Come hai incontrato la grammatica
valenziale?
Sono socia “quasi
storica” del GISCEL Veneto, un gruppo molto attivo di studio e di sperimentazione
nel campo dell’educazione linguistica, fondato a livello nazionale da Tullio De
Mauro, la cui scomparsa stiamo piangendo in questi giorni.
Nel GISCEL
Veneto hanno militato e militano studiosi di linguistica ‘coi fiocchi’, come ad
esempio Maria Pia Lo Duca, Michele Cortelazzo, Valter Deon ecc. La
partecipazione ai convegni nazionali del GISCEL e le opportunità che il nostro
gruppo veneto ha avuto, e ha, di avere
come riferimento Lorenzo Renzi, Laura Vanelli e altri linguisti dell’Università
di Padova mi hanno fatto crescere professionalmente in un ambiente molto ricco
e stimolante, nel quale lo studiare le teorie, il discuterne e il cercarne una
realizzazione didattica era a fondamento del modo di concepire l’insegnamento.
Così è nata la mia passione per l’educazione linguistica e specialmente per una
riflessione sulla lingua fondata sui principi e legata alle scoperte della linguistica.
Grazie agli
incontri con questi studiosi e alle competenze degli altri soci del GISCEL, ho
avuto modo di incontrare Tesnière e gli Elementi
di sintassi strutturale fin dagli anni ’80 del secolo scorso. La teoria mi
ha affascinato fin da subito, ma per anni l’ho tenuta nel cassetto, perché non
trovavo strumenti per proporla in
classe. Negli anni
tuttavia riuscivo ad analizzare e ad approfondire la conoscenza del modello
grazie agli articoli e ai saggi che Francesco Sabatini, Maria Pia Lo Duca, e
altri linguisti pubblicavano sull’argomento.
Quando hai iniziato a proporla in classe e
con quali strumenti?
I manuali che cercavo e trovavo a disposizione negli anni ’80-’90 trattavano l’analisi della frase soprattutto proponendo la struttura ad albero di tipo generativo. Iniziavano solo delle ‘aperture’ verso la valenziale, soprattutto grazie a Francesco Sabatini (1984), Maria Luisa Altieri Biagi (1988) e Giorgio Achiardi e Daniela Bertocchi (1990).
Lo stimolo più
potente, però, mi è arrivato con la pubblicazione della prima edizione cartacea
del Dizionario Italiano Sabatini Coletti, corredato di un quaderno nel quale il
modello valenziale veniva finalmente ‘tradotto’ in chiari e utili concetti, con
una prima rappresentazione grafica del modello stesso.
Da allora l’analisi
della struttura della frase semplice secondo il modello valenziale, connesso
con il modello generativo, è stata la base su cui ho innestato qualsiasi tipo
di riflessione sulla lingua proposto in classe.
Man mano che
procedevo con la sperimentazione, scoprivo assieme ai miei alunni che l’approccio
valenziale funzionava benissimo anche per la frase complessa che poteva essere
rappresentata con gli stessi strumenti grafici con cui veniva rappresentata la
frase semplice.
La mia
sperimentazione è andata sempre più perfezionandosi e arricchendosi di
conoscenze derivate da grammatiche teoriche che nel frattempo venivano
pubblicate, ma non avendo un vero e proprio strumento didattico, un manuale che
mi confortasse e mi fornisse materiali per esercitare gli alunni, ho fatto da
sola, costruendomi il percorso e cercando nel manuale di grammatica in adozione
i materiali che mi potessero essere utili.
Devo dire che nel
1999 ho trovato L’italiano di oggi,
di Mirko Tavoni, un buon manuale di grammatica che, come spesso succede, la
casa editrice ha ritirato subito dal mercato in quanto non aveva avuto
successo. Il testo era ricco di materiali autentici tratti da libri di
narrativa per ragazzi ed era impostato su criteri ispirati alla Grande grammatica italiana di consultazione
di Renzi, Salvi e Cardinaletti. Sistematicamente ho scavato nei depositi della
casa editrice per poter avere questo manuale in adozione in classe fino
all’ultimo giorno prima della mia pensione, nel 2009.
