Una decina di anni fa tra i neogenitori spopolava un librino edito da una piccola casa editrice di Firenze, Mandragora: Fate la nanna, ovvero Il semplice metodo che vi insegna a risolvere per sempre l'insonnia del vostro bambino. Questo librino spiegava una tecnica comportamentista (chiamata metodo Estivill dal nome dell'omonimo pediatra catalano coautore del fortunato libretto) per far addormentare i bambini. La quarta di copertina recitava:
"Il fenomeno dell'insonnia, dovuto in parte allo stress della vita quotidiana, è ormai considerato un vero e proprio problema sociale. Recenti ricerche hanno dimostrato che le turbe del sonno derivano principalmente da errate abitudini contratte nei primi anni di vita. Il libro svela ai genitori le semplici tecniche per conseguire l'obiettivo."
Ovviamente, ogni genitore sa che non è facile accompagnare un bambino nel sonno e rendere autonomo il processo (di per sé naturale) dell'addormentamento. Del resto anche la tradizione popolare, con le sue ninne nanne intessute di vezzeggiativi, espressioni di disinganno e (più o meno larvate) minacce al piccolo insonne, ci ricorda la fatica di "quelle povere donne i cui bambini costituiscono un peso, una croce onerosa che a volte faticano a reggere" - come scriveva Federico Garcia Lorca in Sulle ninne nanne (Salani, 2005).
E' quanto ho pensato oggi, girando tra i padiglioni della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna in cerca di novità che riguardassero - da vicino (nel settore "adozionale" dei libri scolastici) o da più lontano (albi illustrati e libri per ragazzi) - la didattica della grammatica.
Perché se avevo dei dubbi sul fatto che la "lettoscrittura" (orrendo neologismo che fonde due operazioni cognitivamente molto diverse, riducendo peraltro l'alfabetizzazione a un procedimento meccanico) e la grammatica siano diventate un problema sociale (e non solo per chi soffre di disturbi specifici dell'apprendimento - DSA), oggi ne ho avuto la conferma. La quantità di prodotti editoriali di stampo comportamentista che mirano ad affrontare e risolvere per tempo il problema del difficile incontro con i segni scritti e con le regole sociali (tra cui rientrano le regole linguistiche) è inquietante.
Sfogliando i cataloghi di case editrici comportamentiste per vocazione (come la Erikson di Trento, nata per fornire strumenti educativi per la disabilità) o per opportunità (come il gruppo editoriale Raffaello), si rimane colpiti per la quantità di "metodi semplici" (easyway) che dovrebbero risolvere il problema della complessità dell'analisi della lingua italiana. Nessuno che metta in discussione la validità scientifica delle pratiche. Tutti che si affannano a trovare stratagemmi per risolvere un problema evidente.
Ecco allora Analisi grammaticale e logica al volo, il volumetto con cui Camillo Bortolato trasferisce dalla matematica alla grammatica il suo metodo analogico. Per l'apprendimento intuitivo di "tutte le conoscenze necessarie" (tutte necessarie?!), si ricorre ad "agganci emozionali", mappe concettuali, strisce illustrate grazie alle quali "non è più necessario arrovellarsi per tenere tutto a mente" perché "la comprensione si trasforma in riconoscimento". La regola diventa immagine, insomma: non va più analizzata, ma inglobata nella sua globalità.
Così per fare analisi grammaticale basta mettere le parole nel barattolo giusto, per fare analisi logica basta muoversi nelle case di un quartiere (metafora che ricorda - non so quanto consapevolmente - quella di Wittgenstein, che parlava della lingua come di "una vecchia città").
Sempre dal catalogo Erikson, la temibile ortografia diventa un giallo da risolvere nei libri dell'ispettore Ortografoni: "Una serie che trasforma l’ortografia, spesso vissuta dai bambini come noiosa e frustrante, in un’occasione di apprendimento implicito e divertimento attivo". Basta risolvere puzzle, crucipuzzle, crucintarsio e altri giochi di parole per capire chi dei 6 sospettati è il colpevole del misfatto. Insomma, basta non pensarci: come quando si butta giù una pillola con un po' di zucchero.
Dal catalogo Raffaello spunta invece la grammatica RAF di Flavia Franco e Michela Merlati: Rifletto su una situazione problema, Apprendo la regola, la Fisso con gli esercizi. Nulla di nuovo a parte lo stimolo (situazioni autentiche, pedagogicamente ben contestualizzate attraverso l'uso di uno sfondo integratore e percorsi articolati in step) e l'enfasi sulla valutazione, in accordo con la didattica delle competenze. La promessa del metodo: "trasformare una disciplina generalmente poco accattivante per i bambini in un’occasione di creatività e di stimolo ad apprendere".
