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sabato 27 maggio 2017

Insegnare secondo Costituzione

Si è tenuto questa mattina a Roma, presso l'Università "La Sapienza", il Seminario annuale di Intervento e Studio del GISCEL dedicato a Tullio De Mauro (Dopo Tullio, con Tullio).
Un'occasione di bilanci, proposte, confronti tra studiosi e insegnanti di diverse generazioni che hanno a cuore la scuola, la lingua e la democrazia. In altre parole, l'educazione linguistica democratica.
Una conquista preziosa e fragile per la scuola italiana, che sembra oggi orientata allo sviluppo del "capitale umano" più che allo sviluppo del diritto di parola ("tutti gli usi della parola a tutti" - secondo la nota formula di Gianni Rodari), puntando in modo sempre più deciso alla selezione piuttosto che all'inclusione, alla costruzione di muri più che di ponti.

Nel mio contributo alla Tavola Rotonda ho cercato di mettere a fuoco un'idea per me centrale all'interno delle X Tesi per l'Educazione Linguistica Democratica (ELD), e più in generale della lezione di Tullio De Mauro (che quelle tesi ha ispirato), tenendo sullo sfondo questa citazione:

“Non cresciamo in solitudine e sviluppiamo le nostre capacità, le nostre coscienze e conoscenze in un rapporto continuo con gli altri.” (Tullio De Mauro, In principio c’era la parola?, 2009)
La lingua come strumento di relazione (col mondo esterno e con gli altri). Ma anche come mezzo caratterizzato da una trama di relazioni interne: relazioni (in presenza e in assenza) tra le parole, tra componente verbale e non verbale, tra lingua di scolarizzazione e "lingue di casa" (ieri i dialetti, oggi le lingue di immigrazione), tra usi espressivi e usi comunicativi della lingua, tra scritto e parlato, tra produzione e ricezione, tra formale e informale.
Una visione non monolitica ma poliedrica di una lingua viva e in movimento come l'italiano.

Ho articolato il mio intervento in 9 punti (o proposte):

1- La necessità di riannodare i fili delle relazioni tra generazioni: quella che ha promosso l’ELD (lavorando sul terreno della conquista dei diritti) e che sta via via uscendo dalla scuola, e la generazione nata dopo gli anni Settanta, che nella scuola è entrata da poco e che dovrebbe difendere e far crescere quei diritti (tutt’altro che acquisiti), trovandosi a operare in un ambiente impoverito e disorientato, con complessità nuove e diverse, alle prese con una diffusa resistenza nei confronti di molti dei principi enunciati dalle X Tesi. Resistenza collegabile da un lato a una ancora estesa ignoranza del documento, dall’altro ai tentativi di delegittimazione dei presupposti e dei maestri dell’ELD (De Mauro e don Milani tra tutti) operati da un discorso di tipo conservatore sulla scuola (di cui altrove ho cercato di smontare i presupposti autoritari).

2. L'importanza di far dialogare scuola e ricerca: non solo attraverso la collaborazione tra docenti universitari e di scuola nell’ambito della formazione (tirocini, corsi di aggiornamento) e della sperimentazione sul campo (ricerca-azione), ma anche attraverso la promozione di una figura di insegnante-ricercatore che veda riconosciuta e promossa la sua capacità di “apprendere mentre insegna” e di documentare esperienze didattiche significative facendole entrare nel circuito comunicativo. Anche per evitare (come troppe volte accade) che queste esperienze rimangano episodi virtuosi destinati a "consumarsi” all’interno della classe (e questo a tutti i livelli di scuola, tanto più in quelli di cui meno si sa, come le secondarie superiori).

3 e 4. L'importanza della formazione in servizio dei docenti, che dovrebbe coinvolgere formatori qualificati e incoraggiare non tanto e non solo la familiarizzazione con le nuove tecnologie, ma soprattutto pratiche innovative di progettazione, in cui docenti di diverse materie entrino in relazione e imparino a collaborare tra loro in un'ottica di trasversalità; in cui docenti di diversi ordini di scuola inizino a ragionare in un’ottica di gradualità (per costruire insieme curricoli verticali che rallentino la corsa all’anticipazione indebita e alla frammentazione della riflessione sulla lingua).
La necessità, inoltre, di ripensare anche la formazione iniziale degli insegnanti, mettendo a punto un "piano di studi" ideale per il futuro insegnante di italiano di scuola primaria e secondaria in cui lo studio scientifico della lingua (storia, grammatica, varietà ecc.) abbia uno spazio adeguato.
"Formate bene chi insegna e avrete una scuola buona" - scriveva De Mauro plaudendo alle iniziative dei Lincei per la scuola, che affiancano (in modo concreto e non sporadico) agli insegnanti la miglior cultura umanistica e scientifica per sostenerli "nel difficile compito di far bene scuola". Perché "le riforme, anche quelle ben meditate, i programmi, l’edilizia, la numerosità delle classi, il tempo scuola" sono importananti, ma assai meno.




