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domenica 16 aprile 2017

Quello che le grammatiche (non) dicono (recensione a Alvise Andreose)

Per i tipi di Carocci, nella collana "Studi Superiori",  è appena uscito un libro del linguista e filologo Alvise Andreose dal titolo Nuove grammatiche dell'italiano. Le prospettive della linguistica contemporanea. Si tratta della versione ampliata del capitolo dedicato allo Strutturalismo e alla grammatica generativa che comparirà nel IV volume (Grammatiche, di prossima pubblicazione), della Storia dell'italiano scritto (a cura di Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin).




Già scorrendo l'indice dell'opera è possibile cogliere la ricchezza e la profondità della prospettiva con cui l'autore ricostruisce gli sviluppi della ricerca linguistica "moderna" (ovvero post-strutturalista) nell'ambito della descrizione delle strutture dell'italiano, e le ricadute delle principali innovazioni teoriche all'interno delle opere grammaticali apparse negli trent'anni. Un lavoro che riprende e arricchisce quello fatto da Laura Vanelli nel volume Grammatiche dell'italiano e linguistica moderna (Unipress, 2010).

Il punto di partenza (come nella Grande grammatica italiana di consultazione, altra grande opera di cui Andreose è stato un giovane collaboratore) è la sintassi della frase semplice, di cui si analizzano i costituenti (i sintagmi) sia nella loro forma che nelle loro funzioni.
Un intero capitoletto è dedicato al concetto di valenza del verbo. In accordo con il filone generativista della riflessione sulla valenza (sviluppato in Italia dalla scuola padovana, in particolare da Giampaolo Salvi), si distingue tra la valenza sintattica e la valenza semantica: se guardiamo alla sintassi, dovremo cercare nei dintorni del verbo i suoi argomenti (cioè un certo numero di sintagmi di una certa forma che occupano le posizioni sintattiche attivate dal verbo); se guardiamo alla semantica, dovremo ragionare sugli attanti (cioè sul modo in cui quegli stessi sintagmi si fanno carico di portare in scena - a guisa di attori recitanti - i personaggi richiesti dal verbo, assumendo ciascuno uno dei "ruoli " previsti dalla semantica del verbo: agente, strumento, luogo, causa ecc.).

Nella descrizione delle classi dei verbi, poi, non solo si ridefinisce la classe dei transitivi (i verbi che selezionano un argomento in funzione di oggetto diretto), ma si distinguono le due classi di intransitivi: quelli con ausiliare avere (es. passeggiare, telefonare, dormire) o intransitivi propriamente detti e quelli con ausiliare essere (es. arrivare, nascere, scoppiare), chiamati anche inaccusativi perché, pur non ammettendo un oggetto diretto (l'"accusativo" delle lingue con i casi, come il latino), in alcune costruzioni trattano il soggetto come se fosse un oggetto: accettano che venga posposto al verbo senza effetti comunicativi marcati (è arrivato un pacco, è nato un pulcino, è scoppiata una bomba); inoltre, quando il soggetto è preceduto da un quantificatore, accettano che sia ripreso dal ne partitivo (Ne sono arrivati due, Ne sono nati alcuni, ecc.).

Un altro aspetto interessante della trattazione, trascurato dalle grammatiche scolastiche, riguarda una componente del significato lessicale dei verbi che può avere effetti sull'espressione della temporalità (si tratta del'aspetto lessicale o modo d'azione, o azionalità, o Aktionsart): se dico cado, pur usando un presente, mi sto riferendo a un futuro perché il verbo ha un significato puntuale e imminenziale. Se dico abito esprimo invece uno stato durativo, il cui punto di inizio si colloca nel passato. Sempre per motivi legati al significato aspettuale, il verbo essere (capostipite dei verbi di stato) non ha mai avuto il - da alcuni compianto - trapassato remoto: non ci sono di fatto circostanze in cui io fui stato prima che fossi.

