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martedì 20 settembre 2016

Gli alberi della grammatica

Quando vado nelle scuole per fare laboratori, dispiego un grande poster realizzato da Massimo Bertoldi, "artigiano digitale e creatore di mappe": l'Albero della grammatica.

Si tratta di un grande albero che schematizza le regole relative alle parti del discorso: un'infografica, diremmo oggi, se non fosse che la mappa è stata realizzata quando di infografica ancora non si parlava (nel 1995, in collaborazione con lo studio grafico Design in Progress di Milano).




Nella mappa, il verbo è al centro e rappresenta il tronco, l'ossatura della grammatica, il sostegno delle altre parole.
Nella parte destra l'albero si ramifica, sviluppando le altre parti variabili del discorso, cioè le altre classi di parole dotate di una flessione, e quindi di un paradigma di forme (si tratta delle cosiddette "parti nominali", che formano cioè il gruppo del nome: il sostantivo, l'articolo che lo determina, l'aggettivo che lo modifica, il pronome che può sostituirlo).
A sinistra troviamo le parti invariabili (l'avverbio, che modifica il verbo; preposizione e congiunzione, che creano ponti tra parole; l'interiezione, parola "buttata in mezzo alla frase").

Una mappa preziosa non solo per ripassare le regole, ma per visualizzare in un colpo d'occhio e memorizzare i mattoncini che formano i nostri testi e discorsi: le 9 parti del discorso, appunto, che stanno sulle dita di due mani.
Se regole (e relative eccezioni) formano in questo albero una fitta chioma, sarà bene ricordare che le regole fondamentali della grammatica (quelle che presiedono alla costruzioni di frasi ben formate) stanno sulle dita di una mano sola: accordo (tra le parole variabili), ordine (delle parole nella frase), reggenza (del verbo nella frase, del nome nel gruppo del nome), collegamento (tra parole).

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Ho chiesto a Massimo Bertoldi di raccontarmi come gli sia venuta l'idea dell'albero:
L’Albero della Grammatica è stato il mio primo lavoro e credevo all’epoca che fosse anche l’ultimo. Si chiamava originariamente L’Albero di Michele perché è nato spiegando grammatica a mio figlio. La maggior parte degli esempi contenuti riportano il nome di Michele al quale spiegavo che era importante circoscrivere quello che non si sapeva o quello che all’epoca forse non aveva troppa voglia di imparare. Nel 1995 un Istituto di credito di Verona ha deciso di acquistare 5.000 copie e regalarle alle scuole di quattro province dove l’Istituto operava. All’epoca non esisteva la stampa digitale e si andava in offset. Delle copie dell’epoca sono sopravvissute poche copie sbiadite. Molti anni dopo e molti lavori dopo, un neurologo presente a una mia esposizione ha sentenziato che solo un dislessico è in grado di produrre mappe di questo genere e finalmente ho spiegato a mamma, che oggi ha novant’anni, che tutte le botte prese per svogliatezza erano ingiustificate. Io sono del ‘54 e dislessico è un termine nato in America alla fine degli anni ’60. Oggi sono un felice dislessico nell’epoca dell’informatica. 
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L'albero della grammatica è una mappa che sintetizza regole ed eccezioni.
Ma nelle teorie grammaticali la metafora dell'albero ricorre anche con altri valori: è stata spesso usata dai linguisti ottocenteschi per mostrare rapporti di parentela tra le lingue (come nell'albero genealogico delle lingue indoeuropee, o di quelle romanze, cioè derivate dal latino). In questo caso, però, si tratta di un albero rovesciato, come chiarisce il logico Charles Dodgson (in arte Lewis Caroll) che per primo li usò a fine Ottocento per controllare la validità della conclusione di un ragionamento a partire da determinate premesse:
Per cominciare devo spiegare che tutti gli alberi in questo sistema crescono a testa in giù: la radice è in cima, e i ramai sono sotto.   Se qualcuno obiettasse che il nome "albero" non è appropriato, la mia risposta è che mi limito a seguire l'empio di tutti gli autori che trattano di genealogia. Un "albero" genealogico cresce sempre versoio basso: perché un "Labero" logico non potrebbe fare lo stesso? (Logica simbolica
L'albero rovesciato ritorna inoltre nelle opere dei linguisti del Novecento sotto forma di albero sintattico, schema grafico che rende visibile la struttura della frase, mostrando i rapporti gerarchici che si stabiliscono tra le parole al suo interno, e che l'ordine lineare nasconde.
Il primo a usare in tal senso lo schema di un albero rovesciato è stato Lucien Tesnière, il linguista francese considerato l'"inventore" della grammatica valenziale.
Si tratta, in questo caso, di un albero che parte dal "nodo" del verbo, considerato il perno della frase, e scende verso il basso, ramificandosi per agganciare i nomi che sono alle sue dipendenze e riempiono le funzioni sintattiche di base (soggetto, oggetto, oggetto indiretto):



La struttura di una frase semplice come Luigi ama Maria non è lineare (data cioè dalla semplice successione delle parole), ma gerarchica: c'è un elemento (il verbo) che chiama alle sue dipendenze altri elementi (in questo caso due nomi propri), assegnando a ciascuno di essi una funzione sintattica (soggetto e oggetto) e un ruolo semantico ("chi prova il sentimento" e "chi è oggetto d'amore"), e di conseguenza anche una certa posizione all'interno della frase (prima o dopo il verbo).

Gli alberi della grammatica generativa, che partono dal nodo della frase per suddividersi nei due costituenti fondamentali (sintagma nominale soggetto e sintagma verbale predicato), arriveranno più tardi...

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