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domenica 8 gennaio 2017

A piccoli grandi passi (intervista a Donatella Lovison)

In questo dialogo darò la parola a Donatella Lovison, già insegnante di scuola e oggi formatrice di futuri insegnanti e docente di grammatica. Le sue esperienze e riflessioni sulla didattica della grammatica in ottica valenziale sono raccolte nel recente volume Come analizzare la frase con la grammatica valenziale. Una proposta didattica (Aracne, 2014).
    



Come hai incontrato la grammatica valenziale?

Sono socia “quasi storica” del GISCEL Veneto, un gruppo molto attivo di studio e di sperimentazione nel campo dell’educazione linguistica, fondato a livello nazionale da Tullio De Mauro, la cui scomparsa stiamo piangendo in questi giorni.

Nel GISCEL Veneto hanno militato e militano studiosi di linguistica ‘coi fiocchi’, come ad esempio Maria Pia Lo Duca, Michele Cortelazzo, Valter Deon ecc. La partecipazione ai convegni nazionali del GISCEL e le opportunità che il nostro gruppo veneto ha avuto, e ha, di  avere come riferimento Lorenzo Renzi, Laura Vanelli e altri linguisti dell’Università di Padova mi hanno fatto crescere professionalmente in un ambiente molto ricco e stimolante, nel quale lo studiare le teorie, il discuterne e il cercarne una realizzazione didattica era a fondamento del modo di concepire l’insegnamento. Così è nata la mia passione per l’educazione linguistica e specialmente per una riflessione sulla lingua fondata sui principi e legata alle scoperte della linguistica.

Grazie agli incontri con questi studiosi e alle competenze degli altri soci del GISCEL, ho avuto modo di incontrare Tesnière e gli Elementi di sintassi strutturale fin dagli anni ’80 del secolo scorso. La teoria mi ha affascinato fin da subito, ma per anni l’ho tenuta nel cassetto, perché non trovavo strumenti per proporla in classe. Negli anni tuttavia riuscivo ad analizzare e ad approfondire la conoscenza del modello grazie agli articoli e ai saggi che Francesco Sabatini, Maria Pia Lo Duca, e altri linguisti pubblicavano sull’argomento. 

 

 
Quando hai iniziato a proporla in classe e con quali strumenti?

I manuali che cercavo e trovavo a disposizione negli anni ’80-’90 trattavano l’analisi della frase soprattutto proponendo la struttura ad albero di tipo generativo. Iniziavano solo delle ‘aperture’ verso la valenziale, soprattutto grazie a Francesco Sabatini (1984), Maria Luisa Altieri Biagi (1988) e Giorgio Achiardi e Daniela Bertocchi (1990).

Lo stimolo più potente, però, mi è arrivato con la pubblicazione della prima edizione cartacea del Dizionario Italiano Sabatini Coletti, corredato di un quaderno nel quale il modello valenziale veniva finalmente ‘tradotto’ in chiari e utili concetti, con una prima rappresentazione grafica del modello stesso.

Da allora l’analisi della struttura della frase semplice secondo il modello valenziale, connesso con il modello generativo, è stata la base su cui ho innestato qualsiasi tipo di riflessione sulla lingua proposto in classe.

Man mano che procedevo con la sperimentazione, scoprivo assieme ai miei alunni che l’approccio valenziale funzionava benissimo anche per la frase complessa che poteva essere rappresentata con gli stessi strumenti grafici con cui veniva rappresentata la frase semplice.

La mia sperimentazione è andata sempre più perfezionandosi e arricchendosi di conoscenze derivate da grammatiche teoriche che nel frattempo venivano pubblicate, ma non avendo un vero e proprio strumento didattico, un manuale che mi confortasse e mi fornisse materiali per esercitare gli alunni, ho fatto da sola, costruendomi il percorso e cercando nel manuale di grammatica in adozione i materiali che mi potessero essere utili.