Ampio spazio nel catalogo Raffaello ha poi il "metodo Venturelli" per la preparazione e l'avvio della scrittura a mano nella scuola dell'infanzia (perché anche l'asilo deve preparare a qualcosa...) e primaria, basato sulla rieducazione posturale preventiva e sulla costruzione graduale e sfinente dei movimenti di prensione e scorrimento della mano sul foglio. Del resto, come è noto, la completa disaffezione alla manualità fa sì che molti bambini escano dalla primaria senza sapere allacciarsi le scarpe. Ma questo problema, ovviamente, non interessa il settore editoriale bensì i calzaturifici (che hanno provveduto da tempo, sostituendo i fastidiosi lacci con velcro ed elastici). A scuola bisogna imparare a tenere la penna in mano. E oggi neanche questo è scontato (si inizia anzi dubitare perfino dell'opponibilità del pollice).
Avanti, c'è spazio per tutti: psicomotricisti, logopedisti, grafologi. Chiunque abbia una ricetta che associ con efficacia stimoli giusti e risposte adeguate.
E se ci fermassimo un attimo a pensare che cosa e perché non funziona più nella prima alfabetizzazione? Provando a rimettere in discussione (prima di trasformarli in un gioco) i nostri saperi male appresi? Riformulando le ricette grammaticali con ingredienti di buona qualità anziché aggiungere glutammato per rendere gradevole al gusto insipide minestre riscaldate?
Lo stesso discorso si potrebbe fare per il (non brutto) libro di Massimo Birattari Come si fa il tema, appena uscito per Feltrinelli. Anche qui metodi laboratoriali dai nomi suggestivi:
- "metodo Robinson" per raccogliere le idee, ispirato alla lista di vantaggi e svantaggi stilata dal celebre naufrago;
- "metodo Palomar" per organizzare l'esposizione, seguendo il modello della scrittura calviniana.
Anche qui, la volontà di rendere più accattivante un esercizio già condannato a morte negli anni Settanta, ma resistito con la stessa ottusa caparbia del pidocchio che continua a infestare le teste dei nostri figli.
Anziché proporre forme di scrittura autentica, legate a tipologie testuali diverse e variegate, orientate a un destinatario preciso (che non sia il solo insegnante), si nobilita il vecchio tema (cioè la scrittura a tema, distinta dalla scrittura libera) con un intelligente belletto.
Il pubblico da conquistare, nel più scolastico dei compiti, è l'insegnante - diciamocelo. E allora tanto vale capire come fare ad accontentarlo e fare bella figura. Non manca in appendice un pronto soccorso grammaticale. Nota di merito per l'autore: proporre una "esposizione al contagio" mediante buoni modelli di scrittura (non solo bravi narratori, ma bravi saggisti e bravi giornalisti) e suggerimenti di lettura.
Ma...
Scoraggiati? No. In fiera ho visto anche dei begli albi, di cui vi racconterò nella prossima puntata.
Sono Massimo Birattari, l'autore di "Come si fa il tema" (Feltrinelli). La ringrazio per aver definito "non brutto" il mio libro e le faccio una domanda: visto che nella scuola superiore italiana il tema è di fatto l'unica modalità di scrittura, visto che all'esame di maturità la prima prova scritta, per tutti i tipi di scuola, prevede tema di ordine generale, tema di argomento storico, analisi del testo, saggio breve e articolo di giornale (cioè tutte scritture "a tema": non esiste una prova di scrittura libera), e visto che il mio scopo, con questo libro, è aiutare i ragazzi delle superiori a svolgere al meglio questa prova (ripeto: unica e obbligatoria), cosa avrei dovuto fare, se non cercare di spiegare nel modo più chiaro possibile "come si fa (bene) il tema"? Sono il primo a dire che si tratta di una scrittura artificiale, ma è quella che i ragazzi devono fare. Se fossi un insegnante e un ragazzo mi chiedesse: "Mi spiega come devo fare per migliorare i miei temi o i miei saggi brevi ecc.?", dovrei forse rispondergli: "Guarda, il tema è un esercizio già condannato a morte negli anni Settanta, è un pidocchio che ti infesta la testa, arrangiati"?