Qual è stata la reazione dei ragazzi?
Il modello
valenziale, nella mia esperienza, si è dimostrato potente e nello stesso tempo
semplice ed intuitivo. I ragazzi, chiamati a rappresentare, prima mediante la
‘messa in scena’ del verbo, poi mediante la connessione concettuale con l’atomo
e i suoi ‘uncini’, la cui struttura era loro conosciuta, e infine con la rappresentazione
cognitiva e grafica del funzionamento del verbo stesso nella frase, dimostravano,
fin dal loro ingresso alla scuola media, un particolare entusiasmo. All’inizio
si divertivano proprio, per scoprire, man mano che si impossessavano del
modello, che riuscivano a dominarlo con facilità, la qual cosa, come ben sa
chiunque insegni ai ragazzi adolescenti, davo loro una particolare sicurezza.
Innestando,
poi, sulla struttura della frase molte delle altre riflessioni sulla lingua, su
altri piani, scoprivano come anche ‘facendo grammatica’ tutto fosse in
relazione e crescevano con l’idea che la lingua poteva e doveva essere
osservata, capita, conosciuta con strumenti che erano alla loro portata.
Le scoperte più
confortanti e più entusiasmanti per me insegnante riguardavano il fatto che del
modello si impossessavano anche i ragazzi più in difficoltà o non di
madrelingua italiana, provenienti da altri paesi. Le loro analisi si riferivano
a frasi di non eccessiva complessità, in quanto la loro competenza nella lingua
italiana era a livelli non alti, però anche loro sapevano ‘leggere’ e
rappresentare efficacemente le frasi con criteri valenziali.
E quella di colleghi e genitori?
I genitori non
mi hanno mai ostacolato. Mi davano segnali chiari di non capire fino in fondo
quello che stavano imparando i loro figli. Mi è capitato, infatti, di sentire
espressioni come “Io non conosco questa grammatica moderna. Sono d’altri tempi.”,
però hanno sempre dimostrato di fidarsi di me, anche perché potevano vedere
l’entusiasmo e i risultati scolastici che i loro figli portavano a casa.
Devo dire,
comunque, che la loro tranquillità derivava anche dal fatto che, come ai loro
tempi, sentivano ancora parlare i loro figli di soggetto, di complemento
oggetto (diretto o indiretto), e dal fatto che, verso la fine del secondo
quadrimestre delle classi seconda e terza media, affiancavo alla
rappresentazione sistematica e ‘battente’ della frase secondo il modello che
potrei chiamare valenziale-generativo, qualche elemento di analisi logica della
frase semplice e complessa, intesa in maniera tradizionale. Non ne risultava
alcuna contraddizione e, una volta appresa la struttura delle relazioni
sintattiche, le classificazioni su base semantica erano un elemento in più,
trovavano un loro posto e spesso anche una loro utilità, in quanto le
espressioni di fine, causa, tempo ecc. potevano essere riconosciute sia nella
frase semplice sia nella frase complessa.
Con i colleghi,
invece, le cose andarono molto diversamente. Sono convinta da sempre che il
lavorare in gruppo con criteri cooperativi migliori di molto qualsiasi tipo di
sperimentazione nell’insegnamento, ma, nonostante i miei tentativi costanti di
coinvolgere qualcuno dei miei colleghi, le risposte sono sempre state negative.
Un po’ perché ritenevano che ‘la grammatica’ dovesse essere sacrificata in nome
delle molteplici altre attività complementari da realizzare; un po’ perché
impossessarsi di un modello di riflessione diverso richiedeva tempo da dedicare
a nuovi studi, non coincidenti con quelli conosciuti e praticati
tradizionalmente; fatto sta che il modello valenziale l’ho sperimentato da sola
nella mia scuola di servizio. Mi sono sentita dire molte volte: “Ma, non c'è
niente di nuovo. Io queste cose le faccio comunque in classe”, oppure “Ma che
tu la insegni in un modo o nell’altro, la grammatica è sempre la stessa, no?”.
