domenica 10 dicembre 2017

Lasciateci divertire! (Lettera da Parigi)

Ogni volta che vado a Parigi, cerco di capire "che lingua fa", ma anche quali sono le preoccupazioni e le soluzioni dei francesi per la salvaguardia dell'amata lingua nazionale.
In primo luogo, possiamo  godere (o piangere) del mal comune: anche il francese, come l'italiano, è una lingua "massacrata" dai media e dalle nuove tecnologie, minacciata dall'inglese e dalla moda del politicamente corretto, assediata dall'abbassamento generale delle competenze, di cui gli errori ortografici sembrano l'aspetto più preoccupante.





E ciò, nonostante la presenza di un "Consiglio superiore della lingua francese" in seno al Ministero della Cultura e la disponibilità a riformare periodicamente l'ortografia per eliminare alcuni ostacoli (è toccato recentemente all'accento circonflesso).
Insomma: ogni mondo è paese, e ogni paese è minacciato dal mondo.

In secondo luogo - come spesso capita quando le cose si complicano drammaticamente - uno dei modi per provare a salvare lingua e grammatica è... giocare e riderci su.
Non mi sorprende perciò trovare, negli affollati ripiani delle librerie parigine del quartiere latino dedicati alla grammatica del francese "dans tous ses états", tante pubblicazioni di tono divulgativo dai titoli ammiccanti:



 


Le quarte di copertina confermano la volontà di rovesciare lo stereotipo diffuso per cui grammaire sarebbe sinonimo di ennui et souffrance: un dispositivo apparentemente inutile e vessatorio. Eppure, liberté égalité fraternité vogliono che sia e resti una necessità, un diritto, una chance per tutti. Perché solo l'uso adeguato e responsabile della lingua può formare cittadini consapevoli.
La sfida è sempre la stessa: trasformare la complessità in ricchezza. Individuare poche e chiare "regole del gioco" e mettersi o rimettersi in gioco. Perché, come scrive Patrick Rambaud nella Prefazione al suo libro, "la grammaire n'est qu'un mode d'emploi qui évolue avec l'usage et le temps". Grammatica come "istruzioni per l'uso (corretto) della lingua".
Interessante per me scoprire che questo libro in forma di dialogo tra un adulto e un bambino è nato dall'incontro tra due scrittori premiati dal Goncourt - Rambaud e Erik Orsenna - con alcune scolaresche, e dalla sfida comune di "rendere la grammatica leggibile" per i più giovani (nel caso di Orsenna attraverso una fortunata serie di romanzi grammaticali per ragazzi tradotti in italiano).
Ecco allora un fiorire di metafore che aiutano a "vedere" le parole e le loro relazioni: i nomi diventano persone con una loro "vita in famiglia", i verbi "motori" dai meccanismi complessi e delicati cui bisogna assicurare una buona manutenzione. 

Ridendo e scherzando, c'è anche un altro modo di recuperare il piacere della grammatica: l'impertinenza. E' l'idea di un altro scrittore, Jean-Louis Fournier, che mette insieme "le buone regole e i cattivi esempi". Perché anche per dire le sciocchezze e le volgarità che fanno illuminare gli occhi di studenti sempre più distratti, bisogna conoscere la grammatica. E se gli esempi sono frasi assurde e irriverenti (come negli esempi di sillogismi del reverendo Lewis Caroll), forse, come insegnanti, avremo una chance più di far passare il messaggio.
Uno spunto subito accolto da un autore di grammatiche scolastiche, Yak Rivais, per costruire testi accattivanti.




E se provassimo anche noi? Come insegnanti e come autrici di manuali scolastici. 
Cominciando a riflettere sul messaggio che ci viene dagli scrittori: persone che vivono e lavorano con le parole, preoccupate del modo in cui si trasmette il sapere grammaticale: uno "charabia" che rende illeggibili le grammatiche e produce disaffezione verso la lingua, contribuendo a formare generazioni di nuovi illetterati. 

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