione altre parole (come i
nomi) creando legami e rapporti di dipendenza che sono all’origine del
significato di una frase. Valenza è il termine usato dalla linguistica moderna (come sinonimo di “legame”,
“dipendenza”) per indicare la proprietà del
verbo di legare a sé gli altri elementi della frase. Si tratta di una
metafora presa dalla chimica, introdotta nella prima metà del secolo scorso dal
linguista francese Lucien Tesnière e subito applicata alla descrizione di varie
lingue, antiche (come il latino) e moderne (come il francese e il tedesco, più tardi l'italiano).
Possiamo paragonare il verbo a una sorta di atomo uncinato che esercita la sua capacità di attrazione su un numero più o meno alto di elementi, a seconda del numero di « uncini » [da 0 a 4] che il verbo ha a disposizione per mantenerli alle proprie dipendenze. Il numero di uncini che un verbo presenta e di conseguenza il numero di elementi che è in grado di reggere costituisce la valenza del verbo.
Diremo così che il verbo che il verbo dormire
(intransitivo) è monovalente, che il verbo amare
(transitivo) è bivalente. Dobbiamo a
Tesnière anche l’immagine della frase come un “dramma in miniatura”, in cui il
verbo è il canovaccio dell’azione
teatrale, il soggetto e gli altri elementi chiamati dal verbo sono gli attori. Al centro della scena della
frase non c’è il soggetto, come nella grammatica tradizionale, ma il verbo (“il
fatto”) insieme agli attori necessari (da 0 a 4) perché il fatto si compia.
In Italia il modello valenziale di descrizione della frase è arrivato alla
fine degli anni Settanta grazie al latinista Germano Proverbio ed è subito stato applicato
alla didattica dell’italiano da Francesco Sabatini, autore di grammatiche
scolastiche innovative uscite negli anni Ottanta (e poi ripubblicate in edizioni aggiornate, sia nella versione per le medie che in quella per le superiori) e di un dizionario italiano
dell’uso (il DISC) che adottava la valenza come criterio ordinatore nella
descrizione delle voci verbali. Quando cerchiamo un verbo in un dizionario di
latino, troviamo subito la formula di costruzione della frase (es. dicere aliquid alicui, docere aliquem aliquid o de aliqua re); allo stesso modo, in un
dizionario di italiano è importante differenziare i significati di un verbo a
seconda delle sue costruzioni, individuare subito le preposizioni rette dal
verbo e così via.
Il concetto di valenza del verbo si trova oggi in tutte le grammatiche scientifiche
dell’italiano ed è sempre più diffuso anche nelle grammatiche scolastiche per
la sua capacità di dare un centro e un ordine alle pratiche di analisi della
lingua. Va detto che molte grammatiche (anche quelle più tradizionali) si
limitano a qualche cenno (di solito quando si parla del verbo o della frase
semplice), in omaggio a quella che sembra essere l’ultima moda editoriale. Le
operazioni di ibridazione finiscono però per annullare il vantaggio competitivo
del modello, descrivibile in termini di potenza e di economia: con poche regole e pochi termini si riescono a descrivere strutture semplici e
complesse, si ha subito una visione “architettonica” della frase (il verbo e i
suoi legami, gli elementi necessari e facoltativi, la collocazione al centro o
nella periferia della frase) e si rompe l’ordine
lineare della frase a favore di quello strutturale e gerarchico.