Tutto ciò dimostrava che non c’era alcuna disponibilità e apertura da parte
loro e va a confermare in qualche modo “l'attaccamento al "curriculum implicito", ovvero
alla propria idea d'insegnamento” a cui si fa cenno anche in questo blog, nel
post del 3 dicembre 2016.
Personalmente e
per mia fortuna alle spalle avevo il gruppo GISCEL Veneto, nel quale avevo modo
di confrontarmi e approfondire le conoscenze, trovando così conforto e incoraggiamento
nel proseguire.
Quali sono le difficoltà e i successi che
hai incontrato nel percorso?
Le difficoltà incontrate
nel percorso si possono dedurre tutte da quanto ho scritto sopra e la delusione
più grande è stata la mancanza di un lavoro cooperativo con i colleghi della
mia scuola.
Ho incontrato anche
qualche intoppo didattico durante la sperimentazione, soprattutto nella
costruzione di un linguaggio appropriato e univoco, con le caratteristiche di
semplicità e chiarezza funzionali all’apprendimento di studenti adolescenti.
Ho sempre avuto
chiara, però, l’efficacia didattica del modello, confortata anche da incontri
negli anni con ex alunni che mi riferivano di aver trovato utili gli alberi
(così li chiamavano!) durante il loro percorso scolastico alla scuola media di
secondo grado.
Ho cercato quindi
di diffondere questo modello in tutte le sedi in cui ciò mi era possibile.
L’ho proposto all’allora
SSIS nei laboratori di didattica dell’Italiano da me condotti e ho ospitato
alcuni tirocinanti durante le mie ore di lezione a scuola. Mi inorgoglivano
l’interesse degli specializzandi e il loro stupore nel constatare come i ‘miei’
ragazzi sapevano affrontare e analizzare con competenza e senza alcun timore
qualsiasi tipo di frase che ‘a sorpresa’ venisse loro proposta.
Ho continuato a
proporre la conoscenza del modello da me sperimentato in numerosi incontri di
formazione per i docenti e coloro che lo hanno proposto in classe (anche nelle
ultime classi della scuola primaria) hanno mostrato di ottenere degli ottimi
risultati.
Nel 2011, quando
purtroppo ormai avevo terminato la mia carriera scolastica, è finalmente uscito
lo splendido manuale Sistema e testo,
di Sabatini, Camodeca, De Santis. L’ho fatto diventare il testo di riferimento
nei corsi di formazione degli insegnanti da me tenuti, consigliandone
l’acquisto di alcune copie come dotazione della scuola, anche se si trattava di
Istituti Comprensivi che non comprendevano bienni della scuola superiore.
Da tre anni
propongo il modello agli studenti del corso di laurea in Lingue e mediazione
dell’Università di Padova. L’insegnamento di Grammatica generale da me tenuto
parte sempre dall’analisi della frase semplice e complessa secondo criteri
valenziali e generativi e tutta la trattazione della successiva materia trova
una sua coesione e una sua congruità.
Come è nata l'idea di scrivere un libro
per condividere la tua esperienza con altri insegnanti?
Alla fine dei
corsi di formazione-docenti da me tenuti, mi si chiedeva e mi si chiede di lasciare
a disposizione le slide per poter avere sottomano i vari passaggi del percorso,
ma chi le usa sa quanto le diapositive siano parziali e necessitino di commenti
orali per essere ben utilizzate. Quando mi si è presentata l’occasione, quindi,
ho pensato che avere un libro dal contenuto sistematizzato a cui appoggiarsi
poteva essere un sussidio utile, sia per gli insegnanti che vogliano percorrere
la strada della valenziale, sia per me quando torno a proporre il modello
durante le ore di formazione.
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