5. La doverosa cura della relazione tra docenti e studenti. Per insegnare, il sapere è necessario ma non sufficiente: bisogna conoscere e rispettare le persone che abbiamo di fronte - ragazze e ragazzi diversi da "come eravamo noi", che hanno bisogno di far dialogare virtuale e corporeo, intelligenza sequenziale e simultanea, velocità di accesso alle informazioni e lentezza dei processi di apprendimento, facilità di informazione e difficoltà di vaglio critico. Ragazzi che hanno bisogno di essere guidati per “trasformare le informazioni in conoscenze” (Michel Serres), per raggiungere una “saggezza digitale” (Marc Prensky). Ragazzi che, a prescindere dalla strumentazione informatica, dovremmo cercare di coinvolgere in classe con metodologie didattiche non puramente trasmissive, stimolandoli a confrontare lingue diverse e usi diversi della stessa lingua per educarli alla “consapevole mobilità tra norme diverse” (De Mauro) in tipi di testi diversi. Invitandoli a confrontare opinioni diverse maturate attraverso la lettura, concepita come un impegnativo ma piacevole corpo a corpo coi testi della tradizione (che potrebbero e dovrebbero essere letti direttamente, non solo attraverso la mediazione di autorevoli interpreti, e discussi). Creando situazioni “corali” (come l’ascolto partecipe e la narrazione condivisa) e non solo frontali e asimmetriche (come la spiegazione o l'interrogazione/compito in classe). Senza necessariamente “capovolgere” la classe, ma puntando in modo più deciso, a una “pratica di insegnamento e apprendimento dialogica e cooperativa” (De Mauro). Dando spazio e profondità all'apprendimento, senza il quale non può esserci valutazione.

6. L'impegno a non cedere all’opposizione frontale tra inclusione e selezione: favoriamo le relazioni tra studenti di diversa provenienza e livello e lavoriamo con serietà sulle competenze di base per tutti, anziché sulla selezione anticipata. Perché, come negli sport, se mescoliamo i più forti e i meno forti, i primi riusciranno comunque bene, i secondi riusciranno meglio. Quanto più ampia e solida è la base, inoltre, tanto più forte e consistente sarà l’eccellenza (Claude Baudelot).
Ancora oggi, dunque “non uno, non una di meno”. Puntiamo all'inclusione, come ci chiede la Costituzione, ma senza viverla come una scelta al ribasso. Abbiamo a cuore l’eccellenza, ma nella consapevolezza che l’elitismo conserva e aumenta le disuguaglianze e non produce una élite di qualità.

7. Il richiamo alla responsabilità dell’insegnante di fronte ai nuovi mezzi di apprendimento e condivisione dei contenuti, basati su multimedialità e multisensorialità, che hanno cambiato profondamente le modalità di alfabetizzazione, socializzazione e comunicazione delle nuove generazioni. Perché le competenze di cittadinanza e le relazioni (anche tra gli insegnanti) passano oggi anche attraverso questi mezzi, di cui dobbiamo diventare (e far diventare i nostri alunni, sempre più digitali e connessi) utenti consapevoli e critici.

8. Il rafforzamento dei momenti di confronto e sinergia con altre associazioni che operano nello stesso ambito (ASLI scuola, Lincei per la scuola, CIDI, MCE) o in ambiti contigui (ADI Sezione Didattica). Con gli italianisti, in particolare, sarebbe necessario lavorare perché l’educazione letteraria torni a dialogare con l’EL nelle secondarie superiori (e non solo nel biennio). Dobbiamo riaffermare le ragioni di una grammatica dei testi, con i testi e per i testi (letterari e non solo). Una grammatica “alleggerita” nel suo apparato descrittivo, ma approfondita nelle sue dimensioni storiche, che metta in grado di accedere ai testi della tradizione ragionando sulle forme e sui significati prima di correre alla nota (o alla traduzione) a piè di pagina.

9. Il confronto ineludibile con gli editori scolastici. L'offerta italiana di grammatiche e antologie scolastiche è caratterizzata da un numero crescente di proposte che tendono a differenziarsi poco (non solo tra un editore e l'altro, ma anche tra offerte per la secondaria inferiore e il biennio) e continuano a seguire la logica dell'accumulo e della ripetizione del canone (dal piccolo al grande nelle grammatiche, dal grande al piccolo nelle antologie, senza alcuna selezione e gerarchizzazione dei contenuti), per rispettare le aspettative del mercato. 
Serve più coraggio, da parte di tutti: da parte degli insegnanti che adottano, ma anche da parte di chi concepisce i libri di testo. Perché i libri hanno un peso e un prezzo, ma anche dei contenuti che andrebbero ripensati "dalla parte dello studente", visto come una persona in crescita e non come vaso da riempire di nozioni.
 

P.S.: Questa mattina, in contemporanea, presso il Liceo Tasso di Roma, si è tenuta una conferenza stampa del Gruppo dei 600 finalizzata a rilanciare l'appello in difesa dell'italiano e della scuola del merito. Disertata dalla stampa (solo Radio Radicale ha dedicato uno spazio all'iniziativa con interviste ai promotori). Per disattenzione? Forse. O magari perché ci si è accorti della strumentalità e della superficialità di quell'appello. E dell'inelegante puntualità con cui il Gruppo di Firenze parte, la lancia in resta, a offuscare (se non a infangare) la memoria di Tullio De Mauro e di don Milani (che oggi, 27 maggio 2017, avrebbe compiuto 94 anni). Perché - su questo siamo d'accordo - la forma è sostanza.  



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