Devo dire che nel 1999 ho trovato L’italiano di oggi, di Mirko Tavoni, un buon manuale di grammatica che, come spesso succede, la casa editrice ha ritirato subito dal mercato in quanto non aveva avuto successo. Il testo era ricco di materiali autentici tratti da libri di narrativa per ragazzi ed era impostato su criteri ispirati alla Grande grammatica italiana di consultazione di Renzi, Salvi e Cardinaletti. Sistematicamente ho scavato nei depositi della casa editrice per poter avere questo manuale in adozione in classe fino all’ultimo giorno prima della mia pensione, nel 2009.

 

Qual è stata la reazione dei ragazzi?

Il modello valenziale, nella mia esperienza, si è dimostrato potente e nello stesso tempo semplice ed intuitivo. I ragazzi, chiamati a rappresentare, prima mediante la ‘messa in scena’ del verbo, poi mediante la connessione concettuale con l’atomo e i suoi ‘uncini’, la cui struttura era loro conosciuta, e infine con la rappresentazione cognitiva e grafica del funzionamento del verbo stesso nella frase, dimostravano, fin dal loro ingresso alla scuola media, un particolare entusiasmo. All’inizio si divertivano proprio, per scoprire, man mano che si impossessavano del modello, che riuscivano a dominarlo con facilità, la qual cosa, come ben sa chiunque insegni ai ragazzi adolescenti, davo loro una particolare sicurezza.

Innestando, poi, sulla struttura della frase molte delle altre riflessioni sulla lingua, su altri piani, scoprivano come anche ‘facendo grammatica’ tutto fosse in relazione e crescevano con l’idea che la lingua poteva e doveva essere osservata, capita, conosciuta con strumenti che erano alla loro portata.

Le scoperte più confortanti e più entusiasmanti per me insegnante riguardavano il fatto che del modello si impossessavano anche i ragazzi più in difficoltà o non di madrelingua italiana, provenienti da altri paesi. Le loro analisi si riferivano a frasi di non eccessiva complessità, in quanto la loro competenza nella lingua italiana era a livelli non alti, però anche loro sapevano ‘leggere’ e rappresentare efficacemente le frasi con criteri valenziali.

 

E quella di colleghi e genitori?

I genitori non mi hanno mai ostacolato. Mi davano segnali chiari di non capire fino in fondo quello che stavano imparando i loro figli. Mi è capitato, infatti, di sentire espressioni come “Io non conosco questa grammatica moderna. Sono d’altri tempi.”, però hanno sempre dimostrato di fidarsi di me, anche perché potevano vedere l’entusiasmo e i risultati scolastici che i loro figli portavano a casa.

Devo dire, comunque, che la loro tranquillità derivava anche dal fatto che, come ai loro tempi, sentivano ancora parlare i loro figli di soggetto, di complemento oggetto (diretto o indiretto), e dal fatto che, verso la fine del secondo quadrimestre delle classi seconda e terza media, affiancavo alla rappresentazione sistematica e ‘battente’ della frase secondo il modello che potrei chiamare valenziale-generativo, qualche elemento di analisi logica della frase semplice e complessa, intesa in maniera tradizionale. Non ne risultava alcuna contraddizione e, una volta appresa la struttura delle relazioni sintattiche, le classificazioni su base semantica erano un elemento in più, trovavano un loro posto e spesso anche una loro utilità, in quanto le espressioni di fine, causa, tempo ecc. potevano essere riconosciute sia nella frase semplice sia nella frase complessa.