Della frase è trattata anche la struttura semantica e comunicativa: il modo cioè in cui disponiamo i diversi costituenti (giocando sui primi piani e gli sfondi, come nella fotografia) a seconda dell'effetto che vogliamo ottenere, dell'elemento che vogliamo mettere in risalto e così via. Si dà qui conto dei vari tipi di frase marcata (dislocazione a sinistra e a destra, tema sospeso, frase scissa ecc.), ma anche delle diverse strutture informative di frasi non marcate (es. una frase come Paola ha telefonato è predicativa perché articolata dal punto visto informativo in un soggetto di cui si parla e un predicato, e risponde alla domanda "Chi ha telefonato?"; una frase come Ha telefonato Paola è presentativa perché presenta un evento nel suo insieme e risponde alla domanda "Che cosa è successo?").
Anche delle frasi copulative (costruite cioè intorno al verbo essere con funzione di copula) vengono presentati i diversi valori semantici: predicativo (Paola è la prof di italiano), locativo (Paola è in classe), specificativo (La prof di italiano è Paola) e presentativo (In classe c'è Paola).

Sia nella sintassi della frase semplice che nella sintassi della frase complessa (oggetto di più breve trattazione), vengono distinti elementi nucleari (o argomentali) ed extra-nucleari (non argomentali). Agli argomenti soggetto e oggetto corrispondono le frasi argomentali soggettive e oggettive (chiamate nel loro insieme completive); agli elementi circostanziali (espressioni di tempo, luogo, causa ecc.) corrispondono le frasi circostanziali (subordinate propriamente dette) e agli elementi attributivi (aggettivi) le frasi relative o participiali. I concetti di "controllo" e "sollevamento" (del soggetto) permettono poi di dar conto dei diversi tipi di frasi infinitive, caratterizzate da identità del soggetto con quello della reggente. Non manca un cenno ai "complessi verbali", ovvero ai verbi  (modali, causativi) che reggono frasi all'infinito.

Alla deissi, fenomeno spesso trascurato nelle grammatiche, è qui intitolato un intero capitoletto che rende ragione del funzionamento di tutti quegli elementi linguistici paragonabili a diti puntati (indici), che per essere interpretati richiedono una conoscenza del contesto: i pronomi personali (che rimandano ai partecipanti allo scambio comunicativo: io, tu), i dimostrativi e gli avverbi di tempo e luogo (che rimandano a un punto nel tempo e nello spazio: questo, quello, qui, , ieri, oggi, domani). Elementi che possono mettersi anche al servizio della coesione testuale, funzionando come indici all'interno dello spazio del testo, anziché dello spazio extra-linguistico.Valore deittico hanno anche del resto alcuni tempi verbali che ancorano il discorso al tempo dell'enunciazione (a differenza di altri - i vari trapassati - con vocazione anaforica).

Gli ultimi due capitoli sono dedicati a cenni sulle principali acquisizioni nell'ambito della morfologia e della fonologia, che aiutano a rendere ragione di fenomeni grammaticali come il plurali dei nomi composti e talune specificità (orto)grafiche dell'italiano.

Un libro impegnativo, quello che ci consegna Andreose, perché richiede la capacità di orientarsi tra le diverse grammatiche scientifiche messe a confronto. Individuando, capitolo dopo capitolo, le tante e colpevoli lacune delle grammatiche scolastiche, tenacemente attaccate a una tradizione a rischio di crollo per accumulo e poi così reticenti su questioni grammaticali ancorate ai fatti.
Un libro, anche, elegantemente persuasivo per chiunque intuisca l'importanza e l'urgenza di rimettere in discussione categorie e principi di riferimento per la didattica dell'italiano. Tra assenze e dubbie presenze, tutto l'apparato descrittivo tradizionale è chiamato in causa.
Perché, anche nella grammatica, non è possibile passare dalla tradizione al post-moderno eludendo la fatica del passaggio attraverso il moderno: la riflessione critica, il vaglio coraggioso e doloroso delle idee ricevute.





A beneficio degli insegnanti, segnalo questo esauriente articolo di Adriano Colombo, dal titolo
Applicazione? Linguistica teorica e grammatiche scolastiche (2015).

2 commenti:

  1. Bella recensione.

    [a parte, segnalo un refuso «il cui punto di inizio *su* colloca nel passato»]

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