RispondiEliminaLa ringrazio per la sua reazione. I miei astratti furori puntavano alla luna, non al suo dito. Ho apprezzato questo come i suoi precedenti libri, che sono negli scaffali della mia libreria: brillanti e corroboranti. Sono pronta ad ammettere che mi tornerà utile tra qualche anno, quando il mio problema di Madre italiana (superate le fasi del brodo di verdure e del pidocchio) sarà il famigerato tema. Che i recenti decreti attuativi della scuola, riducendo le 4 tipologie della prima prova dell'esame di stato a 1 soltanto, hanno di fatto riportato sugli altari delle glorie nazionali. Posso solo confidare nell'intelligenza dell'insegnante, che spero disposto/a a fornire modelli e a basarsi su griglie analitiche di correzione. Nel frattempo, spero che le piccole donne e i piccoli uomini del futuro non perdano il piacere della lettura e della scrittura manuale di un diario.
RispondiEliminaBuon lavoro!
In effetti i destinatari del mio libro sono anche i genitori ansiosi... Per quanto riguarda la maturità futura, con la riduzione al mero tema delle quattro tipologie attuali, la penso come lei: so benissimo che il saggio breve e l'articolo di giornale potevano essere velleitari, ma secondo me scrivere partendo da altri testi è una cosa sensata. che non avrei soppresso. Aggiungo che in questo libro il mio intento era (anche) applicare alla scrittura scolastica uno "stile" non scolastico e più vicino alla vera comunicazione (e alla vera scrittura saggistica e giornalistica). Buon lavoro anche a lei!
RispondiEliminaChiedo scusa, molto molto umilmente mi intrometto. Sono un'insegnante di scuola primaria e sono anni che cerco di fare qualcosa per i miei ragazzi per fargli apprendere in maniera non troppo ostica le cosiddette basi...
RispondiEliminaE quest'anno sto leggendo i vostri testi. Pesco, rovisto e bazzico anche altri luoghi e vi dico che non riesco a farmi un'idea di cosa sia meglio. Una cosa però che mi spiazza molto è effettivamente tutto il "facilitato e semplificato" dei testi. E invece io vedo che per i bambini è divertente leggere testi "difficili e complicati"e farli a pezzi e scoprire i loro segreti anche logici e grammaticali oltre che narrativi. Abbiamo un quaderno che abbiamo chiamato "caro scritto non mi fai paura". Ma ahimè, mi accorgo che forse sbaglio tutto perché se non riempiamo pagine e pagine di analisi grammaticali e regole a memoria passa il messaggio che in classe i ragazzi non fanno nulla.
Ritornando alla mia intromissione, io ringrazio entrambi per il vostro lavoro.
Ecco e ora ho il dubbio su quell'indicativo...
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RispondiEliminaGentile Matilda (?), questo blog nasce per alimentare la discussione con le/gli insegnanti. La sua intromissione, quindi, è come il sale nella minestra.
Personalmente, sono perfettamente d'accordo con lei: ritengo che nella scuola primaria si dovrebbe ritardare e limitare la riflessione sulle strutture sintattiche e lavorare sulla comprensione a partire dai testi - i diversi tipi di testi (prosa/poesia, letterario e non, corto/lungo, semplice/complesso e così via). Leggere leggere leggere. E scrivere scrivere scrivere. Perché l'imprinting dei futuri buoni lettori e scriventi, anche nella motivazione ad avvicinarsi al testo scritto e a fidarsi del testo, si impara nei primi anni di scolarizzazione. E sappiamo - dagli studi dei neuroscienziati - quale enorme fatica debba fare il nostro cervello per adattarsi a compiere operazioni (lettura e scrittura) non naturali, ma culturali.
L'analisi logica verrà da sé quando l'esposizione a testi via via più complessi ci obbligherà a fermarci e riflettere non solo sugli snodi testuali (connettivi, inferenze ecc. - uso termini tecnici che non andrebbero scritti sui libri per bambini!), ma proprio sulla struttura delle frasi, in cui gruppi di parole (e talora singole frasi) si combinano in modi che influenzano il significato e quindi l'interpretazione del testo.
La maestra con cui mia figlia ha concluso la primaria ha lavorato in questo modo e io le sono grata: anche per il coraggio che ci vuole ad andare contro le aspettative di genitori presuntuosi e invadenti, che scambiano le competenze per l'anticipazione indebita di riflessioni che si faranno alle medie, quando lo sviluppo della capacità di astrazione porrà basi solide per la riflessione sulle strutture.
Alle pressioni dei genitori, preoccupati che la figliolanza arrivasse alle medie senza le basi di analisi logica tradizionale risponde così: "Se la scuola media sbaglia, non sarò io a sbagliare per seguirli sulla cattiva strada"-
Continui così!
Grazie per la cortese risposta.
RispondiEliminaProseguo nelle mie ricerche, sono consapevole che la strada giusta non è solo una. O meglio esiste una strada maestra, costituita dalle mie conoscenze pregresse, senza le quali non potrei orientarmi fra le molteplici diramazioni cHe mi si presentano, ma svolto spesso.