La grammatica valenziale non chiede di imparare a memoria lunghi elenchi,
ma di ragionare sul ruolo che ogni elemento della frase ha
nella struttura, rappresentata attraverso cerchi concentrici, dal nucleo (il verbo con i suoi
“argomenti”) alla periferia (le espansioni). Al centro della frase non c’è il
soggetto, ma il verbo; il soggetto è uno degli elementi che aiuta il verbo a
costruire intorno a sé la frase. Tutti gli elementi che la grammatica
tradizionale metteva sullo stesso piano e classificava come “complementi” sono
distinti a seconda della loro rilevanza nella struttura: l’oggetto diretto e
l’oggetto indiretto si collocano all’interno del nucleo come complementi necessari del verbo e contano (quasi)
come il soggetto. Intorno al nucleo si dispongono altri elementi che
arricchiscono la frase con informazioni accessorie: distingueremo così complementi
del nome (circostanti) e complementi
della frase (espansione). Solo in un
secondo momento (e solo alla periferia della frase) ragioneremo sui contenuti
dei vari complementi: le espansioni, per esempio, possono arricchire la scena
introducendo determinazioni di tempo e di luogo. All’interno del nucleo,
invece, ci limiteremo a individuare le valenze, ricordandoci che si tratta di
relazioni grammaticali “vuote”, cioè dai contenuti non predefiniti: il soggetto
non è sempre chi fa l’azione, può essere anche uno strumento inanimato o un
essere animato che sperimenta uno stato.
Va detto subito che “vedere” la struttura della frase ci aiuta a parlare e scrivere
in modo più consapevole e controllato, e a cogliere con più efficacia le
relazioni grammaticali nei testi che leggiamo. La casistica dei complementi,
infatti, non serve a capire e produrre testi italiani: è nata come propedeutica
al latino scolastico e non a caso è difesa dagli insegnanti che si preoccupano
fin dalla scuola di base di “preparare ai licei”.
A differenza della grammatica tradizionale, che viene insegnata in modo
normativo ed è spesso percepita come un corpo estraneo dagli alunni, la
grammatica basata sul modello valenziale richiama immediatamente la competenza linguistica
già presente nella mente degli alunni, che, sulla base delle indicazioni
iniziali del docente, scoprono da soli il congegno sintattico basilare della
frase.
La grammatica valenziale conduce inoltre a una rappresentazione grafica
molto semplice ed efficace della frase, basata su cerchi concentrici, che resta
impressa visivamente nella mente di tutti (anche di chi ha maggiori difficoltà
di apprendimento). Il modello ha del resto uno stretto rapporto con le
descrizioni dei meccanismi del linguaggio come osservati e descritti dagli
studi neurologici.
Ovviamente, l’adozione di un modello impone un ripensamento da parte
dell’insegnante e una formazione che gli permetta di scardinare l’abitudine ad
andare dal piccolo al grande (dall’articolo al verbo, dalle parti del discorso
alla frase ecc.), e di implementare la capacità di ragionare insieme agli
alunni, partendo dalle unità comunicative (le frasi) per arrivare agli elementi
che le costituiscono (le parti del discorso). Richiede anche una mobilità di
sguardo: una capacità di vedere nella lingua i cambi di categoria grammaticale
(attraverso le conversioni o traslazioni); di riconoscere la capacità di
reggenza di verbi e unità verbali ma anche di nomi e aggettivi; di valorizzare le
connessioni morfologia e sintassi, tra sintassi e semantica (valenza variabile
e polisemia) e tra sintassi della frase semplice e complessa (attraverso le
trasformazioni) evitando separazioni artificiose tra analisi grammaticale,
logica e del periodo.
In compenso, permette di osservare (una volta chiarito il concetto di
“frase-tipo”) le diverse forme che può assumere la superficie linguistica dei
testi in relazione alla loro diversa funzione comunicativa: in un testo di
legge le frasi assomiglieranno ai modellini grammaticali molto più spesso di
quanto non accada in un testo letterario, che può permettersi di lasciare
valenze sospese, di sovvertire l’ordine abituale degli elementi, di violare le
restrizioni semantiche di un verbo per aprire la strada alla metafora.
In definitiva, il modello valenziale rigenera l’analisi logica, permette di
collegare la grammatica all’analisi dei diversi tipi di testo e consente anche
applicazioni non meramente scolastiche, come il trattamento informatico dei
testi (a partire da un dizionario dei verbi con le rispettive valenze).
Bellissimo articolo che mi riporta ad altrettante bellissime esperienze fatte
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