Con i colleghi, invece, le cose andarono molto diversamente. Sono convinta da sempre che il lavorare in gruppo con criteri cooperativi migliori di molto qualsiasi tipo di sperimentazione nell’insegnamento, ma, nonostante i miei tentativi costanti di coinvolgere qualcuno dei miei colleghi, le risposte sono sempre state negative. Un po’ perché ritenevano che ‘la grammatica’ dovesse essere sacrificata in nome delle molteplici altre attività complementari da realizzare; un po’ perché impossessarsi di un modello di riflessione diverso richiedeva tempo da dedicare a nuovi studi, non coincidenti con quelli conosciuti e praticati tradizionalmente; fatto sta che il modello valenziale l’ho sperimentato da sola nella mia scuola di servizio. Mi sono sentita dire molte volte: “Ma, non c'è niente di nuovo. Io queste cose le faccio comunque in classe”, oppure “Ma che tu la insegni in un modo o nell’altro, la grammatica è sempre la stessa, no?”. Tutto ciò dimostrava che non c’era alcuna disponibilità e apertura da parte loro e va a confermare in qualche modo “l'attaccamento al "curriculum implicito", ovvero alla propria idea d'insegnamento” a cui si fa cenno anche in questo blog, nel post del 3 dicembre 2016.

Personalmente e per mia fortuna alle spalle avevo il gruppo GISCEL Veneto, nel quale avevo modo di confrontarmi e approfondire le conoscenze, trovando così conforto e incoraggiamento nel proseguire.

 

Quali sono le difficoltà e i successi che hai incontrato nel percorso?

Le difficoltà incontrate nel percorso si possono dedurre tutte da quanto ho scritto sopra e la delusione più grande è stata la mancanza di un lavoro cooperativo con i colleghi della mia scuola.

Ho incontrato anche qualche intoppo didattico durante la sperimentazione, soprattutto nella costruzione di un linguaggio appropriato e univoco, con le caratteristiche di semplicità e chiarezza funzionali all’apprendimento di studenti adolescenti.

Ho sempre avuto chiara, però, l’efficacia didattica del modello, confortata anche da incontri negli anni con ex alunni che mi riferivano di aver trovato utili gli alberi (così li chiamavano!) durante il loro percorso scolastico alla scuola media di secondo grado.

Ho cercato quindi di diffondere questo modello in tutte le sedi in cui ciò mi era possibile.

L’ho proposto all’allora SSIS nei laboratori di didattica dell’Italiano da me condotti e ho ospitato alcuni tirocinanti durante le mie ore di lezione a scuola. Mi inorgoglivano l’interesse degli specializzandi e il loro stupore nel constatare come i ‘miei’ ragazzi sapevano affrontare e analizzare con competenza e senza alcun timore qualsiasi tipo di frase che ‘a sorpresa’ venisse loro proposta.

Ho continuato a proporre la conoscenza del modello da me sperimentato in numerosi incontri di formazione per i docenti e coloro che lo hanno proposto in classe (anche nelle ultime classi della scuola primaria) hanno mostrato di ottenere degli ottimi risultati.

Nel 2011, quando purtroppo ormai avevo terminato la mia carriera scolastica, è finalmente uscito lo splendido manuale Sistema e testo, di Sabatini, Camodeca, De Santis. L’ho fatto diventare il testo di riferimento nei corsi di formazione degli insegnanti da me tenuti, consigliandone l’acquisto di alcune copie come dotazione della scuola, anche se si trattava di Istituti Comprensivi che non comprendevano bienni della scuola superiore.

Da tre anni propongo il modello agli studenti del corso di laurea in Lingue e mediazione dell’Università di Padova. L’insegnamento di Grammatica generale da me tenuto parte sempre dall’analisi della frase semplice e complessa secondo criteri valenziali e generativi e tutta la trattazione della successiva materia trova una sua coesione e una sua congruità.

 

Come è nata l'idea di scrivere un libro per condividere la tua esperienza con altri insegnanti?

Alla fine dei corsi di formazione-docenti da me tenuti, mi si chiedeva e mi si chiede di lasciare a disposizione le slide per poter avere sottomano i vari passaggi del percorso, ma chi le usa sa quanto le diapositive siano parziali e necessitino di commenti orali per essere ben utilizzate. Quando mi si è presentata l’occasione, quindi, ho pensato che avere un libro dal contenuto sistematizzato a cui appoggiarsi poteva essere un sussidio utile, sia per gli insegnanti che vogliano percorrere la strada della valenziale, sia per me quando torno a proporre il modello durante le ore di formazione.

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